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 2004  agosto 10 Martedì calendario

CATALANO

CATALANO Elisabetta Roma 1941. Fotografa • «La sua opera, dalle esperienze a New York e Parigi, per riviste come ”Vogue”, alla collaborazione con gli artisti concettuali e del comportamento - Michelangelo Pistoletto, Vettor Pisani, Fabio Mauri, Sandro Chia, Minimo Rotella, Cesare Tacchi, Gino De Dominicis - fino al successo delle mostre all’estero, alla serie di ritratti famosi commissionata dalla Polaroid Company di Boston nel 1977, alla grande retrospettiva alla Galleria nazionale d’Arte moderna di Roma nel 1992, con 160 ritratti (e Joseph Beyus immagine simbolo), per arrivare nel 1994 ai ritratti di Fellini (all’Istituto italiano di cultura di New York), è un continuo, paziente rovistare, avanti e indietro, negli scatti accumulati in oltre trent’anni di carriera. Che cosa cerca, con tanta insistenza, in questi piccoli frammenti di pellicola? ”Cerco un passato e un presente. Riguardo i provini e scopro dei ritratti che non avevo mai visto, perché li avevo scartati, avevo scelto un’immagine finale diversa. Magari ti fissi e scegli sempre le stesse. Poi però il tempo passa, tu cambi, acquisisci uno sguardo più profondo, o una conoscenza più approfondita della persona, o semplicemente sei diventata più rigorosa. E allora l’occhio si ferma su un provino che anni prima non ti era piaciuto, ma adesso diventa rilevante perché tu hai cambiato la capacità di guardare e vedi cose diverse, che allora ti sfuggivano. Sei diventata più consapevole e soprattutto più esigente. O magari no, anche anni dopo rifai la stessa scelta. Io sento il tempo, il momento giusto. Cerco le immagini perfette per quella precisa occasione. Sono stata capace di aspettare anni a fare una personale, perché non era il tempo giusto”. Come sceglie i ritratti da mandare a un giornale o a una mostra? ”Una volta mi facevo guidare soprattutto dalle valutazioni estetiche, oggi mi interessa di più il carattere del personaggio. Per esempio, di Alighiero Boetti per anni ho scelto sempre lo stesso ritratto, un’immagine molto elegante. Adesso invece ne amo un’altra, più ironica, più precisa. Il tempo ha portato a galla aspetti della sua natura che all’epoca non avevo capito. Ho colto l’ironia leggera che, insieme alla grande intelligenza, era forse la sua cifra principale [...] Non sono capace di fotografare un posto di per sè, come valore assoluto. Il mio mestiere è fotografare le persone. Sono due lavori completamente diversi. Per fotografare un luogo dovrei prima guardarlo a lungo, conoscerlo bene, poi tornare professionalmente, per così dire. Il paesaggio mi interessa però come sfondo. Dev’essere adatto alla persona, esaltarla, spiegarla. Per esempio, quel ritratto di Andreotti con il Pantheon alle sue spalle: c’è lui, con quel suo modo particolare di tenere le dita, e la Roma che si vede dal suo studio alla Camera. Il Pantheon è scuro, un po’ magico, strano. Ecco, quella è la simbiosi perfetta di un uomo e un paesaggio [...] Per me non esistono luoghi di adozione né di elezione. Esistono dei momenti in cui un luogo diventa giusto. Per circostanze estetiche e psicologiche, per un felice coincidere della bellezza esterna e della serenità che danno i rapporti giusti, l’armonia con le persone intorno a te, amanti o amici. Lo squilibrio, la disarmonia possono rovinare un posto bellissimo e renderlo brutto. Al contrario, luoghi fino a un attimo prima poco significanti prendono vita perché sei con qualcuno che te la fa vedere [...] ricordo una passeggiata con Fellini all’Eur. Eravamo tutti e due a Roma, avevamo parlato di lavoro e alla fine del pomeriggio mi aveva chiesto di accompagnarlo a fare un giro. Camminavamo, lui parlava, io ascoltavo. Di fronte al colosseo quadrato ci siamo fermati e mi ha detto delle cose così belle, così intelligenti, che l’emozione di quelle ore mi si è stampata nella mente e adesso per me l’Eur è un posto straordinario”» (Marina Verna, ”La Stampa” 10/8/2004).