Marzia Mazzonetto, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
Agli occhi della biologia, l’innamoramento non è niente più che un processo involontario, un po’ come l’ansia e la paura
Agli occhi della biologia, l’innamoramento non è niente più che un processo involontario, un po’ come l’ansia e la paura. E come ogni emozione che si manifesta, porta con sé varie reazioni fisiche, spesso legate a una maggiore sensazione di benessere. Ma è davvero possibile spiegare l’amore in termini scientifici? Per gli scienziati, che da anni si occupano di questo tema, la chimica è indubbiamente alla base dei sentimenti. Tra gli esperti, c’è chi studia quali parti del nostro cervello s’attivano nel momento in cui siamo attirati dal partner e c’è chi indaga livelli e funzioni di ormoni e molecole coinvolti nell’innamoramento. Per tutti, alla base delle ricerche c’è un’affermazione comune a molti processi irrisolti del nostro corpo: non sappiamo ancora perché nascono, ma possiamo studiare come si esprimono. Una soluzione che potrebbe lasciare soddisfatti scienziati e romantici. Il processo che fa scattare nel corpo la lunga serie di reazioni più o meno note che associamo all’amore è ancora avvolto dal mistero. Mentre sono sempre più le scoperte che fanno luce su emozioni e dolori delle nostre relazioni sentimentali. La più recente è di un’italiana, Donatella Marazziti, psichiatra all’Università di Pisa, che da anni s’occupa di studi neurologici sull’amore. Pubblicata dalla rivista britannica ”New Scientist”, la ricerca afferma che durante il periodo dell’innamoramento il livello di testosterone, ovvero l’ormone che regola aggressività e impulso sessuale, aumenta nelle donne e diminuisce negli uomini. «è un po’ come se la natura tendesse per un momento a eliminare le differenze tra i due sessi» spiega Marazziti. «Normalmente negli uomini il livello di questo ormone è molto più alto che nelle donne. Mentre viviamo l’innamoramento, però, il nostro corpo perde temporaneamente una delle sue caratteristiche fondamentali per assomigliare sempre di più al partner». Secondo lo studio, che si è svolto su 12 coppie formate da non più di 6 mesi e su 12 di lunga data, questo fenomeno si verifica solo nella prima fase della relazione. Dopo pochi mesi i livelli di testosterone in entrambi i sessi ritornano alla normalità. «Secondo alcuni, la differenza nella produzione di testosterone può trovare una spiegazione nella maggiore attività sessuale delle coppie più recenti» prosegue la ricercatrice. «Ma dalle nostre osservazioni è emerso che le coppie di lunga durata facevano sesso quanto quelle appena formate. La vera sfida ora è cercare di capire cosa succede, soprattutto a livello ormonale, nelle coppie che resistono per molto tempo. Insomma, vorremmo capire quali sono i meccanismi che fanno funzionare un rapporto». Le ricerche della psichiatra pisana avevano fatto discutere già nel ’99, quando avevano dimostrato che, dal punto di vista neurologico, l’innamoramento assomiglia ai disturbi ossessivo-compulsivi. «La causa risiede in una diminuzione improvvisa del livello di serotonina, che ha un effetto calmante» prosegue la Marazziti. «Un sistema serotoninergico meno attivo ci rende più ricettivi nei confronti degli altri. Così i nostri pensieri son sempre rivolti al partner, unica fonte di felicità». Non solo, nell’innamoramento aumentano altri neurotrasmettitori, come noradrenalina e dopamina, che ci rendono più spensierati, più portati a curare l’aspetto esteriore. Spiega Marazziti: «Sono tutte strategie di sopravvivenza che cercano di rendere più facile lo stare insieme». Nel mondo sono sempre di più gli studi che stanno rivoluzionando la chimica dell’amore. Il più recente arriva dall’University College di Londra, dove un gruppo di ricercatori ha osservato cosa avviene nel cervello durante l’innamoramento: solo una piccolissima area del cervello s’attiva mentre tutta la nostra vita viene rivoluzionata. Le zone del cervello coinvolte dall’amore sono diverse da quelle attivate da altre sensazioni primordiali, come paura o rabbia, mentre sono le stesse che generano euforia quando ad esempio si fa uso di droghe. Forse è per questo che durante l’innamoramento i nostri circuiti neurali fanno vedere tutto in rosa, e non ci fanno accorgere dei difetti della dolce metà. Anche Helen Fisher, antropologa americana e ricercatrice tra le più famose nel settore, ha studiato il cervello. Le sue scoperte le ha pubblicate in un libro (’Why we love: the nature and chemistry of romantic love”, trad. ”Perché amiamo: la natura e la chimica dell’amore romantico”), nel quale cerca di rispondere a una domanda ambiziosa: cos’è l’amore? Per la studiosa si tratta di uno dei tre sistemi cerebrali che gli esseri umani hanno sviluppato per consentire la riproduzione. Assieme all’amore romantico, che ci permette di dedicare grande energia al partner, ci sono l’attrazione sessuale e l’attaccamento a lungo termine: la prima per accoppiarsi e il secondo per costruire una famiglia. Naturalmente ogni processo nasconde caratteristiche chimiche ben precise. E a far da padroni sono dopamina e norepinefrina, neurotrasmettitori che fanno in modo che tutti i nostri pensieri siano concentrati sul partner. Secondo la ricercatrice, quando si è attratti da un nuovo partner, nelle donne la parte più attiva del cervello è quella legata ai ricordi, mentre negli uomini s’accende quella associata agli stimoli visivi e all’erezione. Questa differenza è dimostrata anche dal fatto che nei maschi il ruolo dello sguardo è fondamentale, mentre le donne cercano di capire se il compagno è affidabile. La chimica dell’amore potrà un giorno risolvere le patologie legate alle relazioni sentimentali? è presto per dirlo. Può capitare di non innamorarsi mai. Tutto dipenderebbe dall’amigdala, l’area cerebrale che si trova nella profondità del lobo temporale: a volte non riesce a orchestrare la tempesta biochimica successiva all’innamoramento. Spesso succede in persone troppo controllate, che hanno imparato, inconsciamente, a bloccare gli stimoli che provengono dall’altro. Può capitare però che non ci s’innamori a causa d’esperienze traumatiche che hanno ingabbiato la sfera affettiva. In altri casi, invece, l’amore può diventare patologico, quasi ossessivo. Ma in generale l’innamoramento è quasi sempre positivo per la salute mentale. A far bene non è solo l’amore totalizzante, quello iniziale: secondo alcuni la fase dell’attaccamento potenzia il sistema immunitario e riduce lo stress. L’innamorato a lungo termine, quindi, s’ammala pure di meno. Marzia Mazzonetto