Centro Ricerca Cetacei, Macchina del Tempo, luglio 2004 (n.7), 24 agosto 2004
Altro che giocherellone! Il delfino non è sempre quell’animale dolce e mite che vuole un diffuso luogo comune: all’occorrenza può diventare un killer pronto a uccidere
Altro che giocherellone! Il delfino non è sempre quell’animale dolce e mite che vuole un diffuso luogo comune: all’occorrenza può diventare un killer pronto a uccidere. Ne sanno qualcosa le focene, cetacei simili, ma molto più piccoli, quando si trovano a dividere con i delfini uno stretto braccio di mare. Ricercatori dell’Università di Aberdeen, in Scozia, hanno scoperto, infatti, che i delfini talvolta ne fanno strage. Ha raccontato il dottor Ben Wilson, a capo del gruppo: «Su 105 focene trovate morte nella baia di Moray in due anni, 42 recavano i segni inconfondibili dei denti di delfini. Non solo, questi mammiferi marini sono infanticidi. Io stesso ho assistito all’uccisione di un piccolo: per 53 minuti un maschio lo ha sbattuto sull’acqua finché non è morto». Il movente di tutta questa aggressività non è ancora chiaro, anche se almeno nel primo caso si può ipotizzare che sia correlata con l’invasione del territorio che i delfini si scelgono per allevare i figli e per prelevare il cibo. Anche il Centro Ricerca Cetacei, una società privata nata all’inizio di quest’anno con l’intento di conoscere meglio delfini e balene dei nostri mari, dopo aver osservato reazioni aggressive in tursiopi a largo dell’alto Tirreno ha aperto un filone di ricerca in questo senso: «Gruppi stanziali scortavano fuori dal loro territorio alcuni delfini itineranti» racconta il presidente Micaela Bacchetta «se questi facevano resistenza, i primi cominciavano a irritarsi, lanciando chiari segni di minaccia». Cade il mito del delfino buono? «Assolutamente no» dice Bacchetta. «Questi mammiferi hanno una società per certi versi simile alla nostra ma, pur essendo, come noi umani, capaci di comportamenti violenti, hanno scelto in prevalenza una linea altruistica, proprio grazie alla loro grande capacità di apprendimento. Da loro, quindi, potremmo trarre qualche insegnamento, a patto di imparare a conoscerli per quello che sono davvero». Cominciamo, allora, a fare la loro conoscenza a partire dal senso dello spazio, che è molto diverso dal nostro. I delfini sono in grado di spostarsi con facilità nelle tre dimensioni. E velocemente. Lo dimostra il recente studio di un team dell’Istituto di tecnologia di Kyoto (Giappone). I ricercatori hanno rivelato che la loro morbida epidermide è portata a spellarsi e a cambiare ogni due ore. L’ondulatezza della pelle e il continuo ricambio ridurrebbero l’attrito interferendo con minuscoli gorghi d’acqua – chiamati vortici – che si producono sulla superficie dell’animale mentre nuota. «A partire da queste caratteristiche» ha spiegato Yoshimici Hagiwara, il ricercatore che ha diretto lo studio «potremmo disegnare barche, transatlantici e sottomarini ultraveloci». Ma se da una parte la struttura dei delfini li aiuta a sfrecciare nell’acqua, a orientarli ci pensa un sofisticatissimo sistema di localizzazione degli oggetti. Che agisce non solo attraverso la vista, ma soprattutto attraverso l’eco (ecolocalizzazione, vedi box sopra): grazie a una struttura anatomica situata nella testa, vengono prodotti una serie di suoni ad alta frequenza (detti click) che si diffondono nell’acqua e ritornano all’animale sotto forma di eco, amplificata dalle vibrazioni della mandibola inferiore, che poi le trasmette all’orecchio. Grazie a questo sistema sono in grado, per esempio, di individuare una monetina fino a 80 metri e un banco di piccoli pesci a oltre 100 metri. Non a caso i delfini sono stati usati dai militari per rilevare la presenza di ordigni in mare e sminare intere aree sin dagli anni Cinquanta e ancora oggi nelle recenti guerre del Golfo. Nel corso dell’evoluzione, inoltre, le corde vocali sono state sostituite da sacche collegate con le narici, ove l’aria viene compressa per produrre fischi e scricchiolii: una sorta di password di accesso, che permette ai membri del gruppo di riconoscersi tra di loro. «Grazie ai loro suoni» spiega lo zoologo Fabrizio Borsani «riescono a viaggiare in gruppo, fino a 400 esemplari per comitiva. Questo è reso possibile soprattutto dal ritmo che riescono a darsi emettendo suoni udibili anche dall’orecchio umano e che consentono al gruppo di nuotare insieme». Questi animali hanno un grande senso della comunità, che dimostrano con atti di altruismo. Capita spesso, ad esempio, che un esemplare aiuti un compagno in difficoltà sospingendolo in superficie per respirare o accorrendo al richiamo d’aiuto, o che una femmina ”zia” assista un’altra durante il parto. Il piccolo nasce generalmente di coda, che all’inizio resta accartocciata. Lo scorrimento dell’acqua e il movimento della madre permettono l’apertura della pinna caudale, che successivamente facilita la fuoriuscita. Una volta nato il piccolo viene accompagnato in superficie per il primo respiro dalla madre, che lo sospinge con il proprio corpo. Il cucciolo resterà accanto alla madre per circa due anni, ed è il legame più duraturo nel gruppo. In questo periodo impara a nuotare avvalendosi dei flussi idrodinamici, creati dallo spostamento d’acqua della madre, e che riducono lo sforzo, come ha dimostrato una ricerca condotta presso l’Israel Institute of Technology. L’unione tra madre e figlio però può spezzarsi di fronte a un pericolo (ad esempio l’arrivo di barche o delle reti dei pescatori): in questi casi la madre, per mettersi in salvo, nuota più veloce dei piccoli, e fuggendo lascia indietro i giovani delfini che il più delle volte vanno incontro a una tragica fine. «Ma non sempre tutto è perduto» afferma Borsani: «A volte succede che altri gruppi individuino i piccoli che hanno smarrito il loro gruppo originario, e che vengano adottati da altre madri». Non a caso le comunità più numerose sono costituite da femmine e piccoli che, se sono maschi, una volta raggiunta la maturità, si allontanano e si uniscono ad altri maschi in età riproduttiva. Nelle comunità vige una struttura gerarchica in cui il maschio dominante non lo è per sempre, ma viene scelto in base alla situazione contingente, in una sorta di democrazia maggioritaria. La coppia non è fissa, i rapporti sessuali si svolgono tutto l’anno e hanno una funzione anche sociale. Adesso sappiamo un po’ di più su questo principe dei mari, ma molto del suo mondo deve ancora essere svelato. «E proprio nel Mediterraneo sono in corso alcune delle ricerche più interessanti» dice Bacchetta. «Il Mare Nostrum, infatti, è un bacino ideale, ampio ma chiuso, e densamente popolato di delfini, anche grazie all’esistenza di un’area marina protetta: il Santuario dei Cetacei, tra Sardegna, Francia e il confine tosco-laziale». Un luogo perfetto per studiare il delfino, uno degli animali simbolo di valori positivi quali la solidarietà, l’assenza di diffidenza, la curiosità e la voglia di comunicare. A cura del Centro Ricerca Cetacei