Varie, 11 agosto 2004
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PINAULT François Evran (Francia) 21 agosto 1936. Manager. Ha dato vita nel 1963 alla società Pinault, puntando sul commercio e sui legnami
PINAULT François Evran (Francia) 21 agosto 1936. Manager. Ha dato vita nel 1963 alla società Pinault, puntando sul commercio e sui legnami. Nel 1992 ha messo le mani sul gruppo Printemps-Redoute. Tiene molto alle amicizie altolocate, a cominciare da quella con Jacques Chirac. Nel mondo degli affari ha fama di insaziabile, come dimostrano la conquista di Gucci e il suo ingresso nella Bouygues. Vuole portare il gruppo Ppr nel mondo della nuova economia. E sogna di creare una fondazione a suo nome per esporre l’immensa collezione di opere d’arte (’Panorama” 11/5/2000). «Il francese più ricco che c’è [...] uomo ricchissimo e riservatissimo di cui si dicono le seguenti cose: è un corsaro, e in questa veste fa paura; è un capitalista, e come tale cava soldi da tutto; è un mecenate, e aiuta i geni nascenti, compresi e incompresi; è un esteta, e colleziona magnifica arte moderna nella sua casa di Parigi, nel suo castello nei dintorni della capitale, nella sua villa di Saint Tropez. Un esteta, Francois Pinault? E da quando in qua? Lui figlio di un contadino bretone che prima faceva il tagliaboschi e poi il piccolo commerciante di legname? Ma nel frattempo le cose sono cambiate e Francois s’è fatto strada. A morsi e pistolettate. Cominciò a mordere i compagni di un collegio per piccolissimi borghesi dove l’avevano mandato quando il padre era riuscito a fare qualche franco. Ma lo prendevano in giro perché era vestito male e parlava un francese orribile. A sedici anni se ne andò, interrompendo gli studi, a fare il mestiere del padre. Dopo un po’ lo chiamarono alle armi: 30 mesi nell’Algeria del Fronte di Liberazione, degli agguati e delle bombe contro tutto quello che era francese. Riportò a casa la pelle e disse a se stesso che bisognava fare sul serio. Ottenne un prestito di centomila franchi, trenta milioni, dal Crédit Lyonnais (tenete d’occhio questa banca, ha contato molto nella vita di Pinault) e mise un magazzino di legname a Rennes, Bretagna. Stracciò tutti, e nella regione di magazzini ne comprò altri dodici. Alla vigilia della crisi petrolifera del 1973 vendette la sua impresa di legname per un miliardo (dell’epoca). La ricomprò diciotto mesi dopo per duecento milioni. Poi un giorno, uno sconosciuto di nome Jacques Chirac gli chiese se poteva dare una mano a una fabbrica di compensato in difficoltà, con quattro mila dipendenti e un giro d’affari di seicento miliardi, che tanto pochi non sono. La comprò per la cifra simbolica di un franco, ne ebbe 130 milioni dallo Stato per la ristrutturazione nel nome santo della salvaguardia dell’occupazione, ne aggiunse un po’ dei suoi, in ventiquattr’ore cacciò mille lavoratori e la rivendette. Era il 1986 e Pinault cominciava il suo cammino trionfale. Quell’affare patrocinato da Chirac segnò l’inizio di una amicizia profonda e discreta che dura ancora oggi. [...] Si incontrano riservatamente; qualche volta Chirac va anche a pranzo da Pinault, e per l’occasione questo tipo che tutti conoscono di poche parole si lascia andare a interminabili tiritere e consiglia il presidente su tutto: dalla crisi asiatica alla riforma delle pensioni. Dopo la fabbrica di compensato venne una cartiera, anche quella alla disperazione, che però rifornisce tutti i giornali francesi. Anche quell’acquisto invocato da Chirac, anche quella avuta per un franco, anche quella finanziata dallo Stato. La rimise in sesto e la rivendette con un guadagno secco di 150 miliardi. Era [...] il 1990. Ma a quel punto Pinault era già un grande. L’anno dopo la svolta. Si incrociano le strade di Pinault e Arnault; questi volava già altissimo, l’altro faceva semplicemente soldi in un mondo senza stile e senza classe. Arnault gli vendette la Conforama, una società di grande distribuzione con 174 punti vendita. Poi non si sono più rivisti. Del resto non hanno niente in comune, tranne la riservatezza e una timidezza di fondo. Pinault si era già guadagnato il nomignolo di corsaro e voleva tener fede all’immagine. Per cui puntò gli occhi sui grandi magazzini Printemps, non scicchissimi ma di buon livello, una specie di Rinascente. Facendosi dare una mano dall’amministratore delegato, Jean-Jacques Delort, perché intercedesse presso i proprietari del marchio, la famiglia Maus. Lo fece, lo sventurato. Quando Pinault entrò lui fu subito cacciato senza sapere che nel mondo della finanza francese girava già la storiella: Pinault elimina i suoi nemici, poi i testimoni dei suoi successi, poi i complici dei suoi successi e alla fine resta solo lui. Era il 1992. In quell’anno Pinault raggruppò tutta la sua grande distribuzione in un marchio unico, Ppr (Pinault-Printemps-Redoute) [...] Poi decise di raggruppare le sue attività e le mise in una finanziaria che, visto il suo nomignolo di cacciatore, era intitolata alla dea della caccia, Artemide. E chi ci tirò dentro, con una partecipazione del 24 per cento? Il Crédit Lyonnais, banca pubblica che lo ha sempre finanziato in ogni sua iniziativa. La svolta avvenne in quel momento. La banca aveva in portafoglio un’enormità di titoli spazzatura, quelli che furono inventati negli Usa, anni 80, e offrivano altissimi rendimenti a fronte di altissimi rischi. Pinault li comprò in blocco. C’erano dentro le valigie Samsonite e stazioni sciistiche nelle Montagne Rocciose, pizzerie, ristoranti, scarpe da ginnastica, fabbriche di magliette, un caos. Comunque per quell’acquisto non mise fuori un franco: i soldi per comprare i titoli glieli diede la banca proprietaria dei titoli. Su un investimento di tremila seicento miliardi, ne ha guadagnati milleottocento. Un genio. Nella sua storia ci sono anche due sonore sconfitte. Nel ”95 il tentativo di fondere il gruppo Ppr con la holding finanziaria Compagnie de Suez fallisce; nel ”97 la scalata ostile a un altro monumento della finanza francese, la Worms, viene violentemente rintuzzato dall’establishment. Ma la strada di Pinault rimane in discesa. Nel ”93 è diventato padrone del castello dei grandi vini sul quale sventola la bandiera bretone. Nel 1997 si è comprato un istituto di sondaggi. Stesso anno, acquisto del 2,33 per cento di ”Le Monde”, monumento della stampa francese, su suggerimento del suo consigliere Alain Minc. E del settimanale ”Le Point”, che non è enorme ma pesca bene nel centro-destra. E avanti. [...] il 15 e mezzo per cento di Bouygues, un gruppo che spazia dall’edilizia ai telefoni portatili; una gigantesca immobiliare e alla fine il 95 per cento della celeberrima casa d’aste Christie’s. [...]» (Roberto Fabiani, ”L’Espresso” 1/4/1999).