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 2004  settembre 06 Lunedì calendario

Ito Toyo

• Nato a Seul (Corea del Sud) il primo giugno 1941. Architetto. con Arata Isozaki e Tadao Ando una delle tre stelle dell’architettura giapponese contemporanea. Laureato a Tokyo nel 1965, ha dato vita allo studio Urban Robot, fino al 1979, e in seguito a Toyo Ito & Associates. Sino alla propria casa, chiamata Silver Hut, del 1986, ha realizzato architettura residenziale. Da allora è passato agli incarichi pubblici e alla grande scala. Le sue opere principali includono la Torre dei Venti di Yokohama (1986), la U Gallery a Kanagawa e la Egg of Winds a Tokyo, il Palazzo dello Sport di Odate (1997) e la Mediateca di Sendai (2000), ritenuto dalla critica uno dei capolavori mondiali di fine secolo. In Europa ha progettato la Bank of International Settlements di Basilea, la torre per uffici Mahler 4 ad Amsterdam, il Parco terapeutico di Torrevieja in Spagna. stato poi coinvolto, con Zaha Hadid, Jean Nouvel e altri, in un master plan per un megacentro culturale a Guadalajara in Messico. «Incarna la speranza, l’ottimismo e la libertà di un’arte cruciale per la nostra civiltà urbana, nel pieno di una tumultuosa trasformazione. [...] Per la città di Torrevieja, nel sud della Spagna, Ito ha ideato un parco per il relax ispirato ai principi della talassoterapia. come se una mano angelica avesse coricato dall’alto tre delicate conchiglie su una duna artificiale. Contengono il centro informazioni, il bagno terapeutico all’aperto, il ristorante. La struttura a spirale è in acciaio, ma nascosta da una raffinata struttura in legno dal richiamo organico. Una meraviglia. A Matsumoto, in Giappone, in un contesto fortemente urbanizzato [...] una grande sala concerti dedicata alla musica lirica. La pianta dell’edificio ricorda la forma di una chitarra elettrica, ma visto di tre quarti, a livello strada, ricorda un pesce sinuoso. una forma continua, senza fronte né retro, sollevata all’ingresso su pilastri leggeri, e il tetto è una splendida terrazza panoramica. Ma quello che colpisce è il materiale, un cemento liscissimo punteggiato da migliaia di elementi di vetro traslucido, come un fitto mosaico che ne farà di notte un grande corpo tralucente dall’effetto magico. S’è capito? Ito affronta con ispirata creatività i temi più vari. Ad Amsterdam gli chiedono una torre per uffici di 35 piani? Lui propone un volume elementare tipo Lego disposto a scala su tre livelli, ma tutto giocato su pieni e vuoti, con la possibilità di inserire alberi nei buchi creati nel cuore dell’edificio. A Groningen, nel nord dell’Olanda [...] una piccola casa di abitazione dalla facciata reticolare, costruita in mattoni di alluminio da lui brevettati insieme ala Nippon Light Metal: sono veri mattoni, cavi naturalmente, che si agganciano l’un l’altro con tanta facilità da chiedersi se i muratori del Ventunesimo secolo finiranno disoccupati. [...] il metodo Ito: soluzioni nuove di tema in tema, di volta in volta. Sempre teso alla leggerezza, all’eleganza formale, nel tentativo di togliere all’architettura ogni senso di finitezza, di peso, di immutabilità. Giacché la cultura giapponese non costruisce ad aeternum. La sua tradizione millenaria fu il legno, non la pietra. Terremoti, tifoni e principi scintoisti hanno spinto l’arte dell’abitare verso la flessibilità e la caducità. A Tokyo, dove Ito vive, gli edifici vengono abbattuti e sostituiti ogni vent’anni. Ne consegue ”un sistema neutro e frammentario, privo di punti di riferimento precisi, tranne i sistemi di trasporto e comunicazione”, come scrive il maggior conoscitore italiano di Ito, Andrea Maffei in Toyo Ito. Le opere i progetti gli scritti (Electa, 2001). L’effetto è di una ”città simulata”. Un filosofo giapponese, Koji Taki, paragona l’architettura di Toyo Ito ai principi-guida enunciati da Italo Calvino nelle Lezioni americane: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Altri critici ravvedono nella sua cultura progettuale la fluidità dei grafismi di Paul Klee o i principi dell’astrazione dinamica dello spazio enunciati dal Mies van der Rohe intorno al celebre motto ”less is more”, il meno è più. Ito stesso, in diversi suoi scritti, cita Mies, specie il padiglione dell’Expò di Barcellona del 1929. Dagli anni Settanta, quando, come ricorda Deyan Sudjic direttore della Biennale, il primo studio di Ito si chiamava Urban Robot, e la missione degli architetti giapponesi sembrava essere quella di dar forma alle visioni di Ridley Scott per Blade Runner, il suo linguaggio si è affinato molto. La sua opera più osannata, la Mediateca di Sendai del 2000 [...] ha fatto pensare a Le Corbusier: trasforma un modulo rigido in un volume che evoca un cubo d’acqua. Un’architettura prescrittiva che si sublima nella fluidità. L’elemento cruciale in Toyo Ito - è evidente nella Mediateca, ma anche nel progetto per la Maison de la culture du Japon di Parigi - è la ricerca della trasparenza. La trasparenza, nei suoi lavori, ricorre come un tema musicale. La calotta emisferica del Parco dello Sport di Odate, che contiene uno stadio da baseball, di giorno è un corazza bianca opaca sullo sfondo azzurrino delle colline. Di notte, invece, riluce opalescente e misteriosa. Come se la Luna fosse discesa sulla Terra a riposare» (Enrico Arosio, ”L’Espesso” 19/9/2002). «A Toyo Ito piace l’alfabeto occidentale. Più volte [...] ha battezzato alfabeticamente i suoi edifici, e spesso il riferimento era la forma della pianta: White U; M Building; F Building; Hotel P; fino alla T Hall di Shimane del 1999. [...] per la nuova sede Tod’s a Omotesando, nel cuore di Tokyo, Ito ha scelto una pianta a ”L”. [...] ”La mia architettura può durare più di cent’anni. E comunque a me piace il concetto di architettura temporanea. Perché racchiude lo spirito della leggerezza e la fluidità della linea di demarcazione tra spazi interni e spazi esterni [...] Tokyo, più che per singoli episodi architettonici, mi attrae per le sua dimensione caotica di fondo» (Enrico Arosio, ”L’Espresso” 20/2/2003).