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 2004  agosto 08 Domenica calendario

Fulci Francesco

• Paolo Messina 19 marzo 1931. Vicepresidente della Ferrero. Ambasciatore. Dal 1992 al 1999 all’Onu. «Lo chiamano ”Cannamozza” o ”il messinese”» (Niccolò D”Aquino, ”Sette” n. 12/1998) • «’La diplomazia? La continuazione della guerra con altri metodi” potrebbe essere il motto di Francesco Paolo Fulci. Capovolto, il celebre aforisma di Von Clausewitz si adatta infatti perfettamente alla tattica bellica usata dall’ambasciatore italiano nei sette anni passati alle Nazioni Unite. [...] I metodi di Fulci, alcune felici espressioni, sono addirittura passati alla Farnesina nella leggenda ed entrati nel gergo diplomatico. Come il Coffee club, composto dai rappresentanti dei paesi più piccoli, determinati sempre a votare per l’Italia, ciascuno col distintivo azzurro all’occhiello raffigurante un gentiluomo mentre sorseggia un espresso. O come la ”Fulci rule”, quando l’implacabile ambasciatore, per qualche tempo presidente di turno del Consiglio di sicurezza, costrinse i pari grado delle grandi potenze a presentarsi finalmente in orario alle riunioni, minacciando di dare il via all’agenda dei lavori senza avallare il consueto ritardo dei rappresentanti più titolati. Il segreto della ”machine italienne” stava non solo nell’abilità di Fulci, ma nella compattezza della squadra: riunioni dello ”staff meeting” alle 8,30 del mattino, costante vigilanza degli avversari per contrastare soprattutto Germania e Giappone nel loro vano e frustrato tentativo di farsi eleggere membri permanenti. ”Io so benissimo [...] che ogni persona adora essere chiamata per nome. Così mi ero segnato, uno per uno, i nomi di battesimo di tutti i diplomatici stranieri presenti al Palazzo, soprattutto dei delegati dei paesi minori, e che però potevano votare in modo decisivo le nostre risoluzioni. Quando ne scorgevo uno da lontano, e magari in quel momento mi sfuggiva come si chiamava, mi inguattavo dietro una colonna, tiravo fuori la mia agendina, e infine gli andavo incontro trionfante”. La strategia di corteggiamento delle piccole isole caraibiche (’il voto delle Vanuatu conta quanto quello degli Stati Uniti d’America, cioè uno”, era un altro inderogabile motto) seguiva percorsi quasi scientifici, non senza improvvisi sprazzi di fantasia. Come per esempio quello di scovare al telefono l’unico cittadino italiano abitante nell’isola semisconosciuta di Palau, innalzarlo all’impronta Console onorario d’Italia, e stabilire relazioni diplomatiche con quel luogo sperduto che da allora in avanti avrebbe guardato all’Italia con eterna riconoscenza. Lo stesso con Tonga o con le Figi. Una massa di voti assicurati nella battaglia al coltello svolta al Consiglio di sicurezza contro colossi come l’America o la Cina. Non tutti a Roma però condividevano i metodi di Fulci. Alcuni suoi pari grado sibilavano nemmeno troppo in silenzio dure accuse di protagonismo all’indirizzo di ”Canne mozze”, come perfidamente avevano ribattezzato il collega per le origini siciliane. Così quando l’ambasciatore andò in pensione, la strategia del nuovo rappresentante Sergio Vento cambiò radicalmente. E si passò, da una diplomazia multilaterale terzomondista a una bilaterale tesa invece a privilegiare i rapporti con le potenze planetarie. [...] Vice presidente della Ferrero, combatte con la stessa intensità di sempre le copie degli inimitabili Roché fatte in Cina. E ai suoi ospiti, nella bella residenza dei Parioli a Roma, a fine pasto non manca mai di offrire e far assaggiare quelli che lui stesso definisce ”i cioccolatini dell´ambasciatore”» (Marco Ansaldo, ”la Repubblica” 18/9/2007) • «La mia impresa più difficile fu quella di persuadere 14 ambasciatori della Nato che la Gladio era una struttura dell’Alleanza. E questo nel momento in cui un portavoce del comandante supremo aveva smentito Giulio Andreotti e Francesco Cossiga sostenendo che la Gladio non faceva parte della Nato. Successe il finimondo. In Italia qualcuno aveva addirittura chiesto la messa in stato d’accusa per alto tradimento sia di Cossiga sia di Andreotti. Ebbi pochissime ore per persuadere Il Consiglio atlantico che bisognava smentire il portavoce. Ci riuscii forse anche perché in quel momento era segretario generale dell’Allenza Manfred Woerner, che era stato ministro della Difesa tedesco e conosceva bene l’esistenza di queste strutture clandestine. Fu proprio a seguito di questo successo che fui costretto ad accettare l’invito del capo dello Stato Cossiga a guidare il Cesis, l’organo che coordina i servizi segreti» (Pino Buongiorno, ”Panorama” 16/12/1999).