Varie, 19 agosto 2004
SAMPERI Salvatore
SAMPERI Salvatore Padova 26 luglio 1944, Roma 4 marzo 2009. Regista • «Graffiante, brutto e cattivo. Melodrammatico, come Raffaello Matarazzo. Eppure sarcastico (“meglio morire che rinunciare alla perfidia”). Un personaggio contro, Salvatore Samperi. Che dai suoi film “erotici indigeni” (Grazie zia) rivoluzionari, politici e dissacratori (Cuore di mamma, Uccidete il vitello grasso e arrostitelo), satirico-sensual-popolari (Malizia), disillusi (Liquirizia), è passato al mélo-fiction. Con successo. Con meno rabbia in corpo di quando contestava il sistema. Con tutto l’umorismo nero possibile. [...] “[...] Non volevo più fare cinema, non avevo più voglia di niente. Ero diventato casa e letto. Poi, un giorno, Alberto Tarallo, uno dei produttori più prolifici della televisione, mi ha preso per le orecchie e mi ha detto, ‘torna sul set’. Gli ho dato retta, e sono rinato”. Passando dal cinema d’impegno al mèlo... “Il mélo non è una parolaccia. E quelli che confeziono io, hanno solo l’involucro alla Matarazzo. Dentro c’è il mio gusto per lo sberleffo, quella crudeltà talmente esasperata da suscitare ilarità. I miei mèlo sono fotoromanzacci, storiacce. Non rispecchiano la realtà. In L’onore e il rispetto la mafia è solo un pretesto per affondare il coltello nella passione, nel tradimento, nella carne. Il cinnema? Ma quale cinema? Il cinema è morto [...] in tempi oscurantisti come questi, la gente desidera evadere, sognare. Così come accadeva nel Dopoguerra con i fotoromanzi. Amori impossibili, sangue, sudore e morte sono i temi prìncipi dell’immaginazione. La massaia di Voghera ha voglia dell’avventura. Di abili amanti, irresistibili e mascalzoni, di brividi di piacere e di paura, di sentirsi desiderata e schiaffeggiata, di piangere e di ridere. Il mélo è tutto questo. È la grande illusione [...] Ho la soddisfazione di un pubblico milionario che il cinema non dà. [...]”» (Micaela Urbano, “Il Messaggero” 7/4/2007) • «Le mie cose migliori le ho fatte raccontando storie di donne e lavorando con donne: da Grazie zia con Lisa Gastoni a Malizia con Laura Antonelli fino a Fotografando Patrizia con Monica Guerritore. Mi piace dare un’anima alle fantasie che gli uomini fanno sulle donne [...] Suppongo che delle donne mi piaccia l’allenamento alla generosità. Credo sia un dono biologico che deriva dal loro prepararsi ad essere madri. Creano la vita, la cosa più alta che si possa fare. Noi artisti, per neccesità, possiamo crearne appena l’imitazione» (Simonetta Robiony, “La Stampa” 19/8/2004).