8 settembre 2004
MANNHEIMER Renato.
MANNHEIMER Renato. Nato a Milano nel 1947. Sondaggista. «Uno dei santoni di questa nuova religione che ogni giorno ci dice chi siamo, che cosa facciamo, dove andiamo. Sembra un mago del futuro e invece ha un passato piuttosto particolare. Da giovane era un contestatore, un rivoluzionario, un maoista che militava nel gruppo meno modernista che esistesse tra i sessantottini, Servire il Popolo, una specie di piccola chiesa, guidata da quell’Aldo Brandirali che si era messo perfino in testa di celebrare i ”matrimoni del popolo”. Per Mannheimer un lungo tragitto, da una specie di medioevo politico all’analisi del presente, alle previsioni del futuro. [...] ”Io ho cominciato a fare i sondaggi già da allora. Uno dei miei primi sondaggi fu pubblicato nella rivista del Movimento studentesco. E fu criticato da uno dei leader, Salvatore Toscano. Già da allora io credevo nella necessità di indagare l’opinione pubblica. Per la verità avevo fatto piccolissimi sondaggi anche al liceo. [...] Un po’ cretini: dove andare in gita scolastica, come utilizzare la macchina della Coca Cola durante l’intervallo [...] La cultura borghese si abbatte e non si cambia. Avevamo la sede piena di libri ’della borghesia’ tolti dalla circolazione. E qui debbo confessare per la prima volta un mio imbroglio. Andai da Brandirali e gli dissi: ’Ho trovato un cretino di un borghese che li comprerebbe tutti: non ci dà molti soldi ma tanto che ci facciamo con tutti questi libri della borghesia? Vendiamoli a questo cretino borghese’ [...] Ero io. E così ho cominciato a costruire la mia biblioteca con tanta roba di sociologia truffando Brandirali che secondo me se lo meritava [...] Ero povero in canna, non avevo una lira. Io sono nato a Milano da una famiglia che veniva dall’estero, dall’impero austro-ungarico con diramazioni tra Praga, Budapest, e Vienna. Mio padre venne dalla Svizzera a Milano con l’intenzione di andare in America. Ma il visto gli fu rifiutato, Milano gli piacque, erano gli anni del boom, mise su una fabbrichetta e rimanemmo qui. Quando avevo 13 anni mio padre morì e avemmo un momento di gravissima povertà. Io mi misi a lavorare a quattordici anni [...] L’insegnante, le ripetizioni private, il venditore di penne, l’interprete [...] Da bambino io facevo il buffone. Anche adesso, ma da bambino di più. Mia madre mi rimproverava: ’Non è serio fare il buffone’. Ma sbagliava [...] Alla scuola pubblica c’erano i turni e allora mia madre mi iscrisse alla scuola ebraica [...] nel ’68, ho ancora la fotografia, alla Bocconi scrissero ’Mannheimer ebreo’ per terra [...] La cosa buffa è che la dimensione ebraica non è quasi mai stata portata avanti da me personalmente. Sono stati gli altri a farmi notare, sia in modo cattivo sia in modo buono, che ero ebreo. Ai tempi della guerra del Libano io ero nel partito comunista. Mi telefonò il mio migliore amico, mio compagno di sezione, e mi disse: ’Guarda cosa avete combinato’. Io venivo associato a quello che facevano gli israeliani. Alla fine, a forza di associarmi, ho finito per interessarmene [...] Quando morì mio padre, il preside della scuola ebraica disse: ’Questo ragazzo bisogna che lavori. Mandiamolo a ragioneria’. E così mi tolsero dal liceo scientifico. Ho avuto il complesso tutta la vita. I miei amici facevano il liceo e io no. La ragazza che corteggiavo faceva il liceo e io no. Mi misi a studiare filosofia da solo e di nascosto. Poi ho fatto la Bocconi e l’ho fatta bene. Ho finito con 110 anche se è stato un periodo molto tormentato. C’era il Movimento studentesco [...] Abitavo a Milano da solo, senza famiglia, mia mamma si era trasferita in Austria e forse avevo bisogno psicologicamente di una ideologia forte, di una famiglia. Io non so bene che cosa mi abbia spinto, o forse ero proprio estremista, volevo veramente fare la rivoluzione. Con un gruppo di amici della Bocconi, mi viene in mente Enrico Sasson che fa il giornalista al ’Sole 24 Ore’, Ivo Galante che era con me fin dalle elementari, Barbara Pollastrini, che era la mia ragazza, che poi ho sposato, andammo tutti insieme con Brandirali. Eravamo circa 15. Così come tutti insieme poi decidemmo di uscire e di iscriverci al Pci [...] Andavamo nei comuni intorno a Milano a distribuire volantini, organizzavamo scuole, corsi di istruzione per giovani. Studiavamo i testi cinesi. bello da studiare Mao Tse-tung. Ricordo cose interessanti. E anche cose cretine naturalmente [...] Non conosco nessuno che si sia sposato a Servire il popolo. Fra quelli del nostro gruppetto, che erano un po’ gli intellettuali della Bocconi, non ci credeva nessuno [...] A quei tempi tutto era politica, le letture erano politiche, il personale era politico, le cose di sociologia riguardavano la politica, il matrimonio è stato politico perché ci siamo conosciuti in un contesto politico convinti entrambi di volere fare la rivoluzione [...] I buoni erano gli operai. A Servire il popolo c’erano un paio di operai opportunisti tremendi. Qualunque cazzata dicessero, per il solo fatto di essere operai, era considerata la voce della verità. E noi prendevamo appunti. Poi ho imparato che ci sono operai cretini e operai intelligenti [...] Il più grande errore che ho fatto è stato tanto tempo fa, alle elezioni in cui la Dc crollò. Repubblica mi aveva commissionato un sondaggio e venne fuori il crollo della Dc. Noi guardavamo questi dati e ci sembrava impossibile [...] No, non li abbiamo consegnati. Pensavamo che fossero errati. Non ci credevamo [...] fu un errore non crederci. I sondaggi non fanno errori” [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” 6/12/2001).