17 agosto 2004
Tags : Brian. Sewell
Sewell Brian
• Nato nel 1940. Critico d’arte. Uno dei più autorevoli critici d’arte britannici, noto soprattutto per le sue caustiche polemiche contro l’arte contemporanea e i suoi «pontefici». Laureato al prestigioso Courtauld Gallery a Londra, fu a lungo il pupillo di un altro brillante e controverso storico d’arte: quell’Anthony Blunt, autorevolissimo curatore dell’immensa collezione reale, che venne smascherato come spia dell’Unione Sovietica (era una delle celeberrime spie di Cambridge). Da molti anni, Sewell è il critico dell’’Evening standard”, per il quale cura anche la rubrica sulle automobili d’epoca. « il più controverso, il più detestato, ma anche il più popolare tra i critici d’arte inglesi. Certo, coloro che sono impegnati a promuovere le tendenze che oggi vanno di moda sulla scena artistica britannica, primo fra tutti Nicholas Serota, il potente direttore della Tate Gallery, in grado di fare e disfare le carriere dei giovani artisti, lo considerano un insopportabile bastian contrario. Ma proprio il suo isolamento, unito a una prodigiosa cultura, ha paradossalmente giovato alla sua reputazione e autorevolezza. Grazie all’impatto sempre polemico delle sue parole, hanno un grande successo le sue rubriche sull’’Evening standard” e i suoi numerosi passaggi ai microfoni della Bbc. [...] ”Siamo in presenza di un declino graduale, che dura da tempo. Ancora all’inizio del secolo scorso i pittori, impressionisti, postimpressionisti, espressionisti, erano di un attivismo formidabile. Le loro ricerche erano ardite e profonde. Ma poi passavano assai rapidamente alla fase successiva, verso nuove conquiste. Prendiamo per esempio il Cubismo. Non è proprio un genere che mi piaccia molto, ma ne riconosco la piena validità e ammiro la forza dell’analisi intellettuale che ne sta alla base. Ma chiunque dei cubisti avesse qualcosa da dire, l’aveva detto entro il 1918. Dopo quell’anno, direi che il Cubismo non ha più molto senso, entra in una fase di declino. Prendiamo Picasso: a un certo punto abbandona la ricerca cubista per tornare a forme più figurative (il periodo degli Arlecchini) ma arricchite dell’esperienza cubista. Ora, con il passare dei decenni, specialmente nel secondo dopoguerra, si produce una crescente tendenza all’immobilismo, alla ripetizione. questo il declino dell’arte contemporanea. [...] Il primo Picasso era di grande valore e importanza, ma era già esaurito nel 1936-1937. Ciò che ha fatto dopo quella data è poco più di un bluff: aveva perso il dono del disegno, l’abilità di usare l’olio, forse anche la sua ispirazione. Secondo me, aveva perso l’interesse per l’arte: si divertiva, scherzava, faceva il mondano. [...] Alcuni espressionisti tedeschi, come Haeckel, Schmidt von Rottluff, e poi George Grosz e Max Beckmann, furono pittori molto intensi; anche qualche suprematista degli inizi, prima che il movimento fosse ossessionato dalla teorizzazione e basta. Ma spesso si ripresenta lo stesso problema, come nel caso di Picasso: si inizia bene, poi si perde l’ispirazione e nessuno osa denunciarlo. Kandinsky, per esempio, era meraviglioso fra il 1911 e il 1916, ma dopo il 1920 fa cose molto inferiori. [...] Le carriere di Duchamp e di Beuys sono quasi speculari. Erano entrambi i primi nei rispettivi campi. Duchamp era estremamente serio nelle intenzioni. Il suo Orinatoio aveva la forma e il senso di una fontana ornamentale: se ci versi dell’acqua, ti finisce sulle scarpe. chiara la matrice baroccheggiante dell’ispirazione. Ti obbliga a riflettere sulla forma e la sua utilità. Per di più, Duchamp sapeva disegnare e dipingere. Il suo Nudo che scende le scale è davvero ottimo. Si è sempre rinnovato e ha sempre mantenuto alta la qualità delle opere [...] Beuys è pieno di simbolismi. Come disegnatore è sensibile e delicato: il suo talento si vede dalla capacità di creare partendo da elementi molto poveri. [...] Ho avuto entusiasmi, che però si sono spenti. Per il lavoro di Nicholas De Staël, per esempio. Oppure per Andy Warhol. All’inizio degli anni 70 ho passato molto tempo a New York alla Factory di Warhol. Mi divertivo, era così eccitante, e mi illudevo che si trattasse di qualcosa di molto importante. Invece, col senno di poi, ricordo solo serate noiose e banali, tutti a fumare canne, e soprattutto un’arte di scarso valore [...] stata una grande delusione. I massimi pittori inglesi, Lucian Freud, Howard Hodkin, Frank Auerbach, David Hockney, non sono semplicemente all’altezza del compito. Copiando un quadro famoso del passato, si mette in luce in modo spietato quanto i nostri contemporanei siano incompetenti nell’uso della pittura. Che Freud nel copiare Chardin sia maldestro è lampante. Lo so che è considerato uno dei maggiori ritrattisti dei nostri tempi, ma secondo me non sa disegnare nè dipingere. E Hockney? tutt’al più un bravo designer, non capisce la natura dei colori a olio, quei suoi esperimenti con le fotografie sono un po’ sciocchini. E non ha alcuna idea della prospettiva nei paesaggi, che pure è una cosa facilissima, nota da secoli. [...] Damien Hirst, agli inizi, aveva una prospettiva interessante. Ha fatto una serie di oggetti in gabbia, in cui sembrava capace di evocare qualcosa di veramente terribile nella natura umana. Poi è diventato ripetitivo e di conseguenza il suo lavoro ha perso l’originale intensità: ormai è un ragazzo ricco e sciocchino che produce opere d’arte sciocche per essere comprate da gente ricca e sciocca. [...] Non sono affatto prevenuto. Sono come un contatore Geiger: esigo di essere intellettualmente stimolato ed emozionato. Esco sempre di casa per andare a una mostra con ottimismo, sperando sinceramente di trovarmi al cospetto di opere interessanti. Purtroppo vengo spesso deluso. E ho pure il senso di un grande imbroglio”» (William Ward, ”Panorama” 10/8/2000).