3 settembre 2004
Tags : Charly. Gaul
Gaul Charly
• Nato in Pfaffenthal (Lussemburgo) l’8 dicembre 1932, morto in Lussemburgo il 6 dicembre 2005. Ciclista. Vincitore del Tour de France 1958, terzo nel 1955 e nel 1961, nono nel 1962. Vincitore del Giro d’Italia 1956 e 1959, terzo nel 1958 e nel 1960, quarto nel 1957 e nel 1961. Terzo ai mondiali del 1954. «L’avevano battezzato Angelo della Montagna. Fisico da peso piuma, volto da eterno bambino sul quale raramente la fatica riusciva ad aprire delle crepe, muscoli da camoscio, cuor di leone [...] Era da poco nata la televisione quando vinse il suo primo Giro d’Italia (1956), gli sportivi allora vivevano il ciclismo alla radio e attraverso le appassionate cronache delle pagine sportive. Gaul non ebbe dunque il sostegno mediatico che l’avrebbe reso superman. Peccato per lui e per l’audience che la tivù avrebbe potuto raccogliere, perché fu personaggio alla Pantani, la montagna lo ispirava e lo proiettava verso imprese leggendarie. Appena la strada saliva, si alzava sui pedali ”en danseuse”, danzando, come si usava dire nella lingua ufficiale del ciclismo. Pedalava a ritmo impossibile, innescando rapporti piccolissimi. E faceva il vuoto. Come Pantani? ”Meglio di Pantani” [...] perché intanto sapeva vincere anche a cronometro, come dimostrò nel Tour del 1958 quando ribaltò la classifica prima in una tappa alpina gonfia di pioggia e di freddo, recuperando un quarto d’ora a Geminiani, poi strappando la maglia gialla all’azzurro Vito Favero nell’ultima prova contro il tempo. Ma anche sulle montagne interpretava la corsa a modo suo, non aspettava la salita finale, spiccava il volo appena la strada cambiava pendenza. Con Pantani lo accomuna purtroppo una vita tribolata una volta diventato ”ex”. Allora non si parlava di droga, fu l’alcol a metterlo kappaò, ebbe incidenti d’auto, sperperò molto denaro, visse a lungo isolato e quasi da barbone, fu abbandonato dalla famiglia. Lo salvò una donna, che lo riportò all’onor del mondo. [...] Le vicende sportive italiane di Gaul sono legate al Bondone, la montagna di Trento che una volta lo esaltò e poi lo condannò. Gli sportivi meno giovani ricordano ancora quel Giro del 1956, l’ultimo di Fiorenzo Magni, i giovani Fornara e Defilippis all’attacco, la sfida tra Gaul e lo spagnolo Bahamontes, che sembrava circoscritta alla maglia di miglior scalatore. Tappa del Bondone, Fornara in rosa. In Valsugana il Giro è investito dalla tormenta, 10 centimetri di neve sulle strade, temperatura fino a meno 4. I girini stremati si rifugiano nelle cascine, davanti al fuoco. [...] Si ritirano in una sessantina, dalla tormenta sbuca Gaul che vince con 7’44” su Fantini e 12’15” su Magni. I militari lo portano a braccia in un rifugio, avvolto in una coperta: è semiassiderato. [...] l’anno dopo, il Bondone castigò il suo re un po’ impertinente. Gaul, maglia rosa con buon margine e il Giro in pugno, si fermò a fare pipì lungo la strada e, mentre passava il gruppo, fece un gesto di scherno a Louison Bobet, come a dire che poteva permettersi quello e altro. Con i francesi non era mai corso buon sangue. Bobet si scatenò all’attacco, convinse i migliori del gruppo ad aiutarlo, l’inseguimento diventò un inferno. ”Còmprati qualche alleanza”, suggerì Coppi, che era al seguito del Giro, al solitario inseguitore Gaul. ”Troppo tardi - gli rispose il lussemburghese -. L’ha già fatto Bobet”. Sul Bondone, Gaul arrivò asfissiato, andò alla deriva. Fu Nencini a vincere quella Corsa Rosa, con 19” su Bobet. Gaul chiuse la carriera correndo per una squadra del Cuneese, la Gazzola di Mondovì. Una carriera da eroe del grande ciclismo, dice ancora oggi chi l’ha visto da vicino» (Gianni Romeo, ”La Stampa” 7/12/2005). « La prima volta che morì, fu salvato da una banana, da un gruppo di alpini e da un bagno caldo. L’8 giugno del 1956 il lussemburghese Charly Gaul era più di qua che di là: vinse sul Monte Bondone la penultima tappa del Giro che poi avrebbe conquistato, primo straniero a riuscirci. C’erano quattro gradi sotto zero, la maglia non si staccava più dalla pelle e la mascella non si apriva. Dopo mezz’ora nella vasca Gaul riprese coscienza e chiese: ”Dove sono?”. [...] ”Il Bondone ha segnato la mia vita nella gioia e nel rimpianto - raccontò alla Gazzetta -. La gioia nel 1956, quando vinsi: ricordo che stavo cadendo in una crisi di fame, quando uno spettatore mi allungò una banana (che ingoiò senza sbucciare, ndr). Fu la mia salvezza. Il rimpianto nel 1957, quando persi: mi fermai per fare la pipì, Bobet (con Geminiani) lanciò l’attacco, scoppiò la guerra, e io ci rimisi la maglia rosa. A ripensarci, mi vengono ancora i nervi”. Così Gaul, che vinse anche nel 1959 davanti a Jacques Anquetil, si guadagnò anche il soprannome di ”Monsieur Pipì”. Ma lui, che da ragazzo aveva portato a termine la scuola di formazione da macellaio e si premurò di ricordarlo all’infido Geminiani, era soprattutto l’uomo della pioggia e del ghiaccio, anche se vinse pure sul Vesuvio: ”Stavo bene nell’acqua e nel freddo...”. Sembrava fragile, 64 chili su 174 centimetri, ma era indistruttibile: fu il primo scalatore puro a vincere il Tour de France nel 1958, trionfando sul Ventoux davanti a un altro mito come lo spagnolo Bahamontes e sotto la pioggia fitta delle Alpi. [...] Gaul amava la caccia e la pesca, ma anche la solitudine (che lo portò a condurre una lunga vita da eremita in una roulotte fra i boschi) e i matrimoni (tre). Un altro scalatore, un suo erede, risvegliò in lui l’amore per le gare, per le ali di folla, per l’agonia della salita. Si chiamava Marco Pantani e per Gaul, a metà anni 90, ”era l’essenza stessa del ciclismo”. Altro non gli interessava, se non chi vinceva in salita per distacco, magari con quel fondo di malinconia negli occhi, come lui, che quasi era morto in corsa e dopo la resurrezione non smise mai di chiedersi ”Dove sono?”» (Paolo Tomaselli, ”Corriere della Sera” 7/12/2005). «[...] venne definito ”re dei grimpeur” e ”Angelo della montagna”. Un angelo, lo dicevano gli avversari, che diventava un diavolo quando il clima costringeva alla resa campioni particolarmente dotati fisicamente. Lo ricordiamo al Giro del 1956 schierato da Learco Guerra che si era abbinato alla Faema. Il venticinquenne lussemburghese era atteso perché al Tour dell’’anno prima era finito terzo. A parlare di lui si divertivano molto Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello che si esibivano alla televisione nella trasmissione ”Giro a segno”. Nella 9ª tappa di 205 km da Pescara a Campobasso, Charly prese il volo e vinse con 1’01’’ su Wagtmans e 2’17’’ su Monti. Il 2 giugno ci fu la cronoscalata di 2.450 metri da Bologna al Santuario di San Luca e Gaul stupì perché vinse impiegando 3’’ meno del favorito Bahamontes. La maglia rosa rimase a Fornara. Le sorprese non mancarono e un disorientato Gaul rotolò nella classifica. Per trovarlo si doveva scendere al 24° posto. Il suo ritardo era di 16’05’’. La mattina dell’8 giugno, quando si lasciò Merano per puntare sul Passo di Costalunga, la prima delle 5 montagne del tappone delle Dolomiti, si capì che il tempo sarebbe stato molto brutto. E fu così, purtroppo. La corsa fu sconvolta e consentì a Gaul, trasformatosi da ”angelo” a ”diavolo” di vincere la tappa e il Giro dopo una galoppata attraverso Costalunga, Rolle, Gobbera, Brocon, sino al calvario del Bondone. Gaul arrivò in trance. [...]» (Rino Negri, ”La Gazzetta dello Sport” 7/12/2005). «[...] Si diceva fra appassionati e tifosi, quasi a sminuirne i meriti, che girasse ”da campione” rapporti ”da maestrina”. Erano gli anni ’50, tempi in cui la bici era ancora un mezzo da trasporto usatissimo e le maestrine, appunto, pedalavano con facile agilità. [...]» (Eugenio Capodacqua, ”la Repubblica” 7/12/2005). Ha scritto Mario Fossati: «[...] un fusto leggero, un giro di pedale di ineguagliabile agilità e vivacità è stato un arrampicatore originalissimo che non ha avuto l’eguale. Andava su, con la levità di un uccellino, che guadagna la vetta non già aggredendola ma trinciandola, con la marcia ciclistica più bassa, minima: immaginate un uccellino, che saltella in rapido volo di proda in proda irridendo i conquistatori di vetta. Mi spiego: non già lo stile di Bartali, che si arrampicava a raffiche, quasi desse sfogo a una cupa ira interna, e nemmeno di Coppi, che distendeva la sua lunga azione sui pedali. Un giorno al Tour, per sfottermi, forse, per provocarmi il mio amico e maestro Gianni Brera mi chiese una definizione tecnico-meccanica dell’azione di Gaul: sbottai, lui usa un rapporto da maestrina: la boutade ebbe un duraturo successo. Il miglior Gaul era una piuma che si posava in cima. L’irrispettoso ”cheri-pipì” gli derivava da uno di quegli episodi, che segnano le cronache, che le scolorano in senso domestico e di umiltà. Dunque, in quel Tour, Gaul era in classifica e aveva pressoché portato a termine, una difficile tappa, allorché decise, afferrato da un bisogno fisiologico (allora scrivevamo così) di mettere piede a terra. Lo scorse Luison Bobet, e diede l’allarme: ne nacque una rumba d’annata e Gaul perse la tappa e la classifica. Nel dopocorsa Gaul, fuori della grazia di Dio sbottò: se scorgo Bobet, gli apro la gola. Come nelle favole sbucò, allora, fortunatamente Learco Guerra, suo direttore tecnico. Guerra lo gelò: che cosa dici?, domani ti regalerò un ”pappagallo”. L’indomani, Gaul lesse ”Brera”, e andò nuovamente imbestialendo: ”Io sarei un vile perché perdo in discesa tutto ciò che guadagno in salita. Io per ’tuffarmi’ sono stato leggero”. Comunque Charly voleva fare a botte con il mio amico. Riferii a Brera. ”Devi dirgli, mi intimò, che io sono un peso massimo e lui, per sua stessa ammissione un peso mosca”. Intervenne il Baker d’Isy, vecchio suiveur, intervenne presso Gaul e Gaul capì. Davanti a una bottiglia di Muscadet, Brera e Gaul sbottarono in una risata. [...] Confidò a Baker, di essere un filosofo. ”Fai conto, un filosofo irsuto”. Accadde al Tour, che Anquetil, disfatto dalla fatica si ritirasse. Anquetil in deliquio parve perduto per il ciclismo. Nella notte, Anquetil sognò di inseguire invano un fantoccio, che non appena ripreso, si dissolveva per riapparire più su. Anquetil sosteneva che il fantoccio aveva la silhouette inconfondibile di Gaul. [...]» (Mario Fossati, ”la Repubblica” 7/12/2005). «Misterioso e fragile, leggendario scalatore che appartiene al patrimonio del ciclismo del Novecento, [...] basta evocarne il nome per far balzare alla memoria la sua inconfondibile sagoma, solo al comando fra le montagne. Uno dei più grandi arrampicatori del secolo, protagonista di imprese che appartengono più alla leggenda che alla storia di questo sport. Imprese vincenti e sconfitte paurose, piccoli e grandi drammi, rocamboleschi trionfi su scenari per lui consueti. In pratica esistono solo Giro e Tour per le sue esibizioni ad effetto [...] Giro, Tour e montagne. In assoluto Gaul resta legato al Bondone, la montagna di Trento, ed a quella giornata di bufera e di neve che hanno segnato per sempre il Giro d’Italia. Stagione ’56 [...] Fornara è in rosa, Gaul sembra più che altro impegnato a duellare in montagna con Bahamontes, essendo in classifica a 16’ dal leader, ma in Trentino quel giorno si scatena il finimondo. In Valsugana è quasi impossibile procedere con la neve sulle strade. Si va ai 10 all’ora con un freddo assurdo. Ad uno ad uno i corridori letteralmente assiderati sono costretti a fermarsi con principi di congelamento. C’è chi sviene e cade a terra privo di sensi, la temperatura scende a meno dieci gradi, abbandonano in 60. Ed è in quelle condizioni che Gaul si esalta, ribaltando letteralmente la classifica del Giro. Sul Bondone è solo con 7’44’’ di vantaggio su Fantini, 12’15’’ su Fiorenzo Magni, distacchi abissali sugli altri 40 rimasti in gara. Gaul arriva e viene avvolto in una coperta, stremato e boccheggiante e portato in un rifugio dai militari a braccia. Polemiche e accuse si sprecano. Si doveva fermare il Giro? E soprattutto è stata regolare la corsa? C’è chi sussurra che in tanti siano saliti su un camion nella vallata, quando era quasi impossibile procedere, per poi rimontare in bicicletta verso il Bondone. Si accenna a nomi grossi, chissà. [...] Gaul vinse poi per la seconda volta il Giro dando spettacolo ancora una volta in montagna. Era la stagione ’59, l’avversario si chiamava Anquetil, dominatore a cronometro e padrone della corsa. Ma nel tappone valdostano di 300 km verso Courmayer, Gaul si scatenò sul Piccolo S. Bernardo dal versante francese e poi proprio verso il traguardo finale in salita. Dicono i presenti di non aver mai visto niente di simile. Anquetil andò in crisi beccandosi 9’, Gaul piombò sul traguardo stravolto. Si rifugiò in auto evitando anche il cerimoniale di premiazione. Andò a nascondersi in albergo, per riprendersi. Gli applausi li ricevette il giorno dopo nella passerella trionfale in rosa verso Milano. Il Tour lo vince invece nel ’58 sempre in quella folle maniera. Ribaltando la classifica in una tappa alpina nella Valle della Chevreuse in un uragano di pioggia e freddo attaccando sul Luitel, incrementando il vantaggio sul col de Porte, sul Cucheron e sul Granier. Aveva un quarto d’ora di ritardo sulla maglia gialla Geminiani e glielo ha ripreso. Gli restava da battere l’italiano Vito Favero, clamorosamente in giallo. Ma l’ultima crono fu fatale al trevigiano. [...]» (Beppe Conti, 100 Campioni del Novecento, Graphot 2002).