Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  agosto 25 Mercoledì calendario

Spesso, quando si pensa alla Tunisia, vengono in mente le spiagge del Golfo di Hammamet o i villaggi turistici di Djerba e ci si dimentica che queste terre d’Africa hanno visto 3

Spesso, quando si pensa alla Tunisia, vengono in mente le spiagge del Golfo di Hammamet o i villaggi turistici di Djerba e ci si dimentica che queste terre d’Africa hanno visto 3.000 anni di storia del Mediterraneo da una prospettiva alternativa e complementare a quella europea. Qui furono fondate le colonie fenicie che diedero vita alla grande potenza cartaginese, a lungo temuta e poi combattuta da Roma. Qui si scontrarono fazioni locali associate ai protagonisti della guerra civile tra Cesare e Pompeo, e venne fondata la più ricca provincia dell’Impero romano. Qui si diffusero le più pervicaci eresie cristiane, come quella dei donatisti, dibattute da Sant’Agostino, che qui nacque e tornò a vivere dopo il soggiorno italiano. Ed è sempre in quest’area del Nord Africa che, dopo il passaggio dei Vandali e poi dei Bizantini, gli Arabi iniziarono la loro espansione e partirono alla conquista della Spagna. Insomma, una terra che ha visto la storia dispiegarsi ininterrottamente per millenni e che ne conserva le testimonianze di sorprendente qualità e varietà, immerse in un paesaggio capace di modificarsi drasticamente nello spazio di poche decine di chilometri. Il nostro viaggio comincia da Cartagine, fondata nell’814 a.C. dai Fenici provenienti da Tiro, molte volte distrutta e altrettante ricostruita. Il sito archeologico dell’acropoli, pochi chilometri a nord di Tunisi, mostra ancora i pochi resti stratificati per epoche. Tra i più antichi c’è il villaggio di Annibale, così chiamato perché datato al III secolo a.C.: in questo periodo l’omonimo comandante cartaginese prese in contropiede i Romani scatenando la Seconda guerra punica (218-201 a.C.), dopo avere attraversato le Alpi con 50.000 fanti, 9.000 cavalieri e 37 elefanti. Qui si possono vedere i basamenti di alcune case puniche con ancora le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e frammenti di mosaici bicolori (rosso terracotta e bianco marmo) con disegni geometrici. Il resto della città punica è stato raso al suolo dai Romani nel 146 a.C., al termine della Terza guerra punica. Scendendo verso il mare ci si può però imbattere in altri siti d’epoca preromana: le grandi cisterne a vasi comunicanti, i porti civile (rettangolare) e militare (circolare, con una torre d’avvistamento nel centro), e la necropoli dei sacrifici umani: circa 300.000 urne funerarie con ceneri animali e umane (per lo più di bambini), sepolte in 9 strati di terreno e accompagnate da piccole lapidi dedicate al culto fenicio di Baal e di Tanit. La seconda tappa sembra un vero e proprio viaggio nel tempo. Le città romane (II e III secolo d.C.) di Chemtou, Bulla Regia, Dugga e Tuburbo Majus, immerse tra i verdeggianti rilievi della Crumiria, a nord-ovest, rappresentano al meglio la perfetta commistione tra stili e modelli importati da Roma e peculiari applicazioni legate all’inventiva, alle tradizioni e alle esigenze del luogo. Così a Chemtou si trovano le cave di marmo giallo (ma con sfumature che giungono anche al grigio, al nero e al rosa antico) estratto ed esportato in Italia o scambiato col marmo bianco di Carrara. A Bulla Regia è invece possibile entrare nelle case (le più famose quella della Caccia e quella di Anfitrite) costruite con un piano totalmente interrato, per scongiurare la calura estiva, e visitarne le stanze ancora mosaicate. Ma è soprattutto la visita a Dugga che lascia senza fiato. Un teatro quasi intatto (e utilizzato ogni anno, tra luglio e agosto, per un festival internazionale), il campidoglio con accanto (e non di fronte, come di solito, per esigenze logistiche) il foro. E poi il mercato piccolo (forse degli schiavi) e quello grande, case, palazzi, templi, terme, strade, il tutto accessibile in un ambiente incontaminato, privo di segni di ”modernità”. Scendendo verso Sud il paesaggio cambia rapidamente. Lasciata Tuburbo Majus, il cui sito presenta sovrapposizioni tra resti romani, vandali e bizantini, e passando per Kairouan, quarta città sacra dell’Islam, tra gli ulivi e la terra bruciata si raggiunge El Jem, riconoscendone da lontano il grande anfiteatro romano, costruito nel 230 e oggi meglio conservato del Colosseo di Roma. A tre ordini di gradinate, che contenevano 30.000 posti a sedere, per 36 metri di altezza, 149 metri di lunghezza e 124 di larghezza, l’anfiteatro di El Jem smise già nel 238 di ospitare i giochi per essere utilizzato come rifugio dai rivoltosi ovicultori locali che dovettero affrontare l’esercito romano dopo che, contro un aumento della tassazione, avevano imposto la nomina di un imperatore (Gordiano) alternativo. Scendendo ancora oltre Gabes, si entra in territorio berbero. Qui risiedono popolazioni autoctone, discendenti da quelle che per prime giunsero in Nord Africa, forse da Oriente. Divisi in tribù, spesso anche in conflitto tra di loro, i Berberi (che in origine si narra fossero nomadi biondi, con occhi chiari e lentiggini) non accettarono mai completamente l’arrivo dei Fenici sulle coste, sebbene ottenessero da questi il pagamento di una sorta di affitto per quelle terre; ancor meno accettarono l’arrivo dei Romani, che qui nel sud non hanno lasciato grandi testimonianze della loro presenza, benché fossero arrivati fino a presidiare il deserto con fortini come quello nei pressi dell’oasi di Ksar Ghilane. Con tutti i colonizzatori, arabi compresi, i Berberi riuscirono però sempre a confrontarsi, alternando momenti di pacifica convivenza a rivolte anche violente. Le popolazioni che vivono nelle case troglodite scavate nella terra nei dintorni di Matmata, o in quelle costruite bucando l’arida roccia di Chenini, così come quelle che vivono nei pressi dei granai fortezza di Ksar Ouled Soltane (Tatouine), parlano ancora una lingua berbera, molto musicale, e solo in parte si sono adattati ai modelli di vita che per secoli sempre nuovi colonizzatori hanno cercato di imporgli. In fondo sono loro ad aver segnato la differenza tra la Provincia e l’Impero. Fabio Sclosa