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 2004  settembre 05 Domenica calendario

GINZBURG

GINZBURG Carlo Torino 1939. Storico. Figlio di Leone e Natalia Ginzburg, insegna all’Università della California. Da sempre impegnato nella ricerca metodologica, ha paragonato il suo lavoro a quello dell’investigatore . Tra i suoi studi, pubblicati da Einaudi fino a che la casa editrice non è passata al gruppo Mondadori nel ”94, I benandanti (1966), Il formaggio e i vermi (1976), Miti emblemi spie, (1986), Il giudice e lo storico (1991), sul caso Sofri. Con Feltrinelli ha pubblicato nel 1998 Occhiacci di legno. «[...] mi occupo di come utilizzare le fonti figurative per ricostruire la storia in generale, su come e fino a che punto sia possibile considerare lo stile come documento storico. Nel mio saggio su Piero della Francesca ho cercato di capire quanto vale la documentazione stilistica rispetto alle testimonianze esterne, documentarie.. [...] mi sono occupato molto della polemica sulle posizioni scettiche di chi sostiene che la conoscenza della realtà storica non è possibile perché ogni ricercatore proietta se stesso nella ricerca. Su questo ho lavorato, ho scritto vari saggi, per esempio quattro conferenze che ho tenuto a Gerusalemme [...] La scoperta della soggettività del ricercatore per gli americani è stata una sorta di ubriacatura collettiva: negli Stati Uniti ormai quando si parla di verità si fa sempre il gesto di mettere la parola tra virgolette. Io non penso certo che la verità sia facile da raggiungere, ma credo che ogni studioso debba fare i conti con il coinvolgimento soggettivo - psicologico, scientifico o di altro genere - e malgrado questo riuscire a raggiungere la verità senza virgolette. Gli scettici negli Stati Uniti sono molto presenti, vigorosi. Adesso forse sono in declino ma forse mi sbaglio [...] la contrapposizione tra realtà e ricordo, che sarebbe inadeguato a recuperare la realtà, in qualche modo alimenta le posizioni scettiche, soprattutto quelle nei confronti della seconda guerra mondiale e del nazismo. L’orrore dello sterminio è rappresentabile? E se non lo è, questo impedisce di conoscerne la storia? In un saggio intitolato Unus testis ho discusso con chi sostiene che l’impossibilità di distinguere narrativa di finzione e narrativa storica impedisce di respingere come menzogna la posizione dei negazionisti.[...] Sofri invece è un mio amico. Ho scritto quel libro tra la conclusione del processo di prima istanza e il processo di appello per ripercorrere con gli strumenti del mio mestiere gli atti processuali. [...] è una dimostrazione di quello che dicevo prima: il coinvolgimento soggettivo del ricercatore deve essere non solo cosciente ma anche dichiarato, e non impedisce di raggiungere la verità dei fatti. Leggendo gli atti del processo ho provato una strana sensazione di familiarità: ho studiato processi segreti come quelli dell’Inquisizione, eppure per certi versi non erano molto diversi dai nostri processi pubblici[...] Un processo condotto male può voler dire due cose del tutto distinte: che viene condotto in maniera irregolare rispetto alle regole del gioco oppure che imputati innocenti vengono condannati. Nel processo contro Sofri non avevo motivo di supporre che non fosse stato seguito il rispetto delle regole del gioco, ma quando ho iniziato ad occuparmene mi sono imbattuto in cose straordinarie come la distruzione delle prove materiali da parte della polizia. Nei miei studi sull’Inquisizione non mi è mai capitato di vedere un processo in cui la regolarità anche formale venisse violata così clamorosamente e ripetutamente come in questo processo [...] in realtà non ho l’impressione di aver lasciato l’Italia, mi divido sei mesi e sei mesi, leggo giornali italiani quando sono all’estero, mi sento italiano come prima. Proprio questo processo, poi, mi ha tenuto legato alla realtà italiana: anzi mi ha spinto per la prima volta a prendere posizione pubblica per un evento di cui ero stato testimone [...]» (Angiola Codacci-Pisanelli, ”L’Espresso” 11/2/1999).