Mario Lenzi, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
Le leggi di Elide parlavano chiaro: nessuna donna sposata poteva intervenire o guardare le gare, unicamente riservate a pubblico e atleti maschili (nella foto, Hydria a figure nere del VI secolo a
Le leggi di Elide parlavano chiaro: nessuna donna sposata poteva intervenire o guardare le gare, unicamente riservate a pubblico e atleti maschili (nella foto, Hydria a figure nere del VI secolo a.C.). La colpevole sarebbe stata gettata dalla cima del monte Tipaio, che sovrastava lo stadio. In realtà, non abbiamo alcuna indicazione che tali atrocità fossero davvero perpetrate. Pausania, lo scrittore che più d’ogni altro ci ha lasciato testimonianze sulle Olimpiadi, cita invece un’eccezione. Callipatea, vedova e madre di un concorrente, si travestì da allenatore per seguire da vicino i successi del figlio. Scoperta, fu graziata soltanto per rispetto alla sua illustre famiglia. Al contrario delle maritate, le nubili potevano assistere ai Giochi (ma non parteciparvi), poiché si riteneva che, in tal modo, ”si familiarizzassero” con il mondo maschile. Eppure, sempre secondo Pausania, anche le donne avevano i loro momenti di gloria. Ippodamia, moglie di re Pelope – fondatore delle competizioni olimpiche – avrebbe imitato il consorte istituendo gli Heraia, giochi in onore di Era, compagna di Zeus. Si sa pochissimo su tali eventi. Forse si svolgevano qualche giorno prima dell’Olimpiade. Vi potevano partecipare soltanto le nubili, ma tutte potevano assistervi, mentre gli uomini erano banditi. Un’unica competizione: una corsa nella stadio, di lunghezza variabile secondo le categorie d’età.