4 agosto 2004
DI LAZZARO Dalila.
DI LAZZARO Dalila. Nata ad Udine il 30 gennaio 1953. Attrice. «’Un produttore una volta mi disse: se ti fossi fatta la quarta misura saresti stata la B. B. degli anni Ottanta. Ma a me il silicone non interessa e in fin dei conti non mi serve neanche: non son capace di andare in tv con quelle scollature e tutto fuori, cosce, sedere” [...] Gira forte una voce tra i beninformati del cinema. Questa voce racconta che la sua vita di ragazza bellissima, libera e spensierata sia mutata quando la più celebre, ricca, importante attrice italiana si è sentita minacciata negli affetti e ha cominciato a perseguitarla, anche con telefonate molto violente, prima anonime, poi scoperte, e che abbia scatenato contro di lei le più feroci fattucchiere del napoletano [...] ”Carlo Ponti mi diceva che avevo carisma, che dovevo fare seriamente questo mestiere. Il mio agente mi diceva: hai il fisico di una grande star e la testa di una casalinga. Io che devo dire? Questo mestiere l’ho preso un po’ sottogamba. In realtà mi sono mancate due cose essenziali, tenacia ed esibizionismo. Sono pigra, anzi accidiosa, e trovo ridicolo presenziare a tutti i costi, fare la diva. Sempre Ponti mi diceva: devi vivere in una sfera di cristallo. Be’, non è mai stato il mio genere, a me è sempre piaciuto stare tra la gente, giocare a briscola, ballare [...] E poi, essendo una bella donna debole di cuore, mi hanno sempre intortato [...] Non mi è mai successo di dire: che bel film, che felicità di farlo! Se mi chiede perché sono tanto popolare, non so darle una risposta precisa [...] Jack Nicholson. Ogni anno mi chiede di fare sesso con lui e io cerco mille scuse per non farlo, scappo anche se lo farei subito. Ma io non voglio confondermi con le altre [...]’» (Vittorio Corona, ”Panorama” 12/8/1999). « [...] Una vera vita al limite e anche oltre i limiti, la sua. La fuga da casa quand’era minorenne, perché era incinta, scacciata con odio e con le botte dai suoi genitori. Ventitre anni dopo, la perdita atroce del suo unico e adorato figlio, Christian. E poi ancora due anni (due anni!) vissuti in un letto, in uno stato di totale immobilità, in conseguenza di un futile incidente stradale... Sono solo gli episodi più salienti di una esistenza romanzesca, segnata da illuminazioni di successo - accese da quegli occhi chiari fuori dal comune, da una prepotente, quasi selvaggia bellezza - e perseguitata dal dolore e da eventi drammatici. [...] ”[...] Ero una bellissima e sempliciotta ragazza friulana: vogliamo dire, come tutti mi dicevano con gli occhi che scoppiavano di voglia, bellissima? Ma sesso, zero. Non sapevo e non capivo niente. Solo i desideri naturali. La mia famiglia era rigidissima, bigotta. [...] se sul video, in un film, c’erano due attori che si baciavano, i miei genitori spegnevano la tivu.[...] Mio padre, Attilio, era un uomo eccezionale, pieno di contrasti. Due guerre, un ex pugile, un peso massimo che si era battuto anche con Carnera. Ma gentile, raffinato: un cuoco formidabile, aveva una bella scrittura, un artigiano paziente, si era costruito una chitarra da solo. Da lui ho ereditato la miscela di caratteri opposti” E la mamma? – Rosalia: lei era l’uomo di casa. Attiva, di polso forte. Lui col grembiule, lei il capo”. La gravidanza, in questa condizione: un dramma? – Lui aveva 17 anni: Franco Cocetta, un bravo ragazzo. Anche lui alla prima esperienza. Ci piaceva darci dei baci, tanti baci: poi, a poco a poco, sul bagnasciuga... Io ero verginissima, anche se a cinque anni avevo avuto una tremenda esperienza sessuale. [...] Lui era un parente. Successe in campagna. Una violenza ripetuta: una decina di volte. Non ricordo bene: avevo paura e non ne parlai con nessuno. Poi qualcuno in famiglia capì e quell’uomo, senza scandali, è sparito dalla mia vita. Mio padre e mia madre non hanno mai saputo nulla. Ma non voglio parlarne. [...] Quando rimasi incinta, a scuola ero in ritardo, anche per qualche malattia, una broncopolmonite, il morbillo... Ma non solo per questo. Avevo problemi di dislessia. Una mia cugina si accorse che ero incinta, per i soliti motivi: le nausee, l’aumento di peso... A casa mi picchiavano con una stecca. Mi rifugiai in montagna, terrorizzata, da una mia amica [...] Una volta tentai di tornare a casa e mi cacciarono con secchiate di acqua gelata [...] il mio fidanzatino, Franco, decise subito che voleva sposarmi. Andammo a vivere a casa sua: lui era figlio unico, con una madre vedova. Brava gente. E il 5 aprile del 1969 nacque Christian [...] Eravamo poveri, dovevamo arrangiarci. Mi diedi da fare, come potevo. La bellezza era un salvagente. Mi ritrovai a fare la modella di provincia, per piccole case di moda. Viaggiavo, mi divertivo anche... [...] a 17 anni [...] subisco questa seconda, maledetta violenza [...] Mi considero fortunata: sono rimasta viva. Conosco questo tizio a Torino, 50 anni più o meno, in una fiera: mi osservava in modo maniacale. All’epoca guadagnavo 5, anche 10mila lire al giorno: lui mi propose il doppio o il triplo, seppe essere convincente. Era toscano, mi diede un appuntamento a Firenze. Mi insospettii perché, in macchina, cominciò ad andare verso Genova. Mi portò in una casa disabitata sul litorale e mi tenne sequestrata per tre giorni. [...] Riuscii a scappare e a salvarmi. Dalla polizia seppi poi che era stato in prigione, per omicidio, era fuori in libertà vigilata [...] Anche di questa storia i miei genitori, e mio marito e mia suocera, non hanno saputo nulla. Avevo paura di essere sgridata, massacrata di botte. Ma fu un avvenimento decisivo. Avvertii all’improvviso il desiderio di essere libera, in casa con mio marito mi sentivo segregata. Il matrimonio si sfasciò. Mancavano i soldi. Mia suocera, più o meno, mi mise alla porta. E tornai a casa, con il bambino in braccio, come in certi romanzi d’appendice [...] Un mezzo inferno. Mi insultavano. Per loro la mia maternità era un tradimento. Il bimbo era coccolato, io mi sentivo il loro rifiuto addosso, come una seconda pelle. Spesso mi picchiavano. Una sera, la svolta: Christian piangeva, mia mamma mi strilla ’ma da’ da mangiare a tuo figlio!’ e mi tira addosso un posacenere. Ricordo la sequenza: mi tampono il sangue, metto il cappotto sul grembiule, e fuggo via da casa piangendo. Decido di abbandonare tutto. Ricordo la porta che sbatte: il senso di liberazione, il dolore di lasciare mio figlio. Era un pomeriggio freddo freddissimo, giro per le strade senza un progetto [...] Mentre vago da una strada all’altra, sento unl clacson: era un ragazzo sciccoso, ricchissimo. Carlo. Mi dice: perchè piangi? ti porto al pronto soccorso? Io ero diffidente: manco mi ricordo chi era, pensavo che volesse, come tutti, quella cosa lì. Mi porta a casa sua: di colpo mi ritrovo in una mansarda, tutta per me: dalla miseria e dalla disperazione, coccolata in casa di un miliardario. Resto lì venti giorni, senza mai uscire, mentre tutti pensano che io sia finita chissà dove [...] Il guaio è che lui è innamorato e io no. Mi rispetta, non mi tocca: io non voglio tornare a casa, ma non posso restare con lui senza amarlo [...] Vado a Lignano Sabbiadoro da un’amica, lavoro in una boutique, conosciamo ragazzi romani, anche famosi, che ci corteggiano: un’amica mi spinge ad andare a Roma, a raggiungerli. L’impatto è violento: loro sono ricchi e spietati. Scopro la droga, droga pesante, e fuggo impaurita. Il mio corteggiatore mi pianta in una pensioncina [...] scopro il cinema. Se ricordo bene, è il ’71. Carlo Ponti è il mio Pigmalione. Prima di incontrarlo, conosco due bravi ragazzi che lavorano in pubblicità, qualche esperienza senza spessore, una sfilza di produttori che cercavano di farmi...” [...] anche con Ponti [...] una storia famosa. ”Assolutamente falso, anche se tutti ne parlavano. Lui mi ha aiutato a crescere, è stato forse l’uomo più importante della mia vita, ma senza un rapporto d’amore. Un rapporto sentimentale e filiale, sì. L’unico uomo che mi ha dato qualcosa, tanto tantissimo, mentre gli altri hanno sempre preso o cercato di prendere. Un incontro che dà il via a una stagione felice [...] Conosco Andy Warhol, divento sua amica, mi vuole, per un film di Ponti: una storia su Frankestein, il mio personaggio è una ragazza muta, la donna perfetta. Mi mandano a Londra per studiare l’inglese, invece esplodo: vita, cinema divertimento, avventure. Ma con un pensiero fisso [...] Naturalmente, Christian. Trovo una bella casa a Roma e convinco mia mamma a vivere con me e con mio figlio [...] Il pigiama giallo, Voltati, Eugenio, Il gatto. Soprattutto Oh Serafina di Pietro Germi, con Adriano Celentano. Un gran bel film. [...] Non riuscivo a imparare bene l’inglese, ma vivevo tra Roma, Londra,New York e Hollywood. Alla grande, sì. Viaggi, gente famosa, vedo e tocco con mano ricchezza e lusso. Ai ricevimenti trovavo Elton John, Mick Jaegger. La ragazza bella e sempliciotta di Udine che si trova a tu per tu con Warren Beatty, Jack Nicholson, Richard Gere. Ricordo una festa nella casa di Hugh Hefner, il re di ’Playboy’, in una villa incredibile, piena di piscine, caverne, laghetti, conigliette... La montanara sta a guardare, piena di buona volontà e di contraddizioni. Frequento anche l’Actor’s Studio, soprattutto per curiosità. [...] Ricordo Chabrol come un personaggio pessimo, Truffaut invece grande in ogni senso, Warhol geniale. Però i registi, uno per l’altro, davano importanza soprattutto al mio corpo. [...] in quegli anni dorati, fine settanta, mi scopro una seconda carriera, come modella: i miei grandi amici e sostenitori sono i fotografi più illustri. Vado in copertina sui settimanali più noti. [...] la perdita di un figlio è la più grande sofferenza terrena. Perduto per un incidente stradale! Ma mio figlio - questo è il punto - per me non è mai morto. [...] mio figlio era tutto. Era anche un padre, per me: mi sono sentito orfana. Christian era la sicurezza, la lucidità, la forza, era un’isola di intimità. E poi era buffo: mi capiva, mi ascoltava, sapeva ridere con me. Quante volte, tornando a casa, lo trovavo sveglio e gli confidavo le stupidissime, ridicole situazioni delle serate che avevo appena trascorso, una cena, una festa, un corteggiatore screanzato, le invidie, le gelosie... Ridevamo. Mi sentivo purificata. [...] era bellissimo: riservato, sensibile. Adorava la musica, suonava bene, aveva un talento innato. Ma solo dopo la sua morte ho scoperto che scriveva canzoni, che a me sembrano bellissime. Solo dopo la sua morte, dalle testimonianze dei suoi amici, ho saputo che aveva tenuto un concerto all’Eur, e non me ne aveva parlato: mi dicono che temeva di emozionarsi, se fossi stata presente. [...] Per tanto tempo mi sono sentita solo una preda. Negli amori qualche volta ci sono cascata: per esempio con un ragazzo diabolico, Fabrizio, che riuscì ad ottenere di me non solo un totale abbandono fisico, ma il possesso mentale. Io ero affamata di focolare, lui era molto menefreghista. Capace di prendermi, lasciarmi e riprendermi come voleva. [...] Dopo gli anni americani, mi sono illusa che il cinema italiano mi desse spazio. Avevo fantasie, sogni di attrice vera... invece era il trionfo del genere erotico. Gloria Guida, Edvige Fenech, Laura Antonelli... Anch’io, come tante, ero solo una preda. Mi proponevano solo filmetti. [...] Io, poverina, sognavo di poter lavorare con la Cavani, o con Marco Ferreri, fare cose come Il portiere di notte: storie vere, di vita vissuta, sofferta.[...] Mi sono sempre sentita addosso un pregiudizio: ero un ex symbol e basta. Forse è colpa mia: sono ribelle verso il sistema, detesto la pomposità delle istituzioni, le ipocrisie, gli atteggiamenti snob, viziati. Forse dovevo calcolare. Ma non è nella mia indole. [...] Ho rifiutato il James Bond di Mai dire mai: il ruolo è andato a Kim Basinger. All’epoca avevo problemi di claustrofobia, dopo un incidentino - c’è stato anche questo - su un aereo privato in America. Mi salvai la vita, ma con l’angoscia addosso: sono stata in analisi per dieci anni. [...] 1985. Una banale appendicite, scambiata per una cisti ovarica, diventa un’odissea, tutta italiana, lunga cinque anni con cinque interventi disastrosi. Poi, a Bruxelles, trovo un grande chirurgo che mi tira fuori dai guai [..] Mi sono rotta, come si dice in gergo, l’osso del collo. Nel ’97, in motocicletta: una buca nella strada, qui a Roma, un rimbalzo, una frustata. Sembrava una cosa stupida, sono rimasta immobilizzata, senza la possibilità di fare un movimento, per due anni esatti. [...] Terribili le emozioni contrastanti. Il terrore di non vedere vie di uscita, di dover vivere sempre così. Poi la speranza, che non deve mancare mai. Poi di nuovo la delusione, dopo le verifiche mediche. E così via. E l’abitudine. Perché ci si abitua a tutto [...] Il problema è affrontare il tempo, che non passa mai. Un giorno immobili è pesante, una settimana ti sembra insopportabile, un mese è sfibrante, un anno è impensabile. Due anni potrebbero mandarti al manicomio. [...] Il mio avversario era il tempo. Dovevo neutralizzarlo, batterlo. Impedirgli di piegarmi. [...] Con la mente. Fantasie, ricordi, sogni, progetti, emozioni. Con tutto questo si batte il tempo. Il corpo può diventare schiavo. La mente è libera. Non si arrende, la mente. Mai lamentarsi. Bisogna guardare le stelle appiccicate sulla parete, come fanno i bambini” [...]» (Cesare Lanza, ”Sette” n. 23/2000).