varie, 17 agosto 2004
DALAI
DALAI Alessandro Milano 10 settembre 1947. Editore • «Cominciamo con qualche numero. Per esempio, quelli di Giorgio Faletti: tre milioni e mezzo per Io uccido. Due milioni per gli altri titoli. 400 mila per i racconti. Stiamo parlando di copie vendute. Roba da vertigine. Alessandro Dalai ne è fiero. Già in passato la sua casa editrice, con Va’ dove ti porta il cuore, aveva raggiunto record che sembravano difficilmente superabili. Si trattava allora di Baldini & Castoldi, mentre da qualche anno il binomio si è accresciuto: Baldini Castoldi Dalai. Perché l’impronta tradizionale della casa editrice milanese è stata opportunamente aggiornata. Una passione familiare: ”Come nipote di Paola Dalai, per anni numero 2 della Garzanti, e di Oreste del Buono, fratello di mia madre, nessuno ha voluto assumermi nell’editoria: un caso di nepotismo all’incontrario”. Finché nell’86 un ”cacciatore di teste” per conto della Mondadori si ricorda del manager amante dei libri: ”Leonardo e Tatò mi assunsero per dirigere l’area Ragazzi e Illustrati. Così, durante la guerra di Segrate, i nemici di Leonardo ogni sei mesi si proponevano di farmi fuori”. Due anni dopo arriva la proposta di Vitta Zelman e Fantoni, soci di maggioranza dell’impero Elemond: passare all’Einaudi come amministratore delegato. ”Accettai, mettendo su un gruppo formidabile, con Piero Gelli, mio zio Oreste, Davico Bonino. Risanammo i conti, ma sedere al tavolo del mercoledì senza timori reverenziali non era uno scherzo”. Al tavolo di via Biancamano, Dalai capisce che dovrà fare le sue battaglie: ”Riuscimmo a tenere Sebastiano Vassalli, tornò Corrado Stajano e venne Nando Dalla Chiesa. Einaudi non voleva portare Volponi allo Strega, ma alla fine ci riuscimmo e Volponi vinse”. Volponi? ”Straordinario: ti prendeva a schiaffi, ma ti voleva bene”. E gli stranieri: McEwan, Yehoshua, Ishiguro… ”Trattenere McEwan non fu facile, perché da anni non riceveva le royalties: era freddo, non simpatico. Provammo anche con Rushdie, ma senza successo. Il rilancio, però, lo si faceva con gli italiani”. E la saggistica? ”Mah, andai da Renzo De Felice: nel piano editoriale c’era il quinto volume del suo Mussolini, ma mi disse: ” da mesi che non vedo nessuno dell’Einaudi, mi dispiace ma il libro non c’è’. Purtroppo l’ho conosciuto solo nell’ultima parte della sua vita, lo ricordo nella sua casa di Monteverde, che mi parlava di archivi, di fondi ancora non studiati. Mi affidò il suo ultimo libro scritto con Pasquale Chessa Il rosso e il nero”. I rapporti con Giulio? ”L’unico rapporto possibile, c’era una persona che doveva decidere e quella ero io. Lo incontrai nella sua mansarda a Torino, non enorme ma molto bella. Ci annusammo: mi vedeva solo come uomo di numeri, per me lui era il mito della mia generazione, cresciuta a pane e rate Einaudi...”. L’uomo di numeri non poteva avere un rapporto facile con l’editore dello Struzzo: ”Certo che no, potrei raccontare tanti episodi di scortesie e sgarbatezze, ma non è il caso”. Per esempio, quando si decise di avviare i Tascabili? ”Fu la scoperta dell’acqua calda. Gli Struzzi erano una collana di prezzo medio-alto che lasciava spazio ad una collana di tascabili di primo prezzo e decidemmo di affidarla a Oreste del Buono. Ricordo una riunione con Giulio, Cerati, Natalia, Garboli, Cases, Del Giudice, Prosperi. Mi chiedevano: ”Ma volete fare qualcosa tipo i Penguin o Les Belles Lettres?’. No, risposi, vogliamo fare semplicemente gli Oscar e la Bur… Due ore di discussione degne di diventare un film di Woody Allen. Fu una prova muscolar-intellettuale. Pur di uscire con i Tascabili, accettammo le prime orribili copertine, ma ne venne fuori un successo pazzesco”. E molte polemiche, a cominciare da quelle che seguirono alla pubblicazione delle Formiche di Gino e Michele: ”Fu una rottura voluta. Del Buono disse: ”Se avessi previsto le conseguenze, quel libro non lo avrei pubblicato’. Invece per me la rottura era inevitabile”. Una parentesi. Oreste: ”In casa ne ho sempre sentito parlare come di un mostro sacro. L’avevo incontrato poche volte, e me lo ritrovai in Mondadori. Lui mi guardava strano. Probabilmente si chiedeva: che cavolo ne può sapere questo qui, di editoria? Allora lavorava ai Gialli e faceva mille altre cose, come sempre. A un certo punto riuscì a dirigere gli Oscar Mondadori al mattino e la Bur al pomeriggio”. Niente di meno einaudiano che il Conte Zio: ”Le riunioni con Oreste le facevo in macchina, tra Milano e Torino. Lui doveva venire con me in casa editrice, ma il più delle volte appena arrivati a Torino diceva: ”Che ci vengo a fare, tanto ti ho già detto tutto...’. Lo accompagnavo in stazione e ripartiva subito per Milano”. Un rapporto idilliaco, tra zio e nipote, che continuerà alla Baldini & Castoldi? ”Altro che idilliaco! Si dimise una trentina di volte, per le ragioni più assurde”. Per esempio? ”Io sono interista, lui era milanista sfegatato. Un lunedì dopo il derby gli dissi: ”Ve ne abbiamo date due...’. Risposta: ”Lo sapevo che tua madre era una poco di buono, non chiamarmi più nella vita’. Per sei mesi non mi rispose al telefono”. Torniamo alle Formiche, le creature di Oreste. Nessuno poteva immaginare che quel libretto di battute potesse ottenere un tale successo. In casa editrice si formò la fronda dei vecchi einaudiani che vedevano quelle bestiole nel catalogo dello Struzzo come un’eresia: ”Scoppiò un caso anche sui giornali: chi si schierava contro e chi a favore. Biagi intervenne per difendere Oreste. Ma alla fine pagammo le conseguenze di quel papocchio: eravamo diventati troppo ingombranti per gli azionisti. E pensare che dopo il successo Einaudi voleva tenersele”. Invece passano alla Baldini, le cui redini vengono affidate, nel frattempo, allo stesso Dalai, transfuga dello Struzzo. Siamo nel ”91, la B & C è una sigla sotto il cappello Mondadori e punta soprattutto sui comici: ”Con l’arrivo di Berlusconi, trattai con Tatò e passai in maggioranza ma pagandola carissima”. Per Dalai è la svolta. Nel ”94 arriva il ciclone Tamaro: ”Era corteggiatissima. La sentii nominare la prima volta allo Strega. A proposito della Tamaro e delle dichiarazioni di De Michelis nei miei confronti, trovo ancora che dopo tanto tempo decontestualizzare il motivo di una serie di reciproci ”scambi di cortesie’ non faccia altro che confermare la scorrettezza di De Michelis”. Come andò l’acquisizione della Tamaro? ”Il nostro editor era Antonio D’Orrico, il più straordinario flâneur che abbia mai conosciuto. Fu lui a parlare con Laura Lepri, editor della Tamaro, e così riuscii a incontrarla. Ci fu un’asta e la nostra offerta non era la migliore, ma scelse noi, sicura del successo”. E infatti... Quella editoriale è una storia di strane congiunzioni astrali, di amori che sembrano indissolubili e di strappi improvvisi. La rottura tra Dalai e la Tamaro si consuma presto: ”Si produsse in lei una decisa conversione ideologica. Passando da Va’ dove ti porta il cuore a Anima Mundi, quella che prima era una radicale convinta di sinistra, femminista molto dura, pur rimanendo molto dura, si spostò verso un cattolicesimo intransigente. I nostri rapporti ne risentirono molto”. Anima Mundi non ottiene il successo sperato e il sodalizio va a pezzi: ”Non era più la stessa persona”. Sempre la stessa persona è rimasto invece Faletti: ”Le sue tante vite, di attore, cantante e scrittore, gli hanno regalato un’abitudine al rapporto con il lettore e con il successo. un istrione che ama il suo pubblico e ama essere riamato. Dunque, senza fatica, è diventato quello che il pubblico vuole che sia”. Con tanta strada alle spalle, prima di arrivare al bestseller: ”Quando faceva Vito Catozzo, era uno dei tanti comici che abbiamo pubblicato, aveva venduto bene, circa 50 mila copie. A un certo punto mi mandò dei racconti. Gli dissi che non era il miglior modo di esordire e gli consigliai di scrivere un romanzo”. Faletti accoglie il suggerimento, si mette al lavoro e nel 2001 il romanzo è pronto: ”Gelli fece un editing molto leggero. Oreste lo approvò, gli fece coraggio e lo sostenne. Era una scommessa, perché allora persino i thriller americani in Italia avevano scarso successo”. Ed ecco un nuovo incrocio astrale: ”Quando il libro uscì, Faletti ebbe un ictus, dopo quindici giorni, mentre lui era in rianimazione, Sette gli dedicò la copertina con l’articolo straordinario di D’Orrico: Antonio non era uscito bene dalla casa editrice e dunque per me era l’ultimo critico che potesse interessarsene. Fu una sorpresa e il resto avvenne come un torrente in piena”» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 22/9/2008) • «La voglia di farsi acclamare come salvatore della patria Alessandro Dalai ce l’ha stampata nei cromosomi. Per tradizione di famiglia. Non è forse stato un eroe quel Teseo Tesei, suo lontano parente, che dopo avere inventato i ”maiali”, siluri sui quali i palombari sedevano cavalcioni, nell’estate 1941 si immolò nel tentativo di assaltare il porto inglese di La Valletta? Certo, Tesei apparteneva alla X Mas, icona della propaganda e della mitologia fascista, mentre Dalai ha scelto di navigare in acque ben diverse, cioè a sinistra, estrema o moderata a seconda dei tempi. L’area dove, peraltro, si sono sempre collocati altri due famosi membri della famiglia: lo zio Oreste del Buono, giornalista e massimo cultore di fumetti, e la zia Paola Dalai, una vita trascorsa alla Garzanti, la prima influente donna nell’editoria italiana. Buon sangue non mente, dunque. Sangue toscano (meglio, elbano), che poi si traduce in una straordinaria attitudine al comando, nella smania narcisistica del gesto eclatante, nella propensione alla litigiosità. Fatto sta che Dalai, dopo essere stato manager di colossi del largo consumo ed editore di genio ancorché di modeste dimensioni con la Baldini & Castoldi [...] non pago di avere scoperto decine di talenti letterari, nè delle giornate trascorse a bordo del gozzo in quel di Marina di Campo (Elba) e delle lunghe passeggiate in mezzo al verde che circonda il suo buen retiro nel Piacentino, si ritrova addosso una grande smania di compiere il salto di qualità [...] di passare alla storia per un bel gesto eroico. Da salvatore della patria (rossa), appunto. [...] Ai tempi del ”68, quando frequenta la Bocconi, Alessandro è uno dei leader del Movimento studentesco. Anzi, è tra i capi del servizio d’ordine del gruppo. Con lui stanno altri personaggi che faranno strada nel mondo dei media e della cultura, come Gianni Vallardi e Renato Mannheimer. La morte, davanti ai suoi occhi, sotto i colpi della polizia, di Roberto Franceschi, nel gennaio 1973, segna un periodo di riflessione e l’allontanamento dalla militanza. [...] La laurea in economia, a questo punto, va sfruttata. Primo impiego, alla Unilever. Dopo due anni, la Henkel. Dalai si occupa di marketing, inventa la linea ”al lime dei Caraibi” che impazza nella pubblicità. Passaggio alla Yomo e approdo all’editoria in Mondadori, con la responsabilità di collane scolastiche e per ragazzi. Nel 1990 diventa amministratore delegato di una Einaudi in gravissima crisi. L’idea folgorante è di affidarsi a zio Oreste (del Buono), che tira fuori dal cilindro le prime formiche incazzose di Gino & Michele: un successo tale da risollevare l’intera baracca. Peccato che anche Giulio Einaudi e i vecchi manager della casa dello struzzo, nel loro piccolo, si incazzino: inopinata, per loro, la commistione fra sacro (Cesare Pavese, Italo Calvino e via con i mostri sacri) e profano (le barzellette, puah). Risultato: Dalai esce dalla Einaudi per gettarsi nell’avventura Baldini & Castoldi, marchio centenario e in disuso (ma, anche qui, strane coincidenze: nel 1938 fu proprio Baldini a pubblicare il testo chiave dell’antisemitismo: I protocolli dei savi anziani di Sion, con prefazione di Julius Evola). Altro che avventura. Baldini & Castoldi funziona benissimo. Di più: si trasforma in una miniera d’oro. Zio Oreste sforna altre formiche e roba del genere che spopolano in libreria. Arrivano anche le riviste, pur con risultati poco brillanti: Linus e il mensile di Smemoranda. Poi scoppia il caso di Susanna Tamaro, con il boom di Va’ dove ti porta il cuore. [...] Tutto bene, dunque, pure dal punto di vista finanziario? Mica troppo. Il vento si cheta. La redditività crolla: il 1998 si chiude con quasi 300 milioni di perdite. Gli autori mugugnano per pagamenti che non arrivano e prendono la via di altre case editrici: da Tamaro (Rizzoli) a Enrico Brizzi (Mondadori) è un fuggi fuggi che scatena pettegolezzi nell’orticello letterario italiano. Il 1999 ha rivisto il ritorno all’utile: intorno a 200 milioni su 25 miliardi di fatturato. [...]» (Sandro Mangiaterra, ”Panorama” 10/8/2000).