Giusy Cinardi, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
Alla fine del Settecento, il capitano James Cook, dopo un viaggio nei mari del Sud, coniò il termine tattoo: «L’operazione che viene chiamata tattaw dai nativi lascia un segno indelebile sulla pelle»
Alla fine del Settecento, il capitano James Cook, dopo un viaggio nei mari del Sud, coniò il termine tattoo: «L’operazione che viene chiamata tattaw dai nativi lascia un segno indelebile sulla pelle». La parola tattaw deriva da ta che nei dialetti polinesiani significa ”battere” come il suono delle bacchette durante l’esecuzione del tatuaggio. L’invenzione della macchina elettrica si deve invece a Samuel O’Reily, verso il 1880: voleva elevare il tatuaggio ad arte e chiamò i tatuaggi ”tattoografici” e se stesso ”il professore”. In realtà, i tatuaggi li facevano anche i romani, ma con urina e bile. Nell’antica Grecia, invece, se ne usavano di segreti per riconoscere le spie. Le donne cinesi ritenevano che i tatuaggi, con i tagli sulla pelle, facessero uscire gli spiriti maligni. Nel Giappone del XVIII secolo alla prima condanna veniva tatuata sulla fronte una linea orizzontale; alla seconda una linea che incrociava la prima e alla terza un’ultima che completava l’ideogramma inu, che significa ”cane”. La convinzione che i tatuaggi aiutassero a riconoscere i criminali è cresciuta con l’uso degli affiliati alla Yakuza, la mafia locale, di ricoprirsene. Durante i Mondiali nippocoreani del 2002, per evitare grane, ai tifosi occidentali con tatuaggi fu consigliato di rimanere con la maglia... non si sa mai!