L’Indipendente 1/08/2004, 1 agosto 2004
Il 30 agosto 1970, a Roma, in un attico di via Puccini, a un passo da villa Borghese, vennero ritrovati i corpi del marchese Camillo Casati Stampa, della moglie Anna Fallarino e di un venticinquenne, Massimo Minorenti
Il 30 agosto 1970, a Roma, in un attico di via Puccini, a un passo da villa Borghese, vennero ritrovati i corpi del marchese Camillo Casati Stampa, della moglie Anna Fallarino e di un venticinquenne, Massimo Minorenti. Sembrava il classico delitto di gelosia: il marito che uccide la moglie e l’amante, e che poi disperatamente si suicida. Dopo qualche giorno gli inquirenti trovarono in casa il diario del marchese. Emersero allora altre realtà. Camillo amava guardare, fotografare e filmare la moglie mentre aveva rapporti sessuali con altri uomini, e annotava quindi queste esperienze sul suo diario. Finché la marchesa, però, non si innamorò del Minorenti, uno dei ragazzi pagati per partecipare a queste ”riunioni”. Camillo non riuscì a accettare la situazione. Prima meditò il suicidio, poi decise di farsi anche giustizia. Il patrimonio dei Casati, che all’epoca ammontava a più di 400 miliardi di lire, venne conteso dall’unica figlia, Anna Maria, nata da un primo matrimonio del marchese con Lydia Holt (alias Letizia Izzo, nota soubrette degli anni ’50, morta di cancro pochi anni prima), dalla sorella della Holt, Emilia Izzo, e dal padre della marchesa, Ernesto Fallarino. Ma la marchesina Anna Maria era ancora minorenne: così parenti e amici di famiglia cercarono di ottenerne la custodia. La battaglia legale che ne venne fuori fu aspra e difficile, soprattutto su un punto che si rivelò determinante: chi fosse morto per ultimo, se il machese Camillo omicida-suicida o la consorte Anna, ferita a morte sì, ma non fulminata.