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 2004  agosto 12 Giovedì calendario

LACEDELLI Lino

LACEDELLI Lino Cortina d’Ampezzo (Belluno) 4 dicembre 1925, Cortina d’Ampezzo (Belluno) 20 novembre 2009. Alpinista. Nella storia dell’alpinismo per aver conquistato il K2 il 31 luglio 1954, insieme ad Achille Compagnoni, iniziò ad arrampicare a 14 anni. Nel 1947 effettuò la prima ripetizione della direttissima del Col Rosà. Entrò a far parte del gruppo degli Scoiattoli di Cortina. Nel 1952, insieme a Luigi Ghedina, aprì una nuova via lungo la parete sud della Cima Scotoni, nelle Dolomiti • «“A trent’anni sono salito in vetta al K2. A ottanta sono arrivato al campo base, dopo un trekking di 138 chilometri. Ho raccontato tutta la verità. Ho riconosciuto che quella notte Bonatti non trovò il nono campo perché l’avevamo montato in un luogo diverso da quello concordato; Compagnoni aveva voluto così, io avevo insistito per non muoverci più, non sono riuscito a convincerlo; sono andato in colpa anch’io, ma lì per lì non avevo capito che lui non voleva essere raggiunto da Bonatti. Il libro che ha fatto arrabbiare Compagnoni l’ho scritto per amore di verità. Bonatti però non l’ha capito. Insiste che siamo arrivati in cima respirando sino all’ultimo l’ossigeno che ci aveva portato lui. Non è così, l’ho sempre detto e lo ripeto, l’ossigeno finì prima della vetta. Ma che importanza ha? Chi nega che quell’ossigeno ci abbia aiutati? Non contano di più altre cose? Non sarebbe bello per i compagni che sono morti, per Puchoz che sono andato a trovare nella sua tomba di ghiaccio sotto la montagna, per Rey e gli altri che non sono arrivati al cinquantesimo anniversario, che facessimo la pace e non parlassimo più di questa storia, se non per celebrarla?”. [...] Lacedelli è molto diverso dai suoi compagni di conquista, quella vera. Walter Bonatti, da cui lo divide una polemica antica, è una star internazionale, vive con un’attrice che ha lavorato con Gary Cooper, i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Achille Compagnoni, con cui ha [...] rotto un patto tacito per la vita e per la morte, è un capobranco, un orso disturbato, un lupo ferito. Lacedelli è un uomo dolce, un montanaro ritroso [...] “È vero, ho dovuto attendere a lungo prima di dire tutta la verità. Non volevo dare in pasto la nostra storia ai giornalisti. E poi se fosse stato ancora vivo Desio, una sua parola mi avrebbe schiacciato. Desio andava d’accordo solo con Compagnoni, che lo seguiva in tutto. Io ero considerato l’ultima ruota del carro, appena sopra i portatori. Capo della spedizione alpinistica avrebbe dovuto essere Riccardo Cassin; Desio lo fece fuori, per evitare che gli facesse ombra, e nominò Compagnoni. Quando siamo scesi al campo base, Desio abbracciò Compagnoni, non me, anche perché io non ho voluto. Non ci sono stati uno o due vincitori; tutti hanno dato tutto; e chi ha dato di più è Mario Puchoz, che è morto. Ho visto i compagni esaurire le forze, piangere perché non stavano più in piedi. Per questo sbaglia Compagnoni quando rivendica solo ora di essere stato il primo a mettere piede in vetta. Non era una gara ciclistica. Non c’era uno che tirava, sopra gli ottomila ci si dà il cambio di continuo. E poi non è neppure vero, che sia stato lui il primo: quando ho realizzato che eravamo quasi in cima l’ho preso a braccetto, e nell’ultimo tratto abbiamo camminato insieme”. Sulla questione del nono campo, della notte all’addiaccio, la versione di Lacedelli coincide con quella di Bonatti. “È vero, sono uscito dalla tenda e gli ho detto di posare l’ossigeno e tornare indietro. Lui ha urlato qualcosa. Pensavo fosse sceso. Poi al mattino l’ho visto procedere a zigzag, ho trovato la buca nel ghiaccio appena abbozzata, e allora ho capito il senso di quel che diceva: aveva passato la notte lì per non abbandonare il suo compagno Mahdi, impazzito per il mal di montagna. Se non fosse stato per Mahdi, Bonatti sarebbe potuto rientrare; anche noi la sera dopo siamo scesi dal K2 al buio, grazie a una serie di colpi di fortuna che non possono essere casuali. Prima è caduto Compagnoni, poi siamo caduti tutti e due superando in volo un crepaccio, quindi ci siamo fatti scivolare giù con una piccola valanga. È stato il povero Puchoz, ad aiutarci”. Il punto su cui Bonatti non avrà soddisfazione è quello dell’ossigeno. “Proprio non so perché si sia intestardito tanto su questa storia. Può dire tutto quello che vuole, magari la teoria è come dice lui; ma la realtà è che a un certo punto l’ossigeno è mancato. Agli americani era successa la stessa cosa sull’Everest: l’ossigeno che sarebbe dovuto bastare si esaurì. Anche perché noi siamo partiti verso la vetta alle 7 e 30, non alle 8 e 30 come dice Bonatti. Ma in questi anni non ho mai disconosciuto i suoi meriti. Erich Abram gli è stato a fianco per un pezzo, poi è sceso perché aveva intuito che c’era da passare la notte fuori, e lui aveva paura dei congelamenti che aveva conosciuto sulla Marmolada; Bonatti invece è andato avanti. Gli do atto di aver fatto un’impresa eccezionale. Non ho mai creduto a quanto hanno scritto, che abbia usato l’ossigeno per sé; non poteva farlo perché gli erogatori li avevamo noi, e soprattutto perché Bonatti non è uomo da due parole, quando dice una cosa è quella. Resta il fatto che l’ossigeno è finito. Ora i “saggi” del Cai hanno scritto una nuova relazione, ma loro che ne sanno? Erano con noi sul K2? Dicono che siamo saliti con le bombole fino in cima; è vero, ma erano vuote. Le abbiamo portate come prova di essere arrivati in vetta, e anche perché liberarsene era difficile, con le mani gelate. Io avevo nove dita nere, Compagnoni solo due ma mi chiedeva di fargli i massaggi; e quando il suo guanto è volato via, non ho esitato un attimo a dargli il mio“. In nome di quello spirito, “di quei giorni meravigliosi” che tenevano insieme l’impresa e il divertimento, l’alzabandiera al campo base e il viaggio in zattera sull’Indo, [...] “I primi anniversari non erano così, allora ci vedevamo tutti insieme, a ricordare, a scherzare. Anche Bonatti. Lui dice che non è vero che io sceso dal K2 gli chiesi scusa. Non ricordo le parole precise, erano momenti concitati, sono sicuro però di avergli detto qualcosa come ‘grazie, sei stato grande’. E lui mi era amico, quando avevo i dolori per i congelamenti mi stava vicino, a volte uscivo dalla tenda senza accorgermene e veniva lui sul ghiaccio a riprendermi”» (Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera” 12/8/2004).