Varie, 6 settembre 2004
RICCI
RICCI Nino Macerata 1930. Pittore • «Ha trascorso alcuni anni cruciali della giovinezza a Roma, quando Roma, uscita dalla guerra e da una lunga separatezza dall´Europa, s’apprestava a divenire una capitale dell’arte, e tanti, da tante parti d’Italia e di fuori, venivano a stabilirvisi facendone un crocevia reale d’esperienze. Poi, sulla fine del ’54, Ricci è tornato alla sua provincia, ove è sempre rimasto. Questo poco di biografia è sufficiente a delinearne l’animo: quello d’un artista singolare, che ha fatto al tempo del suo ”laboratorio” una riserva cospicua di incontri, di solidarietà, d’immagini; che ha sempre poi molto viaggiato e veduto; ma che ha scelto infine di richiudersi - silenzioso, appartato - in un suo bozzolo. Da allora - ed era ancor giovane - la memoria è stata la vera dimensione del suo spirito: volta a secoli andati (a Piero, e su fino a Cézanne e a Seurat), e poi al suo: nel quale ha scelto, esigente, Klee, e Morandi. Ha dato ascolto - senza preoccuparsi troppo se i riferimenti fossero o meno tempestivi - di volta in volta ad altre suggestioni (anche apparentemente distanti fra loro: da Fautrier a certo Perilli). Ma intanto il suo mondo di forme s’era fondato, lontano da tutti. Vi abita, e lo governa, un sentimento che è facile scambiare, alla prima, per malinconia: tanto la sua pittura insiste, senza remore o nascondimenti, a ridire valori lontani, desueti; tanto (soprattutto dagli anni Ottanta in avanti, quando Ricci accede alla più colma maturità) quei valori, fatti di calcolatissimi e quasi rarefatti accordi tonali, crescono a demone totalizzante di un fare che dichiara la propria appartenenza ad un mondo diverso dall’attuale. Ma, seppur lo sia, è infine una malinconia libera da compiacimenti, da rilassatezze sentimentali. Attraverso essa, Ricci dà figura all’assenza e al silenzio delle sue assise d’oggetti: corpi, quasi fatti d´acqua o di ghiaccio, che una luce tersa lentamente invade e scandisce sul piano di posa, dov’essi silenziosamente si dispongono, stringendosi l’un l’altro di abbracci, scambiandosi sommesse parole, porgendosi reciprocamente le stesse ombre leggere, gli stessi tenui trasalimenti di lume. I contorni ne sono, talora, quelli ”sbrecciati, tremanti” che Cesare Brandi riconobbe nel disegno di Morandi (al quale, più ancora che non alla sua pittura, Ricci si fa accosto). Altrove, taglienti come lame, quei contorni si stagliano in un´aria di metafisica fissità: più aguzzi delle Pierres di Magnelli. Gli uni e gli altri sono apparizioni, non scambiabili con altro d’oggi nella nostra pittura, difficilmente dimenticabili» (Fabrizio D’Amico, ”la Repubblica” 6/9/2004).