varie, 23 agosto 2004
BENELLI
BENELLI Andrea Firenze 28 giugno 1960. Campione di tiro a segno. Medaglia d’oro nello skeet alle Olimpiadi di Atene (2004), bronzo a quelle di Atlanta (1996) • «[...] di Olimpiadi ne ha disputate cinque: Seoul ”88 (ventesimo), Barcellona ”92 (venticinquesimo), Atlanta ”96 (terzo, ecco, si comincia a ragionare), Sydney 2000 (quinto, forse è meglio smettere) e Atene, dove ha distrutto 154 dischi arancione su 156. Gli dissero che la collina di Markopoulo, spazzata dalle raffiche del meltemi, avrebbe reso la gara una lotteria. E lui s’è costruito una copia esatta del poligono olimpico nella tenuta di campagna di Sant’Ellero, venti chilometri da Firenze, ha fatto venire dalla Francia le macchine sparapiattelli identiche a quelle del torneo greco, più veloci rispetto alle solite, ha modificato la larghezza delle torrette da dove escono i bersagli (quasi tre metri più del normale), ha speso i soldi che può permettersi (prima un’azienda di pelletterie, ora c’è l’agriturismo e chissà se i clienti si lamentano per gli spari), insomma ha fatto in modo che la rinuncia a quel pallone valesse la pena. Non proprio un’impresa da proletario. [...] Il finlandese Marko Kemppainen, un bimbo enorme con i capelli a spazzola che dà l’idea di poter sparare ai compagni di classe se lo chiamano ciccione, era in vantaggio di un piattello ma Andrea l’ha raggiunto. Poi non hanno più sbagliato e sono andati allo spareggio, l’italiano con un asciugamano da pugile al collo e una camminata da Gary Cooper, occhi invisibili dietro le lenti a specchio, il papà Luciano a contemplarlo, la moglie Silvia e i figli Giulia e Iacopo (il ”team Benelli”) a fare un tifo da curva Fiesole: ”Noi nun s’ha paura di nulla!”. Ma quando il ciccione ha mancato il primo disco, e Benelli aveva la vittoria a portata di grilletto e ha fallito pure lui il suo rigore a porta vuota, è sembrato che il bambino Andrea si voltasse verso il papà e gli chiedesse disperatamente, definitivamente, di restituirgli quel pallone. Papà ha risposto no, sei solo, sei un uomo, spara. E Andrea ha riavuto indietro i suoi quarantaquattro anni che lo fanno il più vecchio campione olimpico nella storia dello sport azzurro, e una cartuccia sola, e un maledetto piattello. Ha mirato, ha colpito ed è finalmente diventato Batigol. ”Non avevo più stimoli, solo il pensiero di Atene in testa, sono stati quattro anni di sacrifici enormi”. [...]» (Maurizio Crosetti, ”la Repubblica” 23/8/2004) • «[...] un paio di bicipiti alla Chechi. [...] ”Il nostro fucile pesa tre chili e mezzo, il rinculo sulla spalla è di trenta chili. Io ogni giorno faccio due ore di preparazione fisica. Corro ore per rinforzare le gambe, che sono vitali. Ad Atene veniva un calore terribile dal cemento, sono state le gambe a reggermi. Altre volte ho perso gare per colpa delle gambe. E poi: il mio sport può piacerti o non piacerti, ma non mi devi offendere: perché dietro c’è una vita di sacrificio, di impegno, che è la stessa se giochi a calcio o fai altre cose [...] io non direi che ”sparo’, potrebbe avere una connotazione negativa. Io faccio il mio sport come altri fanno il loro [...] il fucile non è un arma: è il mezzo per sbriciolare un piattello. L’arma, per definizione, offende: io non offendo nessuno, vorrei che negli altri sport ci fosse il rispetto per l’avversario e l’amicizia che c’è nel nostro. Prima della finale di Atene aspettavo in una stanza, quando è entrato un americano. ”Andrea, run to gold’, vai per l’oro mi ha detto. Eppure c’era un suo connazionale in finale” [...] ad Atene aveva la barba lunga. ”Un motivo tecnico, per evitare che il calcio del fucile ”allegasse’ alla guancia. Con la barba scivola meglio. Ne ho calcolato esattamente la lunghezza: non l’ho più tagliata da giovedì e ho gareggiato domenica”. Un calcolo semplice, tra la miriade di ascisse e coordinate che devono apparirgli davanti agli occhi mentre sta per tirare il grilletto, lo sfondo del cielo come un foglio sul quale tracciare traiettorie con il compasso. ”Ma non funziona così. Io non prendo la mira, la mira nel mio sport non esiste. Il mio compito è di piazzare il mio colpo una decina di centimetri davanti al piattello che esce a 150 all’ora e che fa una quindicina di metri. Non ho molto tempo. E nella doppia, dopo che hai colpito il primo, hai un paio di decimi per trovare anche il secondo e centrarlo [...] Non mi vedo a sparare al di fuori del poligono. E certo anche io vado a caccia, ma solo a colombacci, spesso in Spagna”. [...]» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 22/12/2004).