varie, 8 settembre 2004
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Maramotti Achille
• Reggio Emilia 7 gennaio 1927, Albinea 12 gennaio 2005. Industriale • «[...] fondatore della Max Mara, colosso del prèt-à-porter, giro d’affari superiore al miliardo di euro, redditività mai inferiore all’11-12%, metà dei ricavi dall’export, boutique in ogni angolo del mondo, marchi stranoti, Max&Co, Marella, Sportmax, Penny Black, Maxima, Marina Rinaldi, nome, quest’ultimo, della bisnonna che a metà dell’800 era la più famosa sarta di Reggio. L’amore per la moda gli veniva da lei, dalla bisnonna, e dalla madre che a Reggio aveva creato una scuola di taglio e cucito, come s’usava dire. Apparentemente, sembrava fatto apposta, nel fisico massiccio e un po’ tozzo, nei suoi modi rudi, sbrigativi, a volte indisponenti (“In realtà”, diceva di sè, ”sono un orso, frequento poca gente e la sera me ne sto in casa”), per far tutt’altro nella vita. Ma già nel 1951, subito dopo la laurea in giurisprudenza, con qualche milione avuto in prestito dal suocero, uno dei tre fratelli Lombardini fondatori dell’omonimo gruppo di motori agricoli, Maramotti fonda il suo “giocattolino” usando la sartoria e due sartine di mamma Giulia. La prima collezione è poca cosa, due cappotti e un tailleur portati in giro da amici, ma basta e avanza per aver successo, per decuplicare in un anno la produzione e poi moltiplicarla per mille in altri due secondo una filosofia semplice ma efficace: “Se fai il prodotto giusto, lo vendi bene, ti fai pagare e ci guadagni sopra il giusto, l’impresa progredisce”. E imprenditore di successo Maramotti lo è stato davvero. Lui, tipico self made man del primo dopoguerra, arrivato a possedere un patrimonio personale di 2,5 miliardi di dollari secondo la rivista americana “Forbes” che lo classificava al quarto posto tra gli uomini più ricchi d’Italia, poche passioni nella vita, oltre al lavoro: quella per la pittura moderna che ne ha fatto gran collezionista di tele di De Chirico, Savinio, Morandi, Magritte e Max Ernst, la passione per le battute di caccia e quella per le banche che lo hanno portato a essere socio di maggioranza del Credito emiliano e, passando dal Credito Romagnolo e dal Banco di San Giminiano e San Prospero, azionista di Unicredito. Fu proprio la sua battaglia, a metà degli anni Ottanta, in difesa dell’autonomia del Rolo contro l’assalto dell’allora scatenato Carlo De Benedetti, che portò in prima pagina gesta e passioni del cavalier Achille Maramotti, nominato cavaliere da Sandro Pertini nonostante il no del sindacato. Fu allora che si cominciò a parlare del “Gei Air” emiliano, soprannome che lo mandava in bestia, e che si scoprì, dietro la facciata di imprenditore duro, anticomunista, nemico giurato del sindacato (per il quale era “il Pinochet di Reggio Emilia” perchè nelle sue fabbriche non applicava il contratto nazionale di lavoro), quasi una riedizione dal vivo di don Peppone e don Camillo, si scoprì un personaggio che con lo stereotipo dell’omone in grigio con l’onnipresente sigaro in bocca aveva poco a che fare: amante dell’arte, mecenate convinto, amico personale di Eugenio Montale e del pittore Nino Maccari, un bon vivant che amava Parigi, la città del cuore, dove a metà degli anni Sessanta cominciò a reclutare i primi talenti del prèt-à-porter, Bailly, Khan, Karl Lagerfeld, Jean Charles de Castelbajac... [...]» (Armando Zeni, “La Stampa” 14/1/2005) • «Nel referendum indetto dalla “Gazzetta di Reggio” si è piazzato al sesto posto della categoria Personaggi del secolo. Preceduto da Nilde Iotti, don Dossetti, Romano Prodi, Luciano Ligabue e, per due soli voti, da Camillo Prampolini. [...] un personaggio lo è davvero. In mezzo secolo ha portato ai vertici della moda femminile la sua Max Mara. Si è fatto conoscere per le epiche lotte con il sindacato [...] in nessuna delle aziende del gruppo è in vigore il contratto collettivo di lavoro dei tessili (curiosamente, ciò non ha ostacolato l’elezione a capo della Confindustria di Reggio Emilia del genero di Maramotti, Giuseppe Prezioso, responsabile del settore maglieria del gruppo). Maramotti si è pure costruito la fama di appassionato collezionista di quadri, rastrellando in tutto il mondo opere di Giorgio de Chirico e di Julian Schnabel, di Sandro Chia e dell’amato Giorgio Morandi. [...] Sposato dal 1952 con Idina Lombardini, figlia di Adelmo, famoso costruttore di motori [...] Dottore in Giurisprudenza, Achille Maramotti viene contagiato dalla passione della madre Giulia, fondatrice di una scuola di taglio e cucito. La prima collezione firmata Max Mara risale al 1951. Per lui hanno disegnato stilisti come Moschino e Dolce & Gabbana, Karl Lagerfeld e Luciano Soprani. Ma sui capi prodotti negli stabilimenti reggiani del gruppo o nell’Est europeo e in Cina, è sempre apparso solo il nome di una delle tante linee del gruppo, mai quello del designer. [...]» (Maurizio Maggi, “L’Espresso” 16/11/2000) • «[...] ha vissuto una vita fatta di tante passioni “private” [...] dall´arte (ha riempito le sale di Albinea di opere di Morandi e del 500-600 emiliano) fino alla caccia e allo sci - e di due passioni professionali: la moda e la finanza. L’amore per la moda se l’è trovato impresso nel dna. Sua nonna Marina Rinaldi aveva aperto un atelier a Reggio Emilia già a inizio ’800. Sua madre Giulia Fontanesi era una sarta che dopo il ’39, alla morte prematura del marito, si è inventata una scuola di taglio con annessa sartoria per mantenere i sette figli. Il giovane Achille ha iniziato laureandosi a Roma in giurisprudenza (mantenendosi agli studi con un commercio fai da te di burro e formaggio) ma appena rientrato a Reggio - per amore della moglie Ida Lombardini - ha abbandonato i codici per impugnare le forbici. Si è fatto prestare dalla mamma due sale e due operaie e ha iniziato a produrre due modelli di paletot e due di tailleur copiati alla buona dalle riviste americane. Il successo è immediato: “Il primo anno ho venduto 500 capi, il secondo 5mila, il terzo 15mila - ha detto in una delle sue rarissime interviste - A 33 anni ho capito che ero fuori dal pantano e facevo i mie primi bilanci positivi”. Trovare il nome per la sua azienda non è stato difficile. “Ho fatto mio il concetto di un vecchio professore: i nomi con doppia iniziale uguale - mi diceva - si ricordano facilmente”. È nato così il pret a porter di Max (“dà un senso di forza”) Mara (“Maramotti era lungo un’eternità”). La sartoria è diventata oggi un impero internazionale presente in 90 paesi con un giro d’affari superiore al miliardo e ha fatto di Maramotti - insignito nell’83 del titolo di Cavaliere del lavoro da Sandro Pertini - il quarto uomo più ricco d´Italia con 2,5 miliardi di patrimonio. Anche se su questo fronte lui ha sempre minimizzato: “Nessuno ama fare certi conti - ha ammesso - ma posso dire che solo negli anni 90 avrò pagato mille miliardi di lire in tasse”. Nel ’91 Maramotti ha svoltato lasciando il timone dell’azienda ai tre figli per dedicarsi alla sua altra grande passione: la finanza. [...] Il suo carattere sanguigno e deciso non l’ha mai abbandonato nemmeno in questo campo. Orfano delle epiche battaglie con i sindacati della Max Mara (“se fosse per loro le mie aziende oggi non esisterebbero”, diceva sintetizzando il suo rapporto con Cgil, Cisl e Uil) si è gettato a capofitto nelle sfide finanziarie [...] dalla Montedison a Fondiaria. [...]» (e. l., “la Repubblica” 14/1/2005).