Palmiro Martini, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
P assare quasi un’ora al giorno sotto i ghiacci dell’Antartide, immerso nelle acque gelide del Polo Sud alla ricerca di campioni da analizzare in laboratorio, non è semplice
P assare quasi un’ora al giorno sotto i ghiacci dell’Antartide, immerso nelle acque gelide del Polo Sud alla ricerca di campioni da analizzare in laboratorio, non è semplice. Nemmeno per un fisico allenato come quello di un palombaro della Mari- na Militare. Ma sicuramente, per Francesco Monaldi, capo di seconda classe palombaro paracadutista in forza presso il raggruppamento subacquei e incursori del Comsubin di La Spezia, l’esperienza in Antartide è stata unica. Chiamato per seguire la spedizione scientifica organizzata da Cnr ed Enea all’interno del Pnra, il Programma Nazionale di Ricerca in Antartico, Monaldi aveva un compito non facile: responsabile della sicurezza per le immersioni e primo operatore subacqueo per i prelievi di fauna e flora sul fondo marino. «Un compito difficile, ero l’unico abilitato alla manovra della camera iperbarica» racconta. Tra pinguini, foche, skua (sono uccelli simili ai gabbiani), ma soprattutto ghiaccio, i giorni a Baia Terra Nova, dove si trova la base italiana, sono stati lunghi. Anche perché, tra dicembre e marzo, in Antartide è estate. Quindi il sole non tramonta mai. «Così si lavora il triplo: non c’è un momento in cui ti rendi conto che la giornata sta finendo». «Sveglia alle sette, verso le otto ero già a lavorare» dice Monaldi. «Alle 11 un piccolo break in un rifugio dove tutti quelli che passano lasciano la firma. E poi di nuovo al lavoro». Durante la permanenza in Antartide, Monaldi ha guidato 45 immersioni tra i ghiacci intorno alla base italiana e il Mare di Ross. Assieme a lui, uno scienziato italiano dell’Acquario di Genova e un altro dell’Università di Napoli e un team di quattro ricercatori neozelandesi. Per organizzare un’immersione ci vuole un po’ di tempo. «I ricercatori ci dicono il punto preciso dove vogliono scendere» spiega il palombaro. «Prima di fare una carota grande (il foro nel ghiaccio che apre la via per le immersioni), spessa 4/4,5 metri, bisogna fare una carota più piccola, nel punto GPS che i ricercatori indicano. Per sicurezza è meglio farne sempre due di carote: una per gli uomini e una per le foche. Può sembrare buffo ma le foche hanno una specie di sonar interno. Quando nuotano sott’acqua sono in grado di sentire se sopra di loro c’è ghiaccio oppure no. In pratica quando le foche vogliono prendere aria, e sentono che sopra c’è un foro, salgono in superficie. E spesso ostruiscono la carota. Con il rischio, per chi sta facendo un’immersione, di non riuscire a risalire in superficie» racconta Monaldi. Meno pericolosi delle foche ma altrettanto simpatici i pinguini. «Curiosissimi» dice Monaldi. «Non li ho mai toccati. In compenso li ho guardati molto. Quando hanno freddo, si raggruppano: alcuni di loro circondano gli altri, per riscaldarli. Quando poi hanno caldo, invertono le parti». Oltre alle rilevazioni su flora e fauna, Francesco Monaldi si è occupato anche di assistere i ricercatori nei rilevamenti dell’aria, dell’acqua e del ghiaccio. Non solo. Al campo, Monaldi, era una specie di tuttofare. «Con il nostro addestramento, siamo preparati da tutti i punti di vista». Finite le immersioni, infatti, c’è bisogno di pulire e rimettere le attrezzature in ordine. «Essenziale: a quelle temperature basta niente per rovinare tutto». Dal punto di vista scientifico, la spedizione in Antartide è stata un successo. Tra le 126 meteoriti raccolte quest’anno, gli scienziati ne hanno trovata una che si è formata 4,5 milioni di anni fa, cioè agli albori del sistema solare. Almeno secondo i primi rilievi effettuati sul posto. Adesso toccherà ai team internazionali confermare l’ipotesi. Inoltre, racconta Monaldi «i ricercatori sono riusciti a perforare il ghiaccio fino a una profondità di 3.200 metri». Un ghiaccio, quindi, di 750 mila anni fa. Studiandolo, i ricercatori cercheranno di ricostruire la storia del clima sulla Terra. La prossima spedizione, che partirà nel febbraio del 2005, permetterà a italiani e francesi di completare la stazione ”Concordia”, una base che consentirà agli scienziati di trascorrere per la prima volta un inverno in Antartide.