Mario Lenzi, Macchina del Tempo, agosto 2004 (n.8), 26 agosto 2004
Sono giunti a migliaia per assistere ai giochi più celebri del mondo. A Olimpia è alba profonda, ma la calura già opprime
Sono giunti a migliaia per assistere ai giochi più celebri del mondo. A Olimpia è alba profonda, ma la calura già opprime. Tra due giorni sarà il Dikhomenìa del mese di Sciroforiòne. Oggi comincia la 79ª Olimpiade. In altri tempi e luoghi, consultando barbari calendari, mancherebbero circa 48 ore al plenilunio dopo il solstizio d’estate, nel luglio del 464 a.C. Dopo 312 anni dalla prima edizione dei Giochi, nel 776 a.C. – un’unica competizione podistica, lungo lo stadio, vinta da Corebo l’Eleo, di professione incerta – ecco un’Olimpiade degna di questo nome, con tutte le gare più popolari finalmente al completo. Dalle corse ippiche al pentathlon, dalle lotte alle gare di velocità... E la gente non si è fatta attendere: regna la Tregua Olimpica istituita da Elide, la cittadina a quasi 50 chilometri da qui e organizzatrice della manifestazione. Dal 572 a.C. la direzione è in mano loro. L’hanno conquistata dai pisati (gli abitanti di Pisa, nel Peloponneso) nel 365 a.C. L’allora re devastò la Trifilia e riconquistò, tra le altre cose, i Giochi. Ogni quattro anni, gli araldi di Elide dilagano dalla Magna Grecia all’Asia Minore, annunciando l’avvento delle competizioni e l’inizio dell’armistizio che proteggerà atleti, spettatori e ambasciatori. Il sole è ormai sorto. I bivacchi notturni si sciolgono come neve al sole e la gente s’affretta verso il santuario per la processione o per raggiungere i posti migliori sulle gradinate dello stadio. La tribuna di pietra è riservata alle autorità. Gli altri dovranno accontentarsi della terra battuta, molti dovranno stare in piedi e tantissimi s’accalcheranno lungo il perimetro, tentando di entrare. O s’arrampicheranno sulla collina di Cronion, per cercare di vedere almeno qualcosa, uno scorcio. Primo giorno. Se immagini Olimpia come una città, piccola o grande che sia, sei fuori rotta. Lascia perdere i giocolieri e i saltimbanchi che ipnotizzano la folla, le bancarelle di leccornie e souvenir che si sporgono ai bordi dei camminamenti, i mimi e i buffoni che scimmiottano questo o quest’altro grande atleta. Non è sempre così, da queste parti, anche se la gente e gli ambulanti non mancano mai. Olimpia è un importante luogo di culto, fin dai tempi dei dimenticati micenei. Anche la dedizione alla divinità di Zeus è vecchia di secoli. Ovunque ti volti vedi templi, centinaia di altari, numerosissime statue, offerte votive e tesori. I Giochi olimpici sono inseparabili dalla rappresentazione religiosa. Oggi, il vero spettacolo è qui, all’interno di Altis, uno dei massimi luoghi culturali dell’umanità: si tratta di un recinto che racchiude i templi di Zeus, Pelope, Heraion. è una zona sacra, tanto che in futuro, nel II secolo d.C., ne parlerà anche uno scrittore itinerante come Pausania. «Il sacro recinto di Zeus è stato chiamato con l’antico termine Altis, corruzione del vocabolo locale alsos, che appunto significa recinto» racconta. Ma la processione è partita per tempo da Elide e ora si avvicina ai confini d’Olimpia. In testa ci sono i giudici delle gare, avvolti nelle loro vesti purpuree. Seguono gli arbitri delle competizioni, gli araldi, gli agonisti e i loro allenatori. Poi la folla più variopinta ed eterogenea che si sia mai vista: mercanti, pescatori, musicanti, poeti e cantastorie, contadini e filosofi, soldati e artisti. Si offrono carne e prodotti locali a tutti gli dei: a Zeus, soprattutto – nel suo tempio gli atleti prestano giuramento d’onestà e correttezza davanti al cinghiale sacrificale – ma anche ad Afrodite, a Ermes, a Esculapio, al semidio Eracle... Impossibile dimenticarsi di Era, moglie di Zeus: qui il suo culto è antichissimo, pari a quello del consorte. Nel suo tempio, l’Heraion, è custodita la tavola di bronzo su cui sono incise le leggi della Tregua Sacra; davanti al suo altare è collocato il tavolo d’oro e d’avorio con le corone d’ulivo che copriranno il capo dei vincitori. è l’unico tempio che c’è sempre stato, fin dal 776 a.C.: qui viene infatti custodito il disco di Ifito, re dell’Elide, che fece disputare i Giochi. Ma basta: i giudici stanno già elencando le competizioni e gli scontri, nominando chi si sfiderà. A ogni nome, un boato. Non c’è città che non inneggi al suo campione. Varrebbe la pena avvicinarne almeno uno. «Sono Xenofone e sono giunto in nave da Corinto. Io e il mio allenatore Vasilio. Tutti atleti, in famiglia: mio nonno Pteodoro e mio padre Tessalo sono stati campioni famosi. Adesso tocca a me, spero». Previsioni? «Sono in mano al fato» sorride. «C’è un sacco di gente forte, quest’anno. Gareggio per il pentathlon e corro lo stadion, che è come fare i 200 metri piani. Come richiesto dai regolamenti, è da un mese che sono qui a Olimpia a perfezionarmi, assieme a tutti gli altri. Un ritardo mi avrebbe escluso automaticamente dai Giochi: a meno di non avere una valida giustificazione (una malattia, un naufragio, un assalto di predoni). Comunque, poiché la vittoria è sempre un dono degli dei, per non rischiare ho anche promesso 100 giovani schiave ad Afrodite». Cento schiave? Non ti mancano i quattrini. «Diciamo che non mancano alla mia famiglia. Fare l’atleta è una professione, non un passatempo. Per quanto tu possa essere in gamba, se non hai un patrimonio alle spalle che ti permetta allenamenti e istruttori, non hai speranze di successo». Nel frattempo, la processione ha raggiunto la sua ultima tappa, l’altare all’eroe più popolare della regione, Pelope, «che gli Eleani preferiscono a ogni altro eroe greco, così come preferiscono Zeus a ogni altro dio» scriverà ancora Pausania. Nessuna meraviglia: una delle leggende del luogo afferma che fu proprio re Pelope a istituire i Giochi, dopo aver battuto alla corsa dei carri il re Enomao della vicina Pisa, per sposare sua figlia Ippodamia. E ancor oggi, tra le due città, proprio non corre buon sangue. Secondo giorno. La notte non ha storia. O forse ne ha avute troppe, poiché i festeggiamenti sono durati fino all’alba. Bestie e umani paiono decuplicati, carri e persone si accalcano sugli acciottolati. Le gare in programma sono molte e spettacolari. Innanzitutto le esibizioni equestri, da quelle con i carri a quelle con i fantini, fino alle corse coi muli, a volte davvero comiche. Poi il pentathlon, che impegnerà ogni atleta nella corsa, nel giavellotto, nel salto in lungo, nel lancio del disco e nella lotta. Ma ora è meglio affrettarsi, perché la sfilata dei partecipanti sta cominciando. Sarà impossibile seguire tutto, ma non dobbiamo perdere gli eventi più importanti. Le corse dei cavalli. Dobbiamo spostarci verso l’ippodromo e farci largo tra la folla. Chi partecipa alle gare ippiche è sempre ricco, molto ricco. Mantenere animali, scudieri e compagnia bella costa un patrimonio. una gara per nobili signori e chi gareggia è spesso un personaggio di spicco in patria, oppure un valente cavaliere al servizio di qualche uomo politico. Terminata la parata d’onore, l’atmosfera si fa rovente e non solo per il sole allo zenit. Partono le quadrighe: quattro cavalli per carro, un auriga per cocchio, uomini e animali pronti a scattare al grido di partenza. Via! Un campione con i colori di Sparta si stacca dal gruppo. Ma questa non è una gara di sola irruenza. Occorrono occhio e strategia. Costeggiare le strette curve dell’ippodromo senza schiantarsi non è uno scherzo. Le ruote si toccano e stridono, gli aurighi incitano i cavalli e insultano gli avversari, frenano, si slanciano... I dodici giri del recinto sono interminabili, tanto è alta la tensione. Quasi 15 km non sono molti, ma la competizione è feroce. Al quinto giro passa in testa un ateniese, con Corinto che gli soffia sul collo. Sparta sbanda al limite del recinto e perde il controllo, Megara s’allarga per evitare il cocchio, ma lo prende in pieno con la ruota destra e sbalza al centro della pista. Sfuggono istanti preziosi, mentre lo spartano evita di un soffio la tragedia. Via, via, non è il caso di contenere le briglie. Mancano tre giri. Corinto s’affianca ad Atene, mentre un cocchiere di Cirene divora terreno. Due giri, un giro... Corinto, Cirene, Corinto, Corinto, Cirene! Cirene, una delle più importanti colonie greche in terra d’Africa, ha vinto! Cratistene è il nuovo eroe della sua città. Il pentathlon. All’ippodromo le gare si susseguono alle gare e i trionfi ai trionfi: nella corsa coi fantini ha vinto un campione della Tessaglia, Echecratide, e la sua gente festeggia. Nello stadio flagellato dal sole, invece, tra una ventina di concorrenti, c’è anche Xenofone, l’atleta di Corinto. teso, sembra un gatto sui carboni ardenti. Il pentathlon è una prova massacrante, entrata a far parte dei Giochi soltanto dalla 18ª Olimpiade in poi, nel 708 a.C. Le cinque gare sono una di seguito all’altra e soltanto chi ottiene il maggior numero di successi vince il piatto. Niente argenti e niente bronzi: è la dura legge di Olimpia. Chi vince, vince. Gli altri sono soltanto perdenti. La prima gara è lo stadion, e il nome dice tutto. Si percorre il recinto per l’intera lunghezza, quasi 200 metri. Niente curve, puro rettilineo. «Pronti con un piede vicino all’altro» dice l’araldo. I corridori sono in piedi, pronti, il piede sinistro di poco avanti al destro, gli stinchi a sfiorare l’hysplex, la fune che segna la linea di partenza. «Apite», Via! La corda è lasciata cadere e i corridori schizzano come sassi sull’acqua. Un lampo e Xenofone vince. I sostenitori di Corinto esplodono ai bordi della pista. Ma non c’è tempo per i facili entusiasmi. I concorrenti riprendono fiato e si tolgono dal corpo la polvere frammista a olio e sudore con lo strìgile, un falcetto con lama scanalata per raschiare la pelle. Tra pochissimo comincerà il giavellotto. Il nostro Xenofone ha spalle buone, ma gli altri paiono ciclopi. Non sarà facile. Uno alla volta, gli atleti si presentano sulla riga. Niente rincorsa, soltanto forza di braccia. Asta ben impugnata, indice e medio nell’ankyle, la striscia di cuoio che imprimerà una rotazione al giavellotto. Un lancio, un altro ancora... Xenofone è bravo, ma ha la meglio uno spartano. la volta del salto in lungo. Qui la tecnica è molto libera, si può anche effettuare una piccola rincorsa, aiutandosi con due pesi (gli haltères) per bilanciarsi nello slancio... Non c’è che dire, le gambe di Xenofone sono davvero alate, come quelle del dio Ermes: il corinzio coglie il suo secondo successo. Ma il lancio del disco non gli porta altrettanto bene. Passa della sabbia sulle mani e sul piatto di bronzo, ma la distanza che riesce a coprire è inferiore a quella del campione di Egina. Niente da fare. Andiamo alla lotta. Le fronti si toccano, le gambe sono leggermente flesse e discoste l’una dall’altra... Sempre in piedi, presa dopo presa, mossa dopo mossa, Xenofone giunge in finale. Afrodite è con lui, non c’è dubbio. Sì, sì... ecco che per la terza volta l’avversario tocca la sabbia con la schiena... Xenofone ha vinto! Tre vittorie su cinque! il nuovo dio del pentathlon. I corinzi sono incontenibili, perché questa è la corona d’ulivo più ambita. Tra quasi un secolo, il filosofo Aristotele, per descrivere la bellezza maschile nella sua ”Retorica”, userà queste parole: «Un corpo in grado di sopportare ogni sforzo, sia di gara ippica, sia di forza fisica...Per questo gli atleti del pentathlon sono fra tutti i più belli». Terzo giorno. Il plenilunio era al massimo del suo fulgore, la notte scorsa, mentre i festeggiamenti e le celebrazioni svaporano con l’alba. Adesso è tempo di raccoglimento, di rammentare che nulla esisterebbe, a Olimpia, se non fosse per Zeus. La processione che offre doni solenni al suo altare si è mossa appena il sole è spuntato. Non esiste vittoria umana che non sia voluta dagli dei: l’atleta offre il suo talento e il suo spirito di sacrificio, ma sarebbe invano se la divinità non concedesse i suoi favori. Se il mattino è consacrato agli dei, il pomeriggio bacia i più giovani: per gli under 20 è il momento di farsi valere. Le gare sono le stesse, fatica e impegno di poco minori. Anche i ragazzini concorrono senza indumenti, poiché i greci non provano vergogna a mostrarsi nudi. La nudità è di casa nelle palestre, nei ginnasi e ancor più nello stadio olimpico. Le competizioni si susseguono: gli agonisti hanno poco più di 17 anni, ma si comportano bene. Pitagora di Mantinea ha vinto correndo lo stadion, il suo concittadino Protolao ha trionfato nella boxe e Feria, di Egina, è stato il miglior lottatore della sua categoria. Un gran passo sulla strada della gloria personale: le loro città si faranno in quattro per riuscire a investire in queste giovani promesse. Quarto giorno. Grandi competizioni, quest’oggi. Corse, lotta, pugilato e pankration... insomma, ce n’è per tutti i gusti. Lo stadio è già pieno. Tutti vogliono vedere se Xenofone, già trionfatore nel pentathlon, saprà ripetersi nella corsa dello stadion. Attesa spasmodica anche per il campione siciliano di Imera, Ergotele, che affronterà il dolicos, la ”corsa lunga” di ben 4.800 metri, 24 volte la lunghezza della pista. I primi concorrenti sono partiti e Xenofone, come già nel secondo giorno, straccia tutti ancor prima che l’occhio degli spettatori se ne avveda. I sostenitori di Corinto balzano in piedi: due corone alla loro città ed entrambe dallo stesso uomo. Non c’è che dire: Xenofone merita una statua in un tempio d’Olimpia come uno dei più grandi atleti di questa edizione. E non basta: anche se qui, in questo luogo sacro, avrà in premio soltanto una corona d’ulivo, la sua patria non sarà di certo avara. Ben 500 dracme lo attendono a casa: oltre 300 mila euro, abbastanza per cambiargli la vita o renderla più comoda. Nel ruolino degli allibratori, le previsioni s’avverano anche per Ergotele: l’uomo d’Imera procede con passo veloce ma non affrettato, portandosi in testa soltanto al ventesimo giro e mantenendo la posizione sugli avversari, fino alla fine. Ma se le corse sono eccitanti, che dire delle sfide a mani nude? Nel pomeriggio veri colossi calcano la sabbia dell’arena per sfidarsi nella lotta. Oggi questa è una disciplina importantissima per l’educazione dei giovani. Richiede forza, sagacia. Le regole sono chiare: le ha scritte Atena in persona su una tavola che ha consegnato a Teseo. Ma torniamo alla gara. I corpi unti d’olio brillano al sole ma, dopo poche prese e qualche atterramento, paiono automi di creta. Basta toccare la sabbia tre volte, con le spalle, la schiena o i fianchi, per essere eliminati. Un’iscrizione ammonisce: «Il lottatore non deve rompere nessun dito all’avversario. Inoltre, il giudice deve punire i pugni sferrati al corpo, ma non alla testa». Il regno dei pugni, infatti, non è la lotta, ma il pugilato. Qui è possibile colpire l’antagonista con le mani protette da strisce di cuoio o con i piedi. Niente round, si prosegue fino al knock out tecnico. In incontri molto equilibrati, si ricorre al klimax: una serie di colpi in cui non è permesso difendersi. Chi per primo cade sulla sabbia ha perso. Ma non occorre per il fortissimo Diagora di Rodi, signore della città di Ialiso, che s’appresta a vincere la finale. Tra la folla, un volto noto osserva interessato il corpo a corpo, come se volesse cogliere in quei movimenti violenti eppure aggraziati chissà quale ispirazione: è Pindaro, un poeta di Cinocefale, in Beozia. Sono tanti gli artisti che cantano con la penna le glorie degli atleti, ma Pindaro ha una marcia in più. «E dunque, Zeus padre, accresci il canto di rito al trionfo olimpico e l’uomo che pugilando incontrò il successo. Dagli favore e rispetto fra cittadini e stranieri. Perché una via nemica d’arroganza percorre sicuro, ben sa cosa l’animo fermo gli insegna da nobili padri» canterà in onore di Diagora. Tra i combattimenti, il pan-kration è il più terribile: un misto di lotta e pugilato, dove non esiste esclusione di colpi. Perde chi non resiste a tanta violenza, chi chiede pietà alzando l’indice e il medio mentre una stretta mortale lo soffoca. è consentito fratturare le ossa, torcere gli arti fino a slogarli, colpire con calci, testate, pugni, calpestare gli avversari in qualsiasi modo. Unici divieti: i morsi e le dita negli occhi. Chi si misura nel pankration deve sapere che arrendersi è un disonore. Pausania, fra qualche anno, racconterà la storia di Arricchione che, durante la finale, spirò strangolato dal suo avversario mentre gli rompeva un dito del piede. Questi, però, a causa del dolore, si dichiarò vinto. E Arricchione fu proclamato olimpionico alla memoria e ricordato con grande onore. Per oggi il campione che manda il pubblico in visibilio è però Efozio, di Menàlo. La sua possanza e la sua aggressività sono impressionanti. Non ci metterà molto a sbarazzarsi degli avversari. Quinto giorno. «Quando l’ufficiale delle milizie persiane, Tritantecme, sentì che all’Olimpiade il premio non era denaro, ma una corona di ulivo, non poté tacere e di fronte a tutti esclamò: ”Dannazione, Mardonio, contro che uomini ci hai portato a combattere! Questi non lottano per i soldi, ma per l’onore!”». Così scrisse lo storico Erodoto. E il timore del persiano era del tutto giustificabile. In quest’ultimo giorno, quando le corone sono deposte sul capo dei primi assoluti, non s’inneggia soltanto alla vittoria sportiva, ma alla superiorità fisica e morale dei greci. Divisi da faide e razzismi, dialetti, usi e costumi a volte incomprensibili gli uni agli altri, confinati nei ristretti limiti delle città-stato, privi di qualsiasi identità nazionale, i greci celebrano ora, davanti all’altare di Zeus, la matrice ideale che li affratella: l’aretè, la completa bellezza di corpo e di spirito, la virtù suprema dell’uomo greco. Di fronte al dio, gli atleti impugnano nella destra i rami di una palma, consegnati dagli arbitri al momento della vittoria. Gli araldi declamano i loro nomi, quelli dei loro padri e la città dalla quale provengono. I giudici si avvicinano a ciascuno di loro e pongono sul capo la corona d’ulivo. La folla lancia fiori e foglie, gridando di giubilo. Poeti canteranno le loro gesta e loro statue saranno collocate nei templi. Ancora poche ore e la Tregua finirà. Per cinque giorni, si sono sentiti fratelli. E il mondo con loro. Presto risuoneranno di nuovo le armi. Ma, adesso, ogni secondo che scorre è luce purissima. Xenofone, Cratistene, Efozio, Diagora e tanti altri oggi sono simili a un dio, per un istante che pare eterno. Perché questa è Olimpia: nessun altro luogo è più vicino al cielo. Mario Lenzi