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 2004  agosto 18 Mercoledì calendario

Reitz Edgar

• Morbach (Germania) 1 novembre 1932. Regista. Nel 1962, con il «Manifesto di Oberhausen», rivendica il diritto di creare il nuovo cinema tedesco. Tra il 1967 e il 1978, gira diversi lungometraggi, tra cui Die Reise nach Wien (1973) che, ambientato in una cittadina di provincia durante il nazismo, suscita molte polemiche. Nel 1984 esce il primo atto di Heimat, considerato il suo capolavoro. «Capolavoro-fiume che alberga nella coscienza di più di una generazione di spettatori, non solo snob e non solo cinefili. Perché Reitz si prende il peso di scoprire, riscoprire e discutere il concetto di Heimat, patria, reale e anche astratto, identificandolo ed esemplificandolo in un luogo chiamato Schabbach sul Reno. Una patria da ritrovare e abbandonare secondo diverse esigenze della vita, aprendo la strada a un cinema a puntate che prende spunto, nella durata e nella ripetitività dei personaggi, dal serial televisivo omaggiandolo però di tutte le virtù del Grande autore. [...] La tradizione è quella del grande romanzo storico, da Mann a Thackeray passando per la Recherche di Proust. Ma la trovata di Reitz è stata quella di offrire la storia dalla visuale di gente comune e non di individui cosmico storici. La Storia, quella maiuscola, che si mescola ineluttabilmente alle storie, minuscole, delle persone. [...] “Iniziai il lavoro per il film nel ’94 e da allora per dieci anni ho lottato e mi sono occupato della realizzazione di questa cronaca, scrivendo, dal ’94 al 2002, con lo sceneggiatore Thomas Brussig 11 copioni. Già nella scena conclusiva del secondo Heimat si lasciava intendere che mancava il ritorno a casa con la sua ricostruzione materiale. Volevo concludere la trilogia col ritorno di Hermann e di Clarissa, musicista e cantante, nella casa sul Reno, proprio in quella terra lasciata da giovane: è lì che si incrociano le diverse linee narrative del film” [...] Reitz è per certi versi un regista all’antica non solo perché insegue la saga ma anche perché resta fedele al 35 mm, convinto che sia superiore a ogni tecnica elettronica e possa soddisfare l’estetica, non sposa la causa del cinema digitale: “Non ho alcuna voglia di lasciarmi attrarre dalle proposte dell’industria, solo per il suono la tecnica digitale ha enormemente migliorato il prodotto” [...]» (“Corriere della Sera” 18/8/2004).