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 2004  settembre 08 Mercoledì calendario

KIM KI DUK Bonghwa (Corea del Sud) 20 dicembre 1960. Regista • «Premiato a Venezia per L’isola (1999) [

KIM KI DUK Bonghwa (Corea del Sud) 20 dicembre 1960. Regista • «Premiato a Venezia per L’isola (1999) [...] ha realizzato un gioiello intitolato Primavera estate autunno inverno [...]» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 8/9/2004) • «Il cinema di Kim Ki-duk è fatto di silenzi, di violenza asciutta e di poesia. Se gli si chiede perché nei suoi film ci siano tanta tristezza e disperazione risponde: “Perché la vita è fatta per la maggior parte di tristezza e disperazione”. Ha un’idea originale e pittorica del cinema. Dice di aver visto alcune scene del Neorealismo e di aver pensato: “Sembrano quadri di Rembrandt o di Rubens”. [...] La biografia di Kim Ki-duk sa di leggenda. Nasce nel ’60 in un villaggio di campagna, da bambino a Seul studia per diventare agricoltore, adolescente lavora in fabbrica, poi si arruola nell’esercito, sogna di fare il predicatore prima e il pittore poi e finisce a Parigi, con un biglietto di sola andata, dove vive due anni vendendo in strada i suoi quadri. Torna in Corea, vince un premio con una sceneggiatura e quindi, senza avere la minima idea di come si faccia un film, gira lo sbalorditivo Crocodile. Non ne conosce la grammatica e la sintassi e non sa quasi niente della storia del cinema eppure diventa regista di culto. [...] “Per me il cinema è conversazione. Rappresenta il dialogo interiore tra il punto di vista soggettivo e oggettivo. Ma è anche dialogo tra me e lo spettatore. I miei film sono diversi da quelli degli altri registi coreani che raccontano soprattutto storie. Nei miei film parlano di più le immagini. Come nella pittura. Il cinema è stata una cosa naturale, che è venuta. Non pensavo che la mia vita sarebbe cambiata così. [...]” [...]» (Clara Caroli, “la Repubblica” 18/4/2005) • «Faccio film pensando che la cosa più pacifica e bella equivalga alla più crudele e dura. Il bene e il male sembrano diversi, ma non si possono spiegare in assenza l’uno dell’altro. Uso sempre il confronto perché dentro di noi ci sono sempre due antagonisti in lotta. Credo che il riso e il pianto siano la stessa espressione [...] cerco di raccontare storie che combinano due cose totalmente diverse in una, bene e male, il giorno e la notte, buio e luce. Non sembra così al primo sguardo, ma io cerco di dire che sono la stessa cosa. In genere si dice che occidentali e orientali sono molto diversi, ma io non la penso così. Primavera ha avuto più successo in Europa che in Corea. Secondo alcuni critici coreani è questione di esotismo. Al contrario gli orientali magari idealizzano l’occidente. Ovviamente esistono differenze spaziali e geografiche ma la gente non è molto diversa. Me lo hanno dimostrato gli spettatori in Europa e negli USA. Ecco perché credo che chi ha visto i miei altri film in occidente la pensi come me» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 3/12/2004). «“Il cinema è una forma di comunicazione e conversazione tra gli uomini, oltre ad essere di dialogo tra me e gli spettatori”. Sono parole di Kim Ki-duk [...] Nato nel 1960 in un villaggio di campagna, operaio in fabbrica in età giovanile e persino aspirante predicatore, Kim Ki-duk è uno dei talenti del cinema contemporaneo: le sue drammatiche storie di solitudini (“La nostra vita - afferma - è fatta soprattutto di momenti tristi e disperati”) hanno vinto premi ai festival, ottenuto apprezzamenti dalla critica, incontrato i favori del pubblico. “Nel 1990 - racconta - andai a Parigi per apprendere la pittura, mentre imparai a girare film”. L’esordio, Crocodile, incentrato su un uomo che aspetta lungo un fiume i cadaveri dei suicidi per prenderne soldi e abiti, è datato 1996, mentre a tre anni più tardi con l’altrettanto straziante L’isola risale la sua consacrazione internazionale. “Negli ultimi anni - dice l’autore - il mio cinema è uscito dai confini nazionali per approdare in Europa, dove mi sembra più adatto ai sentimenti della gente. Il fatto di aver viaggiato [...] per un anno intero tra Grecia, Francia, Italia mi ha arricchito molto e mi ha portato a girare film diversi da quelli dei miei connazionali”. “Il neorealismo italiano - aggiunge - è stato molto importante nella storia del cinema, ho visto alcune scene di film di quel periodo che mi hanno profondamente colpito. Ho poi ammirato le opere di autori come Pasolini e Fellini, apprezzato La vita è bella di Benigni e La stanza del figlio di Moretti. Alcuni critici sostengono che il mio stile possa esser stato influenzato dal cinema di Michelangelo Antonioni, io lo escluderei visto che è un autore che conosco soltanto di fama”. [...] ha vinto il Leone d’Argento alla Mostra di Venezia. “Ovviamente - sostiene l’ex ragazzo cattivo del cinema coreano - sono soddisfatto quando vinco un premio ma mi rendo conto che chi ottiene riconoscimenti ai festival rischia di diventare sempre più pigro e meno artista. Io voglio pensare al cinema senza esser influenzato dai premi e personalmente preferisco i miei primi lavori, che non vennero premiati”. [...]» (Daniele Cavalla, “La Stampa” 17/4/2005).