10 agosto 2004
Tags : Helen. Bamber
Bamber Helen
• Nata a Londra (Gran Bretagna) il primo maggio 1925. «Minuta eppur rocciosa signora inglese [...] una vocazione: quella di aiutare i torturati a tornare alla vita. A Londra, dove è nata da genitori ebrei di origine polacca (il nonno materno era nativo di Oswiecim, in seguito ribattezzata Auschwitz dagli occupanti tedeschi), Helen Bamber ha creato la Fondazione medica per la cura delle vittime della tortura. Ma la sua attività era cominciata molto prima, nel 1945, quando non ancora ventenne partì da Londra come volontaria della Jewish relief unit per il campo di sterminio di Bergen Belsen. Nei tre mesi che precedettero l’arrivo degli inglesi, nel campo erano morti di fame, stenti e soprattutto malattie (l’ultima grande epidemia di tifo nella storia) 35 mila dei 60 mila prigionieri. Quando Helen giunse al campo i prigionieri continuavano a morire. Alcuni volontariamente: ”Il giorno del mio arrivo seppi che una donna aveva bevuto del disinfettante e l’aveva cacciato in gola al suo bambino, frutto di uno stupro subito da una guardia” ricorda Helen. Fu a Belsen che Helen Bamber imparò ad ascoltare il dolore. Scrive il suo biografo: ”Durante le lunghe sere monotone nelle caserme, si mise ad ascoltare i sopravvissuti. Si sedeva in una di quelle stanze gelate, su un letto con una coperta ruvida, e la persona con cui parlava improvvisamente cominciava a raccontarle quello che aveva visto”. E ricorda lei stessa: ”Avevano bisogno di attaccarsi fisicamente... avevano le mani come artigli, ti stringevano ed era importante che tu stringessi loro”. Quale fu la tortura più orribile cui furono sottoposti i prigionieri dei campi di sterminio? Helen Bamber non ha dubbi: la selezione. ”Le persone che si scavavano la fossa e venivano uccise con un colpo alla testa non mi toccavano profondamente come questa scelta aberrante di chi doveva morire” spiega. ”Era come se volessero mandarli alla tomba non solo spaventati ma profondamente violati interiormente”. Al suo ritorno a Londra, nel 1947, Helen continuò a occuparsi delle vittime del nazismo partecipando a un progetto per il recupero e l’inserimento nella società britannica di un gruppo di giovanissimi profughi che nelle persecuzioni avevano perso tutto: genitori, casa, identità. ”Quei ragazzi... avevano rimosso gran parte della loro memoria... mi ricordo le loro faccine di pietra che non restituivano niente, i loro occhi scettici che comunicavano una completa mancanza di fiducia”. Helen seppe ascoltare anche loro, li aiutò a far riemergere i ricordi peggiori. Li convinse a parlare e a disegnare. Disegni terribili, in tutto simili a quelli che abbiamo visto tracciare ai bambini del Kosovo: case bruciate, militari armati fino ai denti, genitori colpiti a morte. Qualche anno dopo Helen ebbe un incontro cruciale: quello con Maurice Pappworth, una delle figure più scomode della medicina britannica del dopoguerra, il medico che per primo mise sotto accusa i colleghi che nelle corsie ospedaliere, con l’alibi del progresso scientifico, effettuavano esperimenti spesso inutili e dolorosi. Pappworth faceva discendere proprio da questo atteggiamento di dominio nei confronti del paziente l’attitudine alla tortura mostrata dai medici nazisti e, in seguito, dai loro tardi epigoni. Lavorando per lui come segretaria, Helen ebbe accesso a importanti fonti di informazione sul tema della violenza e della tortura. Negli anni Sessanta fu tra i fondatori di Amnesty international, per cui seguì personalmente molti casi di vittime di ogni parte del mondo. Dalle torture dei francesi in Algeria a quelle del regime di Augusto Pinochet in Cile e della giunta militare in Argentina, dalle violenze perpetrate ai danni dei curdi alla repressione israeliana dell’Intifada, ai nuovi orrori in Africa, Kurdistan, Kosovo e Cecenia, Helen Bamber non ha mai smesso di denunciare episodi di violenza e sadismo. E di impegnarsi personalmente. Per tutta la vita questa donna normale, nè intellettuale nè artista, nè esponente di alcun partito politico, ha aiutato i torturati ascoltando i loro racconti spaventosi. Come quello del cileno Luis Muñoz: ”Mi sospesero per le braccia, usarono un martello, mi soffocarono con una borsa di plastica; la sospensione è estremamente dolorosa, si torcono i polsi; con l’elettricità ti senti il cervello scoppiare: fa malissimo alle orecchie e al pene”. Il primo sistematico rapporto sulla tortura nel mondo è del 1974: lo pubblicò Amnesty international, di cui Helen Bamber divenne poi un’autorevole dirigente. La sua lunga militanza finì negli anni Ottanta quando decise che le pur meritorie campagne di Amnesty non le bastavano. Così, nel 1985, all’età di 60 anni, diede vita alla sua Fondazione per l’aiuto ai torturati: un istituto oggi famoso nel mondo che offre assistenza medica, psicologica e legale a tutte le vittime di violenze» (Valeria Gandus, ”Panorama” 23/3/2000).