Varie, 13 agosto 2004
FONTANA Micol
FONTANA Micol Traversetolo (Torino) 8 novembre 1913. Stilista. Con le sorelle Giovanna e Zoe «ha creato lo storico marchio di alta sartoria “Sorelle Fontana“. [...] La notorietà arrivò nel ’49, grazie alla creazione dell’abito da sposa per le nozze di Linda Christian e Tyrone Power. Un anno dopo conquistarono l’estero, diffondendo il made in Italy, con abiti indossati dalle più grandi attrici del secolo scorso» (“Corriere della Sera” 13/8/2004) • «[...] è nata a Traversetolo, nel parmigiano, dove il padre, piccolo imprenditore edile, aveva costruito la chiesa del paese. [...] La prima volta che mise piede negli Stati Uniti era il 1951, per una sfilata a Hollywood organizzata da Linda Christian e Tyron Power. Aeromobile Alitalia a elica, svariati scali, cuccette a bordo, un seguito di trenta valigie di vestiti. Per Linda, la maison aveva appena realizzato il celebre abito da sposa che l’attrice indossò in chiesa, a Roma. Strascico di cinque metri e passa, sotto cui si nascose un paparazzo ante litteram che eluse così l’esclusiva concessa a una rivista, superando nascosto nel tulle la soglia del sagrato. Fu il primo lungo passo oltreoceano della moda italiana. Sarebbe seguito il cosiddetto rinascimento dello stile italiano. “Per meglio dire nascita, perché per vedere il nostro stile ammirato oltre confine bisognava tornare al tempo di Leonardo, Dame con l’ermellino e dintorni”. [...] due matrimoni. Il primo con un traversetolese, importato a Roma in gioventù e cacciato quando pronunciò un imperdonabile “tu mi hai sposato e tu mi devi mantenere”. Il secondo con uno studente di medicina, dieci anni più giovane, conosciuto a Roma, previo annullamento del primo vincolo da parte della Sacra Rota per vizio di consenso. Tra una trasvolata a New York e l’altra a Parigi, anche il secondo matrimonio va a rotoli. Disgrazia ben più sentita, la morte della figlia, l’amatissima Maria Paola, avuta dal primo marito. Si prese il tifo negli anni 50 sulle spiagge della Calabria. [...] “Di noi tre”, dice, “nesvizi suna era brava a disegnare”. La loro maestria stava nel drappeggio e nel ricamo. Ghirigori, labirintiche fantasie di perline che fecero la loro fortuna. Se c’era da fare un vestito per una serata il giorno successivo, non si poteva dire di no. Le modelle allora erano fachiri in grado di restare immobili per ore. Veglie consacrate alla religione del lavoro. Le Fontana sono una famiglia di sarte da due secoli. Nei primi del Novecento mamma Amabile mise in piedi un laboratorio a Traversetolo, in via Fanfulla. La prima delle tre sorelle a tentare la sorte fu Zoe che si trasferì a Parigi. Non sfondò, ma le rimase la voglia di tentare il grande salto. “Parma” dice Micol, “non venne nemmeno presa in considerazione”. Come tutte le figlie femmine, quando in famiglia mancano maschi, avevano ricevuto un’educazione non timorosa. “Andammo in stazione con le valigie, io Zoe e Giovanna. Che rischio c’era? Se le cose non avessero preso il verso giusto saremmo tornate e ci aspettava la sartoria di mamma. Ma il nostro destino non era quello di cucire gli abiti per la moglie del maresciallo del paese”. Direzioni possibili Roma e Milano. Arrivò il treno per Roma e quello le tre sartine presero. Trovarono subito lavoro. Varie maison e poi un laboratorio in proprio. C’era la guerra. Mamma e papà le raggiunsero presto. I due avevano messo a coltivazione dei terreni a Prima Porta, che allora era campagna. “Coi soldi ricavati dalla vendita dei prodotti dei campi compravamo stoffe”. Un modello agroindustriale. Il tam tam della bella società aumenta il lavoro, finché, passando dalle parti di una non ancora famosa via Veneto si accorgono che un palazzo che avevano sempre sognato è in affitto. “Il sogno era vuoto”, dice Micol. Il proprietario è un Orsini. Finisce la guerra e la pace porta le tre sorelle da via Liguria a Piazza di Spagna, dietro alla via Margutta dei pittori e delle modelle. [...] Micol con signorile riserbo non vuole addentrarsi nei particolari della vendita dell’attività, che risale al ’92 ed è dovuta al sopraggiunto limite di età. [...] Negli anni 60 aprirono lo stabilimento di Cecchina, coi fondi per l’imprenditoria nel Meridione. Quasi trecento dipendenti, il nastro inaugurale tagliato da Andreotti. Ma col ’68 arriva la crisi dell’eleganza e l’eskimo entra anche in sartoria. Micol la notte guida l’auto più d’una volta fino alla fabbrica. Sola, posteggia davanti allo stabilimento, non vista. Ha come l’impressione che dentro le maestranze facciano festa. Il suo non è risentimento classista, piuttosto il sentimento di profanazione di chi vede infranto il dogma del lavoro. Cecchina chiude. Gli anni Ottanta sono una festa cui le Fontana partecipano in vesti di spettatrici vezzeggiate, ma ormai tagliate fuori. Armani e le camicie american gigolo sono lontani dalla Hollywood sul Tevere quanto Richard Gere da Mastroianni. Micol ricorda che Fellini copiò loro il celebre abito succinto, nero, talare, messo addosso ad Anita Ekberg. “Lo creammo per un film mai realizzato. L’aveva suggerito per scherzo monsignor Angelini: ci chiese perché non facevamo un abito da prete per donna”. [...] “Ma la cosa cui teniamo di più è questa”, dice Micol, e indica una piccola teca di legno scuro. È la papalina che Pio XII regalò loro durante un’udienza con le maestranze. “La prima del genere, in Vaticano”. [...]» (Antonio Armano, “Il Foglio” 31/12/2000).