Varie, 3 settembre 2004
GELMINI
GELMINI Pierino Pozzuolo Martesana (Milano) 20 gennaio 1925. Ex prete (nel marzo 2008, per sua stessa richiesta, fu ridotto da Papa Benedetto XVI allo stato laicale). Fondatore della Comunità Incontro di Amelia, nel giugno 2010 fu rinviato a giudizio per molestie sessuali • Ordinato sacerdote il 29 giugno del ”49, dopo aver fatto per dieci anni il parroco in zone povere e di miniera fu nominato segretario del cardinal Luis Copello. Nel ”63 lasciò la vita curiale fonda la prima ”Comunità incontro” ad Amelia (Terni). L’idea sarebbe nata in seguito all’incontro con un ”ragazzo disperato”, Alfredo. La Comunità, per scopo l’assistenza ai tossicodipendenti, gli alcolisti, gli anziani, e i portatori di menomazioni psichiche e fisiche, conta 164 sedi in Italia e 74 in altri Paesi del mondo (Spagna, Francia, Svizzera, Slovenia, Croazia, Thailandia, Bolivia, Costa Rica, Brasile, Stati Uniti e Israele). In oltre 40 anni di attività si calcola che siano passate attraverso i Centri di don Gelmini circa 300 mila persone. Ha ricevuto numerosi onorificenze, tra cui Commendatore della Repubblica, primo cappellano della Legione Garibaldina, gran comandante dell’’Ordine di Georg Whasington. anche ”esarca del Patriarcato di Antiochia e tutto l’Oriente”. Il fratello Angelo, più noto come frate Eligio, ex cappellano del Milan, ha fondato Mondo X (Libero 4/8/2007) • «Fondatore della Comunità Incontro, 160 sedi in Italia e una massiccia presenza all’estero, don Pierino è un leader nato. E oggi il prete più amato dal Polo dove prospera un agguerrito partito pro Gelmini: i ccd Casini e Giovanardi, il forzista Michelini, Gasparri e La Russa di An. In quanto a lui si comporta con loro come con i suoi ragazzi: padre buono ma severo che alterna carezze a ceffoni. Il primo a scoprire il carisma politico di Gelmini fu Bettino Craxi, nel 1989. Il leader socialista vedeva in questo prete vulcanico un importante alleato per vincere la battaglia della legge sulle tossicodipendenze, che trova forti resistenze anche nel mondo cattolico. Grazie alla benedizione di Craxi, ogni sparata di don Gelmini finisce in prima pagina: amato e odiato nel mondo delle comunità di accoglienza, coccolato dai politici, pluripremiato in tutto il mondo (nel ”92 riceve la massima onorificenza thailandese, il titolo di Cang Phuk, Elefante Bianco), ospite immancabile di decine di trasmissioni televisive. Nel ”93 il direttore di Raidue, il craxiano Giampaolo Sodano, gli affida addirittura la conduzione del programma musicale Rock Café: l’audience non è il massimo, ma le prediche catodiche si moltiplicano. Nel frattempo don Pierino coltiva la sua rete di relazioni importanti: ad Amelia sfilano Forlani e Andreotti, Cossiga e Francesco De Lorenzo, allora ministro della Sanità, oggi impegnato nella Comunità Incontro come volontario dopo le disavventure giudiziarie. C’è anche il giovane segretario del Msi Gianfranco Fini: tra lui e don Pierino è subito amore. L’anno della consacrazione definitiva è il 1995. Il 12 settembre sbarcano ad Amelia tutti i leader del Polo. Berlusconi e Fini arrivano in macchina insieme, Casini e Mastella (all’epoca ancora nel Ccd) affittano un pullman per i parlamentari della Vela e all’ingresso nell’auditorium della comunità partono le note dell’Alleluja di Haendel. Un trionfo per don Pierino. Da allora è un crescendo. I suoi bersagli dichiarati sono ”il partito dello sballo sorretto da politici, uomini, dello Stato e della cultura, che conoscono la coca e il suo consumo”, ”il partito trasversale dei tossicofili”, ”gli sfascisti e i chiacchierologi che dettano legge”. [...]» (Marco Damilano, ”L’Espresso” 16/3/2000) • «La mamma – raccontò lui stesso – era una donna saggia, una maestra dell’800, mentre il papà, agricoltore, non voleva fare mai nessun affare di domenica, dedicandola al Signore. I figli erano sei. L’ultimo, classe 1931, è padre Eligio. Il penultimo, classe 1925, don Pierino Gelmini. Tutti e due hanno fondato e condotto comunità per tossicodipendenti. Ma Eligio, detto Peligio, è passato alla cronaca per le mutande rosse sotto il saio, confessore di Gianni Rivera, promotore di ristoranti di lusso. Pierino, invece, ha frequentato la politica. A destra, quasi esclusivamente. [...] Beninteso, può essere che per Pierino la politica sia soprattutto un tram, per trasportare idee, come quella che le droghe fanno tutte male e ”gli spinelli sfasciano il cervello allo stesso modo della cocaina”. O per ottenere sostegno. Prendiamo Berlusconi. Quando Gelmini due anni fa, nella ”Comunità incontro” di Amelia, fu festeggiato per gli 80 anni, Berlusconi davanti alla folla staccò un assegno da 5 milioni di euro. Cinque anni prima Gelmini non aveva taciuto di fronte alla barzelletta di Berlusconi sul malato di Aids invitato da un medico a fare le sabbiature (’Mi faranno bene, dottore?”. ”No, ma così si abitua a stare sottoterra”). Commentò, Gelmini: ”Come può essere tanto cinico un leader politico che si dice rappresentante dei valori cattolici?”. Il primo contatto ad alto livello fu con Craxi, 1989, c’era identità di vedute sull’inasprimento della legislazione antidroga. Andreotti, Forlani, Cossiga. Poi venne Fini. Notevole l’intervento che don Pierino, accantonando per un momento il tema droga, fece alla convention dei valori di An, marzo 2000: ”Oggi tra i musulmani c’è una nuova parola d’ordine: sposare le donne cattoliche per convertirle. Bisogna bloccare questo germe, metteranno a rischio la purezza dei nostri valori”. Poi Gasparri, La Russa, Casini, Mastella, l’ex ministro De Lorenzo, che fa il volontario ad Amelia. Don Pierino si oppose con veemenza al patto elettorale fra il Polo e Pannella, per via dell’antiproibizionismo e attaccò, anni fa, i futuri concorrenti alla guida del Partito democratico, Veltroni e Bindi, per le posizioni sulle droghe. Che cosa fa don Pierino Gelmini? Diciamo che è alla testa di un impero antidroga. Centosessantaquattro comunità in Italia, 74 all’estero, Thailandia, Croazia, Bolivia, Costa Rica, Israele, Kazakistan... Sarebbero passate da qui in quarant’anni trecentomila persone con problemi di dipendenza. Curati come? Con la ”Cristoterapia”: ”Non farmaci né pasticche, piuttosto interveniamo sull’uomo, facciamo emergere il senso spirituale più profondo della sua esistenza”. All’inizio, isolamento anche dai familiari. Poi, lavoro. Ad Amelia ci sono laboratori artigianali, c’è da curare il giardino, da cucinare, da badare ai 450 animali dello zoo (leoni, serpenti, canguri...). Sugli inizi, esiste un racconto di Gelmini divenuto quasi leggenda. Era stato a vent’anni presidente del Comitato nazionale di liberazione del suo paese. Aveva superato l’amore (senza baci) per una ragazza, era stato parroco in Toscana, poi segretario di un cardinale in Vaticano: ”Una sera, camminando per piazza Navona, un ragazzo tutto malconcio seduto fuori Sant’Agnese mi strattonò: ”Non voglio soldi, damme ”na mano”. Lo portai a casa, nacque il primo nucleo delle mie comunità”. In Vaticano ritornò in trionfo, 20 ottobre 2000, quando Papa Wojtyla accolse in piazza San Pietro trentamila ”Gelmini boys”. Gelmini esulta quando viene varata la legge antidroga del Polo, legge che valorizza al massimo le comunità. Dichiara di essersi iniettato il virus dell’Aids (’Per sentirmi più vicino ai miei ragazzi, per sostenere la ricerca”). Annuncia con il ministro Gasparri che la Rai sta preparando una fiction sulla sua vita,fiction in vita, capita a pochissimi. Dieci anni fa un uomo, dichiarandosi suo portavoce, chiama i giornali e comunica che Gelmini è stato fermato nell’ambito di un’inchiesta per pedofilia. Falsità. La sua frase preferita: ”Tutto quel che serve a un uomo sta nel palmo di una mano: una michetta”. Un panino, come si dice a Pozzuolo Martesana, il suo paese nel Milanese» (Andrea Garibaldi, Corriere della Sera 4/8/2007) • «Nella vetrina un po’ opaca del clero italiano, don Piero Gelmini troneggia come un sacerdote intagliato in certezze antiche e immutabili. Altri navigano a vista, cercando di coniugare con mille giravolte il vangelo e il mondo, lui dispensa un cristianesimo solare, concreto, solido come un edificio che ha duemila anni e la previsione di durare finchè ci sarà il mondo. Insomma, un campione di quel cattolicesimo lombardo-veneto con forti venature sociali, che dal cardinal Ferrari arriva a don Gnocchi e all’ultima generazione di preti alfieri, a modo loro, del made in Italy sul versante religioso: lui, e con le dovute differenze, don Verzè, don Mazzi, pochi altri. Don Piero nasce in una casa santino di Pozzuolo Martesana, Lombardia profonda[...] Il padre gli insegna la carità, senza se e senza ma, come usava una volta: ”A casa mia c’era sempre posto per tutti, anche per i barboni”. In seminario ci entra a nove anni, secondo ritmi che oggi ci appaiono lunari e allora erano la norma. Dopo la guerra e dieci anni di apostolato oscuro come parroco di paesi poveri della Toscana, approda in Vaticano. Qui diventa, nientemeno, segretario del cancelliere di Santa Romana Chiesa, il cardinal Santiago Luis Copello. Potrebbe seguire i gradini di una carriera splendida, ma lo Spirito si diverte a scombinare i piani. Il 13 febbraio 1963 padre Jaguar, come lo chiamano, s’imbatte in un tossico buttato sugli scalini di una chiesa: ”Aiutami zì pre’, sto male”, gli dice quel ragazzo, un volto che Caravaggio avrebbe dipinto con scandolo dei benpensanti. Scocca la scintilla e don Pierino molla tutto, come don Gnocchi aveva piantato lì il Gonzaga e gli studenti dopo aver visto i mutilatini di ritorno dalla Russia. La sua ricetta, mentre teologi e doti discettano di teologia della liberazione e sfornano piramidi di documenti pararivoluzionari e cervellotici, è disarmante: Cristoterapia. Comincia ad abbozzare la sua comunità, recupera carrettate di giovani naufragati sulle siringhe e attraversa i bassifondi dell’umanità, sperimentando le invidie e i rancori di chi considera la missione un bel compitino. Resta impigliato in una truffa, viene arrestato, è additato insieme all’altrettanto celebre fratello, Frate Eligio, il cappellano del Milan considerato una sorta di Madre Teresa dei ricchi, è pure sospeso a divinis, poi viene prosciolto e rientra nei ranghi. Nel 1981 quel prete così lombardo, carismatico e inaffondabile, approda ad Amelia e fonda la Comunità Incontro. I primi tempi sono catacombali: perquisizioni, sospetti, voci. Poi la Cristoterapia sfonda. Il resto lo fanno la popolarità televisiva, guadagnata negli anni Novanta davanti alle telecamere Rai di Rock Cafè, e le buone amicizie nel Palazzo, cementate col mastice di robuste prediche ultraortodosse: ”Grazie Gianfranco per la legge antidroga - dice a Fini -. Affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani”. Don Pierino è fatto così: si sbilancia, non cerca la diplomazia, ama i toni grandiosi e le scenografie ad affetto speciale. Quando Berlusconi entra nell’auditorium di Amelia, lui lo accoglie facendo intonare un Alleluja a tremila voci; Silvio contraccambia staccando un assegno da 5 milioni di euro. A sinistra, dove non amano le sue visioni del mondo in bianco e nero, dicono che a furia di abbracciare leader della Cdl sia diventato un cappellano del centrodestra; i suoi ragazzi, che di morte se ne intendono, affermano che si può andare all’altro mondo in tre modi: ”Da uomini, da topi, da santi. Lui ha scelto la terza strada”. [...]» (’Il Giornale” 4/8/2007) • «Come per Carlo V, sul suo impero non tramonta mai il sole: ”Quando la sera mi addormento, benedico il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest pensando ai miei figli che soffrono”. I compleanni festeggiati in convention via satellite con leader politici e cardinali, una fiction Mediaset in lavorazione sull’’eroica epopea del prete anti-droga”, il Mulino Silla trasformato da rudere nella campagna di Amelia in sfavillante ”città della speranza”, casa madre di una multinazionale della speranza che nei cinque continenti assiste emarginati e accumula crediti nei palazzi del potere civile ed ecclesiastico, il seggio all’Onu come ong. ”Abbiamo trovato una casa distrutta e da qui abbiamo iniziato. Eravamo talmente poveri che mangiavamo pane, mortadella e una mela”, racconta il magnate della galassia cattolica ”non profit”. Tra i mille impegni, Don Pierino, ”prete non per caso”, si è pure conquistato sul campo i galloni di cappellano e guida spirituale della Casa della libertà. Del resto chiama tutti ”figli”: Silvio Berlusconi che gli dona pubblicamente 5 milioni di euro, i profughi del Sud-est asiatico soccorsi per lo tsunami e Alfredo, il primo ragazzo incontrato per caso a piazza Navona nel 1963 e strappato alla droga: ”Non voleva soldi, ma una prospettiva”. Da allora don Pierino ha rinunciato ”alla carriera in Vaticano per imbarcarmi in una corriera piena di balordi”. Adesso ad ogni festa della comunità si affollano decine di ministri e parlamentari, arcivescovi, personaggi dello spettacolo (da Gigi D’Alessio ad Amedeo Minghi), vip di Curia come il vicario papale Angelo Comastri e il cardinale Jorge Mejia. Insomma, trono e altare, palcoscenico e segrete stanze, senza mai temere incursioni in politica. ”Grazie Gianfranco per la legge anti-droga! Affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani”, incoronò Fini alla conferenza programmatica, davanti alla platea di partito in piedi ad applaudirlo: ”Sono con voi, non potevo essere altrove. Credo negli ideali che difendete”. Lanciando la crociata contro le unioni di fatto: ”Esiste un solo matrimonio, sacro ed inviolabile. Difendetelo!”. Quando [...] anni fa il premier Berlusconi, accompagnato dai ministri Buttiglione, Lunardi e Gasparri, varcò la soglia dell’auditorium Incontro, don Pierino lo fece accogliere da un sacrale ”Alleluja” cantato a tremila voci. Eppure, in pieno Giubileo, aveva bacchettato i ”ragazzi” per l’accordo diabolico tra il Polo e l’antiproibizionista Pannella: ”Casini, Buttiglione, guardatemi in faccia: ci tradite per un piatto di lenticchie?”, tuonò don Pierino. Ci fu bisogno di un ”vis-à-vis” chiarificatore con ”il buon cristiano Silvio” per esorcizzare l’avvicinamento. Ok chiudere un occhio per benedire la Lega che inneggia al dio Po (’Ha mostrato buona volontà rinunciando a perseguire l’indipendenza della Padania”), però Pannella e la Bonino ”sono trent’anni che lottano per la legalizzazione delle droghe leggere”. E le sfuriate ai leder diventano tirate d’orecchi ai fedelissimi Gasparri e Ronconi. Alla vigilia delle ultime elezioni, il segretario Dc Gianfranco Rotondi voleva don Pierino al governo: ”Noi del Polo chiederemo l’autorizzazione vaticana per nominare don Pierino sottosegretario alla lotta alla droga”. La sua influenza cresce senza sosta anche nella Chiesa. Apre comunità in Spagna e Colombia assieme ai Cappuccini, a Gerusalemme su incarico dell’arcivescovo Michel Sabbah, in Libano e in Siria del Patriarca di Antiochia, Maximos V, in Bolivia della conferenza episcopale. Nel 1990, ”colpito dalle sofferenze dei miei malati di Aids”, sperimenta su di sé ”come cavia” (al San Raffaele, l’ospedale-laboratorio dell’amico don Verzè) il vaccino anti-Hiv. Il 20 ottobre 2000 Giovanni Paolo II, riceve in piazza San Pietro in udienza riservata 30mila ”Gelmini-boys” e consacra ufficialmente la ”Cristoterapia” di don Pierino come metodo di recupero dall’emarginazione e dalla droga. [...]» (Giacomo Galeazzi, ”La Stampa” 3/8/2007) • «C’è stato un altro don Pierino prima di don Pierino. Un prete che ha sempre sfidato le convenzioni, ma che di guai con la giustizia ne ha avuti tanti, ed è pure finito in carcere un paio di volte. A un certo punto è stato anche sospeso ”a divinis”, salvo poi essere perdonato da Santa Romana Chiesa. il don Gelmini che non figura nelle biografie ufficiali. I fatti accadono tra il 1969 e il 1977, quando don Pierino era ancora considerato un ”fratello di”. Una figura minore che viveva di luce riflessa rispetto al più esuberante padre Eligio, confessore di calciatori, amico di Gianni Rivera, frequentatore di feste, fondatore delle comunità antidroga ”Mondo X” e del Telefono Amico. Anni che furono in salita per don Pierino e che non vengono mai citati nelle pubblicazioni di Comunità Incontro. Per forza. Era il 13 novembre 1969 quando i carabinieri lo arrestarono per la prima volta, nella sua villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, alla periferia di Roma. E già all’epoca fece scalpore che questo sacerdote avesse una Jaguar in giardino. Lui, don Pierino, nella sua autobiografia scrive che lì, nella villa dell’Infernetto, dopo un primissimo incontro-choc con un drogato, tale Alfredo, nel 1963, cominciò a interessarsi agli eroinomani. In tanti bussavano alla sua porta. ”Ed è là che, ospitando, ancora senza tempi o criteri precisi, ragazzi che si rivolgono a lui, curando la loro assistenza legale e visitandoli in carcere, mette progressivamente a punto uno stile di vita e delle regole che costituiranno l’ossatura della Comunità Incontro”. All’epoca, Gelmini aveva un certo ruolo nella Curia. Segretario di un cardinale, Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires. Ma aveva scoperto la nuova vocazione. ”Rinunciai alla carriera per salire su una corriera di balordi”, la sua battuta preferita. I freddi resoconti di giustizia dicono in verità che fu inquisito per bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto, e truffa. Lo accusarono di avere sfruttato l’incarico di segretario del cardinale per organizzare un’ambigua ditta di import-export con l’America Latina. E restò impigliato in una storia poco chiara legata a una cooperativa edilizia collegata con le Acli che dovrebbe costruire palazzine all’Eur. La cooperativa fallì mentre lui rispondeva della cassa. Il giudice fallimentare fu quasi costretto a spiccare un mandato di cattura. Don Pierino, che amava farsi chiamare ”monsignore”, e per questo motivo si era beccato anche una diffida della Curia, sparì dalla circolazione. Si saprà poi che era finito nel cattolicissimo Vietnam del Sud dove era entrato in contatto con l’arcivescovo della cittadina di Hué. Ma la storia finì di nuovo male: sua eminenza Dihn-Thuc, e anche la signora Nhu, vedova del Presidente Diem, lo denunciarono per appropriazione indebita. Ci fecero i titoloni sui giornali: ”Chi è il monsignore che raggirò la vedova di Presidente vietnamita”. Dovette rientrare in Italia. Però l’aspettavano al varco. Si legge su un ingiallito ritaglio del Messaggero: ”Gli danno quattro anni di carcere, nel luglio del ”71. Li sconta tutti. Come detenuto, non è esattamente un modello e spesso costringe il direttore a isolarlo per evitare ”promiscuità’ con gli altri reclusi”. Cattiverie. Fatto sta che le biografie ufficiali sorvolano su questi episodi. Non così i giornali dell’epoca. Anche perché nel 1976, quando queste vicende sembravano ormai morte e sepolte, e don Pierino aveva scontato la sua condanna, nonché trascorso un periodo di purgatorio ecclesiale in Maremma, lo arrestarono di nuovo. Questa volta finì in carcere assieme al fratello, ad Alessandria, per un giro di presunte bustarelle legate all’importazione clandestina di latte e di burro destinati all’Africa. Si vide poi che era un’accusa infondata. Ma nel frattempo, nessuna testata aveva rinunciato a raccontare le spericolate vite parallele dei due Gelmini. Ci fu anche chi esagerò. Sul conto di padre Eligio, si scrisse che non aveva rinunciato al lusso neppure in cella. Passata quest’ennesima bufera, comunque, don Pierino tornò all’Infernetto. Sulla Stampa la descrivevano così: ”Due piani, mattoni rossi, largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, giardino, piscina e due cani: un pastore maremmano e un lupo. A servirlo sono in tre: un autista, una cuoca di colore e una cameriera”. Tre anni dopo, nel 1979, sbarcava con un pugno di seguaci, e alcuni tossicodipendenti che stravedevano per lui, ad Amelia, nel cuore di un’Umbria che nel frattempo si è spopolata. Adocchiò un rudere in una valletta che lì chiamavano delle Streghe, e lo ottenne dal Comune in concessione quarantennale. Era un casale diroccato. Diventerà il Mulino Silla, casa-madre di un movimento impetuoso di comunità. Gli riesce insomma quello che non era riuscito al fratello, che aveva anche lui ottenuto in concessione (dal proprietario, il conte Ludovico Gallarati Scotti, nel 1974) un rudere, il castello di Cozzo Lomellina, e l’aveva trasformato, grazie al lavoro duro di tanti volontari e tossicodipendenti, in uno splendido maniero. Ma ormai la parabola di padre Eligio era discendente. Don Pierino, invece, stava diventando don Pierino» (Francesco Grignetti, ”La Stampa” 5/8/2007) • «[...] Nelle diciassette pagine della richiesta di rinvio a giudizio il pm ha riassunto i dodici episodi che hanno visto don Pierino costringere ragazzi a subire le sue attenzioni sessuali scrivendo: ”Mediante la minaccia di avvalersi della sua autorità e della conoscenza di numerosi personaggi politici influenti, e promettendo favori tramite dette conoscenze, induceva Michele I. (ma la ricostruzione è simile per tutte le vittime, ndr) a soddisfare le sue richieste sessuali, masturbandolo e baciandolo reiteratamente…”. Gli episodi spaziano dal 1997 al 2007 ma il pm durante la sua requisitoria sottolinea, citando un’intercettazione telefonica: ” dagli anni ”70 che c’erano denunce di episodi di questo genere, che se ne parlava all’interno della comunità…”. Per poi aggiungere: ”Don Pierino arriverà a commettere l’ultimo episodio di molestia sessuale tra il marzo e il maggio del 2008. Significa che questo soggetto evidentemente è affetto da un vizio compulsivo irrefrenabile, da un impulso di insana libido sessuale…”. Ed è lo stesso pm che cita la ”stanza del silenzio”, la camera attigua alla segreteria della comunità, dove gran parte delle vittime sono state molestate e da dove molti testi ricordano di aver visto uscire ”tanti ragazzi per lo più stranieri, disperati e in lacrime…”. Il rinvio a giudizio di don Pierino è la conclusione di una faticosa inchiesta iniziata nel 2005 dopo la seconda denuncia di Michele I., un ragazzo che era stato ospite della comunità di Amelia. La prima denuncia, presentata nel 2000 da Michele I., era stata archiviata dall’allora procuratore capo Cesare Martellino di cui però nell’aprile 2007 era stata intercettata una conversazione con don Gelmini in cui diceva del pm Marzullo: ”Mi preoccupa quella signora, è un tipaccio, difficilmente controllabile ed è pure cattiva e di estrema sinistra…”. Cinque anni dopo la prima denuncia però l’aria alla Procura di Terni affidata a Fausto Cardella era cambiata. Gli investigatori della squadra mobile e il pm Barbara Mazzullo avevano raccolto le prove di almeno dodici episodi di pesanti molestie, scoprendo che almeno due delle vittime erano minorenni» (Meo Ponte, ”la Repubblica” 19/6/2001).