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 2004  agosto 26 Giovedì calendario

Nell’antica Grecia Morfeo, il dio del sonno, era raffigurato come un giovane con grandi ali di farfalla, tra le braccia un fascio di papaveri e una cornucopia da cui escono i sogni

Nell’antica Grecia Morfeo, il dio del sonno, era raffigurato come un giovane con grandi ali di farfalla, tra le braccia un fascio di papaveri e una cornucopia da cui escono i sogni. Fin dall’antichità, quindi, il sonno è stato percepito come quiete, distacco dalle fatiche quotidiane e recupero di energia. Questo è vero per molti ma non per tutti. Può capitare che dormire sia una sorta di condanna: succede a chi soffre di narcolessia, disturbo conosciuto fin dall’Ottocento, caratterizzato da improvvisi e irrinunciabili episodi di sonno che si verificano improvvisamente. Recentemente un gruppo di ricercatori della Stanford University, in California, ha pubblicato sulla rivista ”Nature Medicine” i risultati di uno studio effettuato post mortem sui cervelli di pazienti affetti da narcolessia. S’è visto che nell’ipotalamo, zona del cervello in cui si svolgono diverse funzioni (tra cui la regolazione del peso e della temperatura del corpo, dei meccanismi della fame, della sete e del freddo e della regolazione del ritmo sonno-veglia) è ridotto il numero di cellule che producono ipocretina, sostanza nota con il nome di orexina e coinvolta nei meccanismi di regolazione dell’appetito. A questo s’aggiunge il risultato di una ricerca dell’Howard Hughes Medical Institute di Dallas, effettuato in laboratorio creando topi non in grado di produrre l’ipocretina: una volta messi sulla ruota della loro gabbietta, gli animali non riuscivano a rimanere svegli ma cadevano addormentati. A conferma di questi risultati ci sono le evidenze cliniche: «Dall’analisi del liquido cefalorachidiano di pazienti narcolettici» spiega Giuseppe Plazzi, responsabile del laboratorio di polisonnografia del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università di Bologna e coordinatore del gruppo italiano di narcolessia, «si vede chiaramente che queste persone hanno quantità di ipocretina inferiori alla norma». Non basta. Uno studio effettuato proprio dal gruppo di Plazzi riporta i dati ottenuti dall’analisi di pazienti vivi attraverso la spettroscopia in risonanza magnetica, tecnica diagnostica con cui è possibile ottenere immagini di particolari zone del cervello: «è stato così possibile vedere che nell’ipotalamo dei narcolettici scarseggiano le cellule deputate alla produzione di ipocretina», conferma Plazzi. «La narcolessia», spiega Plazzi, «è caratterizzata anzitutto da eccessiva sonnolenza diurna con attacchi di sonno non procrastinabili, non desiderati e spesso non preavvertiti. Questo non accade perché il narcolettico dorme male la notte: il sonno notturno è generalmente normale, ma durante il giorno può manifestarsi una spinta irresistibile a schiacciare un pisolino e questo può verificarsi nei momenti meno opportuni, nel corso di una conversazione, durante una lezione in classe, alla fermata dell’autobus o a cena». Ad aggravare il quadro la presenza della cataplessia, cioè la rapida perdita del tono muscolare generale o anche solo delle gambe, che può essere causata da emozioni come il riso, la collera, l’eccitazione, la sorpresa: «Un attacco cataplettico può portare solo a una leggera debolezza, ma può anche causare una quasi completa perdita del controllo muscolare per alcuni minuti tanto da provocare una caduta», precisa il ricercatore bolognese. Più rare sono le allucinazioni ipnagogiche, esperienze sensoriali che si verificano all’inizio o alla fine di un periodo di sonno, così intense e spesso spaventose che il paziente fa fatica a distinguere il sogno dalla realtà. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che il sonno del narcolettico è particolare: «Entra subito nella fase detta Rem (quella dei sogni)», spiega Plazzi, «cosa che invece un soggetto normale fa dopo circa 60 minuti dall’addormentamento». Come se non bastasse a questo può aggiungersi la paralisi del sonno, cioè la sensazione di essere paralizzati all’inizio e alla fine di un episodio di sonno, nonostante la consapevolezza di essere svegli. Un simile quadro sintomatologico influisce pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre: «Uno studio da noi effettuato mette in evidenza come le relazioni sociali e familiari di questi pazienti siano notevolmente compromesse», racconta Plazzi, «anche se dal momento della diagnosi la qualità della vita subisce un miglioramento». Ma proprio nella diagnosi sta un altro dei problemi legati alla malattia: «Attualmente in Italia ci sono 1.000 casi, ma si stima che in realtà ci sia un malato ogni 2.000 persone», precisa Plazzi. I motivi di questa sottostima hanno radici culturali: spesso la persona con eccessiva sonnolenza viene considerata pigra o ancor peggio depressa, cosa che non spinge a indagare. Bisogna precisare, però, che la diagnosi di narcolessia non è semplice, si può fare solo con uno studio del sonno, quindi rivolgendosi a centri specializzati. Centri in cui è possibile venire a conoscenza delle terapie per la narcolessia: si tratta di una malattia cronica quindi le cure non portano a guarigione ma al controllo dei sintomi. Anzitutto si possono variare le proprie abitudini quotidiane: «Un narcolettico che sa di esserlo potrà programmare vari riposini durante la giornata in base alla propria attività», chiarisce Plazzi, «questo gli consentirà di prevenire gli addormentamenti improvvisi e svolgere con normalità le incombenze quotidiane». A questi accorgimenti si possono affiancare cure farmacologiche: in mancanza di anfetamine, escluse dal ricettario nazionale, si utilizzano principalmente antidepressivi inibitori del sonno Rem e stimolanti. Tra questi il più usato è il modafinil, un farmaco in grado di estendere lo stato di veglia senza provocare agitazioni o alterazioni della lucidità come può accadere con le anfetamine. «Purtroppo in Italia ci sono meno farmaci disponibili che in altri Paesi», commenta Plazzi. «Il gammaidrossibutirrato, per esempio, nel nostro Paese è messo al bando come droga, mentre negli Stati Uniti sta dimostrando una buonissima efficacia per la cura di questi malati». Ma la ricerca continua: gli scienziati sperano di riuscire a trovare una cura efficace e magari definitiva per questo popolo di ”dormiglioni”, che loro malgrado scivolano troppo spesso tra le braccia di Morfeo. Simona Lambertini