varie, 9 agosto 2004
Tags : Saparmurat Niyazov
NIYAZOV Saparmurat Ashgabat (Turkmenistan) 19 febbraio 1940, 21 dicembre 2006 • Politico. Duce del Turkmenistan • «Tra i guai numerosi che ci ha lasciato l’Urss spirando [
NIYAZOV Saparmurat Ashgabat (Turkmenistan) 19 febbraio 1940, 21 dicembre 2006 • Politico. Duce del Turkmenistan • «Tra i guai numerosi che ci ha lasciato l’Urss spirando [...] tra il tripudio quasi generale c’è Saparmurat Niyazov. Ai tempi del politburo, Breznev lo aveva tra i tipi ameni e esotici della sua galleria di fantocci. Lui, il turkmeno, dalle mani grosse da contadino, la pettinatura fitta copiata da quella del capo si faceva iniziare ai segreti degli espedienti del potere. Un mattino non appena il tarlatissimo edificio della seconda potenza mondiale crollò tra polvere e fracasso, gettò via le medaglie i fazzoletti rossi, la spilla di Lenin, e si proclamò ”turkmenbashi”. A tradurre l’ingombrante qualifica in ”duce dei turkmeni” non si corre il rischio di sbagliare. Il suo slogan peraltro ha indubitabili echi mussoliniani: xalq, vatan, turkmenbashi ovvero popolo patria e lui naturalmente, il duce. [...] Ama guidare a tavoletta per le vie di Ashkabad, sgusciando dal palazzo - poco sobrio incrocio tra il Vaticano e il Taj Mahal - dove accudisce il potere. Gli agenti sbarazzano a randellate le vie, cacciando le auto in mostruosi ingorghi laterali. Il peggio tocca ai pedoni terrorizzati, costretti a gettarsi nei fossi e nei portoni. Il presidente ha il piede pesante e non rallenta certo per un suddito molesto. Anche perché al suo passaggio scatta una scenografia realizzata per chilometri, dopo aver raso al suolo avvilenti quartieri abitati da povera gente. Una sfilata di fontane, cascate e giochi d’acqua: come per miracolo, via via che la Mercedes nera fila a tutto gas, con l’autista terrorizzato e inutile a fianco del presidente, le acque zampillano, le cascate scrosciano, i torrentelli si riempiono. Per poi spegnersi mestamente non appena il dio dei turkmeni svanisce in un rombo. La sua silhouette massiccia dilaga presidia occhieggia sovrasta. A piedi a cavallo in doppiopetto a mezzo busto o intero. Vestito da nomade e da banchiere, piccolo grande enorme sorridente pensieroso corrucciato paterno, in pietra calcare marmo porcellana cartone seta plastica. E in oro. Una delle statue è stata coperta di lamine massicce e, mossa da un ingegnoso congegno, ruota come un girasole durante la giornata inseguendo con il suo occhio indagatore i passanti. Dicono che persino un collega non certo estraneo al culto della personalità, il kazako Nazarbayev, alla vista di quella ciclopica stravaganza abbia mormorato che gli sembrava un po’ troppo. Niyazov comunque non esaurisce i suoi sforzi architettonici nell’autocelebrazione. Ha predisposizione per il monumentale, tutto deve rivaleggiare con la torre di babele. Ha [...] annunciato una nuova realizzazione nel cuore del deserto turkmeno, dove temperature terribili calcinarono eserciti carovane tribù: costruirà un gigantesco palazzo del ghiaccio. ”I turkemi - ha detto - hanno il diritto di pattinare come gli altri”. Il mostruoso e costosissimo falansterio si affianca alle centinaia di alberghi di lusso costruiti alla periferia della capitale e desolatamente vuoti. Niyazov era certo che milioni di stranieri sarebbero accorsi ad abbeverarsi alla mecca del suo pensiero. Ha fatto costruire nel suo paese natale una moschea più grande di quella di Istanbul. Dicono che le barbe e i denti d’oro lo mandino in bestia: ora sono vietati. Non chiediamoci se Niyazov è un pazzo, un caso clinico di schizofrenia del potere. Niente affatto: sa che incrociando Stalin e Gengis Khan si affascina un popolo intorpidito da secoli di rassegnato assolutismo. Le galere comunque sono piene. E chi è seduto su un enorme barile di 155 trilioni di metri cubi di gas e sei miliardi e mezzo di tonnellate di petrolio può permettersi qualche stramberia» (’La Stampa” 9/8/2004).