Pamela Nascetti, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
è stato concepito estraendo una cellula dalla pelle di un cavallo. Una tecnologia innovativa, proprio perché la cellula donatrice del nucleo proviene dalla cute, e non dal feto, ed è quindi un’entità completamente differenziata
è stato concepito estraendo una cellula dalla pelle di un cavallo. Una tecnologia innovativa, proprio perché la cellula donatrice del nucleo proviene dalla cute, e non dal feto, ed è quindi un’entità completamente differenziata. è il metodo utilizzato dal gruppo di ricerca di Cesare Galli, lo scienziato che per primo al mondo ha annunciato la clonazione di un cavallo, nel maggio del 2003, presso il laboratorio di Tecnologie della Riproduzione a Cremona. Il puledro, certamente di sesso maschile, questa volta sarà il clone di un campione arabo e nascerà ad agosto. Questo dovrebbe essere il secondo cavallo clonato dal gruppo di Galli. Un altro successo che confermerebbe la validità dell’innovativa metodologia italiana e sfata la convinzione che il cavallo sia una specie impossibile da clonare. «In realtà le difficoltà sono dovute al fatto che la fecondazione assistita negli equini, contrariamente a quanto avviene per i ruminanti, è meno praticata e quindi meno conosciuta» afferma Galli. In particolare l’attivazione dell’ovocita, interruttore che consente la fusione con il nuovo nucleo e dà avvio alla fusione cellulare, è piuttosto complessa. «Il problema consiste proprio nel fatto che il nucleo deve subire un processo di deprogrammazione e poi riprogrammazione completo, per dare origine al clone dell’individuo donatore» spiega ancora il ricercatore. «Inoltre l’ovocita fecondato viene coltivato in vitro fino allo stadio di blastocisti (cioè fino alla 5ª-6ª settimana di vita dell’embrione, ndr), costituito da un centinaio di cellule, e solo allora viene introdotto nella madre, pratica che aumenta la probabilità di ”attecchimento” dell’embrione e riduce il numero di puledre riceventi che ”prestano” l’utero» prosegue Galli. « doveroso chiarire, per coloro che non vedono di buon occhio questo tipo di sperimentazione, che ciò che facciamo ha valore scientifico e ci può aiutare a capire i processi legati al differenziamento cellulare, muovendo così un primo passo verso la produzione di cellule staminali embrionali totipotenti in grado cioè di rigenerare ogni tipo di tessuto danneggiato. La metodologia, però, non è ancora divenuta terapia, siamo in fase di sperimentazione e ne stiamo sondando le potenzialità». Sebbene la produzione preveda costi altissimi (sono stati spesi 100.000 euro per far nascere Prometea, la cavallina avelignese clonata l’anno scorso) e percentuali di successo piuttosto ridotte (dell’ordine di uno su diverse centinaia di trasferimenti nucleari), cosa che rende impraticabile la produzione su larga scala di cavalli, questa seconda clonazione apre nuove prospettive per il mantenimento di linee di sangue equine preziose compromesse dalla necessità di castrare gli individui poco domabili. «Nessuno assicura che il clone di un campione sia all’altezza dell’originale» tiene a specificare il professor Galli «perché un fuoriclasse è il risultato anche di un sapiente allevamento e di un’accurata preparazione atletica», esattamente come accade per ogni buon corridore umano. Inoltre, dal punto di vista scientifico, un clone non è affatto sempre la copia esatta dell’animale da cui eredita il nucleo. La parola che definisce questo fenomeno è l’epigenetica. Pur avendo lo stesso identico patrimonio genetico, infatti, l’originale e il suo clone potrebbero avere porzioni di Dna inattivate diversamente. Poiché questo processo, determinato dalla metilazione (inattivazione) di tratti della cromatina, non è ereditario ma del tutto casuale, un animale che avesse inattivato l’allele (frammento di gene) per il pelo del colore rosso, potrebbe avere un manto diverso dal suo originale che avesse metilato, e quindi inattivato, l’allele per il colore nero. Il clone del campione arabo non sarà quindi per forza a sua volta un fuoriclasse, e non sarà, per forza, esattamente identico a suo padre. Ma sopravviverà, oppure, come è successo per la pecora Dolly, morirà precocemente? Si dice spesso, infatti, che gli animali clonati subiscono un invecchiamento precoce. «Non c’è evidenza scientifica» dice il professor Galli, «alcuni credono che il nucleo di cellule differenziate sia ”già vecchio” poiché nelle cellule coltivate in vitro si è osservata, in concomitanza con le divisioni cellulari, una progressiva riduzione dei telomeri, termine scientifico che identifica le estremità dei cromosomi». In realtà, la lunghezza dei telomeri, continua il professore, «è una caratteristica fortemente individuale anche all’interno della stessa specie e sarebbe necessario paragonare sempre il clone con il proprio originale; non è stato possibile fare questo tipo di verifica sulla pecora Dolly perché, al momento in cui sarebbe stato necessario fare un confronto, le cellule originali non erano più disponibili. Depone anche a sfavore dell’invecchiamento precoce dei cloni il fatto che si è osservato come l’ovocita in cui il nucleo viene trasferito sia in grado di ricostruire i telomeri. Ma forse, più di tutto, l’evidenza che più ci convince è che se gli individui clonati subissero realmente un invecchiamento precoce, lo manifesterebbero con quelle caratteristiche della senescenza che ben conosciamo. Cosa, questa, che non è mai stata riscontrata» conclude il professor Cesare Galli. Pamela Nascetti