Questo pezzo di Cristina Serra è uscito molto tagliato su Macchina del Tempo Ottobre 2004. Qui se ne conserva l’originale, 23 agosto 2004
Le uova di dinosauro riaffiorano soprattutto in Cina, Mongolia, India e nelle pianure degli Usa. In tutto il mondo sono ormai più di 220 i siti che hanno restituito al mondo uova fossili di dinosauro
Le uova di dinosauro riaffiorano soprattutto in Cina, Mongolia, India e nelle pianure degli Usa. In tutto il mondo sono ormai più di 220 i siti che hanno restituito al mondo uova fossili di dinosauro. Al primo posto c’è l’Asia con oltre 110 depositi. In fondo l’Africa, dove i nidi rinvenuti sono appena 2. La fortunata serie di ritrovamenti ebbe inizio in Provenza, nel 1846, quando il geologo Philippe Matheròn rinvenne alcuni gusci rotti ascrivibili a esemplari della famiglia dei titanosauri. Esaminando ancora quel terreno, i ricercatori hanno poi scoperto che i nidi ospitavano da 1 uno a 8 uova, sepolte a profondità variabili fino a 90 cm. Ulteriori informazioni sulle abitudini nidificatorie dei dinosauri vissuti in altre regioni del globo sono emerse sia dal confronto con uova di rettili e uccelli (di cui sono note le pratiche parentali), sia dall’analisi della porosità del guscio e degli scambi gassosi fra interno ed esterno dell’uovo. A dare ai paleontologi le soddisfazioni maggiori, però, è stato sicuramente il deserto dei Gobi. Durante la famosa spedizione americana del 1922, organizzata per verificare se questa parte centrale di Asia poteva essere stata la culla per alcuni mammiferi e per l’uomo, nei pressi delle falesie di arenaria rossa di Bajan Dzag furono rinvenute numerose ossa fossili e uova, che inizialmente vennero attribuite al protoceratops. Da allora, sono state scoperte uova assai diverse tra loro, che gli esperti, in base alle caratteristiche strutturali del guscio, suddividono in 6 tipologie. Che siano fusiformi come quelle dell’oviraptor o rotonde e simili a grosse angurie come quelle comuni in Cina, di 8-9 cm o lunghe fino a mezzo metro, il loro guscio è quasi sempre meno spesso del previsto: se da un lato ciò favoriva gli scambi gassosi con l’esterno, dall’altro questa caratteristica potrebbe aver contribuito all’estinzione dei dinosauri quando, nel Cretaceo inferiore, l’ossigeno atmosferico è sceso dal 35 al 28% nel giro di 5 milioni di anni. E se i cinesi le usavano a mo’ di ferma-porta, o triturate come medicinali, c’è chi ne ha fatto la ragione scientifica della sua vita. Terry Manning, esperto britannico di tecniche paleontologiche e promotore, qualche anno fa, del ”Dinosaur Egg and Embryo Project”, è entrato in possesso di una sessantina di uova cinesi, alcune contenenti ancora un embrione. «Si tratta di casi fortunati», spiega «in cui il guscio, pur essendosi incrinato per cause accidentali, non ha fatto uscire il contenuto. Le uova sono sprofondate nel terreno prima d’iniziare a decomporsi, si sono riempite di calcite (che favorisce il processo di fossilizzazione) e sono giunte fino a noi». Dopo aver cercato di aprirle con mezzi piuttosto invasivi, Manning ha messo a punto un sistema che decompone il materiale in cui sono incluse, erodendo lentamente il guscio. «Le uova vanno immerse per più di un mese in una soluzione acida», precisa lo studioso, «che corrode una frazione minuscola della superficie. Quando compaiono le ossa dell’animale, bisogna saturarne l’interno con particolari sostanze, per impedire a eventuali bolle gassose intrappolate all’interno di farle scoppiare». Ci vuole molta attenzione e molto tempo: per preparare un uovo Manning può impiegare addirittura un anno. Ma l’emozione finale è tutta sua!