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 2004  agosto 02 Lunedì calendario

Rugova Ibrahim

• Nato a Istog (Kosovo) il 2 dicembre 1944, morto il 21 gennaio 2006. Scrittore. Politico. «Ribattezzato, con qualche semplificazione, il ”Gandhi del Kosovo”, era arrivato alla politica tardi e quasi malvolentieri [...] Nato nella regione bellicosa che si chiama come lui, e di cui i soldati italiani fecero dura conoscenza: le montagne della Rugova. Nel gennaio ’45, la polizia jugoslava venne ad arrestare il nonno e il padre di Rugova. Membri di una famiglia notabile, erano antifascisti e antinazisti e fautori di un moderato nazionalismo albanese: perciò non avevano aderito all’esercito di Tito. Furono processati e giustiziati come nemici del popolo. Il padre di Rugova aveva 27 anni. Ibrahim frequentò il lieco a Pec negli anni 60, quelli delle repressioni poliziesche di Rankovic, rimosso alla fine da Tito nel ’66. Nel ’67 riapre a Pristina l’università in lingua albanese e Ibrahim si iscrive all’Istituto di ”albanistica”. lì che fa il suo ’68 autonomista. nel ’74 è varato il nuovo statuto autonomo del Kosovo [...] che lo sottrae alla Serbia rendendolo dipendente direttamente dalla Federazione jugoslava [...] Nel ’76 Rugova ottiene una borsa per Parigi: la si compie la sua formazione di critico letterario e scrittore [...] I suoi idoli sono Roland Barthes, Sartre [...] 1980. Muore anche Tito. Tutto cambia. Ribellioni autonomiste scuotono il Kosovo già nel 1981, con molti morti e migliaia di condanne al carcere. Rugova pubblica libri di critica [...] Tesserato, ”come tutti”, alla Lega dei comunisti, ne viene espulso nel 1989. l’anno in cui Milosevic va a scoprire le tombe del Campo dei merli. A dicembre, Rugova, già presidente degli scrittori, diventa presidente della nuova Lega democratica per il Kosovo [...] Nel ’92 Rugova è eletto presidente [...]» (Adriano Sofri, ”Panorama” 6/5/1999). «Ha abbracciato Milosevic. Ha abbandonato l’Islam. Ha un debole per i brindisi. Ha una politica immobile come le pietre che colleziona» (Francesco Battistini, ”Corriere della Sera” 24/10/2004). «Bel paradosso di leader politico è stato Ibrahim Rugova. Così timido ma così acclamato, parlatore oscuro per una battaglia dal chiarissimo obiettivo, mai privo di ambiguità in una lotta che pure appariva il classico scontro muro contro muro, predicatore di una lunga non violenza che ha condotto ad una guerra breve e furente, plebiscitato presidente di uno Stato che non esiste. E infine scomparso proprio [...] alla vigilia della partita finale, destinata a realizzare oppure infrangere - in entrambi i casi con conseguenze politiche delicatissime per l’intera area balcanica - il sogno d´indipendenza degli albanesi kosovari.[...] è riuscito a sopravvivere a tutti quanti, vuoi in senso politico, vuoi anagrafico, prima di andarsene [...]anche lui, era invece il più dimesso di tutti. Lo si andava a cercare a Pristina, mitico portavoce della protesta dei kosovari albanesi contro l’oppressione serba, e tutto quello che si trovava era un omino spettinato, non bello, infagottato nella sua sciarpetta quasi fosse esposto a un perenne raffreddore, che rilasciava dichiarazioni circonvolute, fatte di frasi indirette e spesso criptiche. Sempre per pochi minuti, sempre sul punto di essere trascinato via da una coorte di guardaspalle, segretari e ”consiglieri” e di richiudersi in casa. Giornalisticamente, Ibrahim Rugova era insomma una delusione. Ma dal punto di vista politico appariva addirittura un’assurdità. Il suo pacifismo senza carisma sembrava del tutto sprovvisto di credibilità, in un contesto dove la violenza si andava accumulando nell’atmosfera come un miasma. Finivano gli anni Ottanta e gli sloveni preparavano la fuga; i croati accumulavano armi nella convinzione che la guerra fosse inevitabile; i generali dell´Armata jugoslava aspettavano ordini dai nuovi signori del nazionalismo serbo; i musulmani bosniaci si trastullavano nell’illusione che almeno loro l’avrebbero scampata. Ma gli albanesi del Kosovo, già vittime di una repressione molto reale, tenuti d’occhio e fatti scomparire all’occorrenza dalle polizie segrete di Slobodan Milosevic o dalle sue milizie, sembrava preferissero rifugiarsi in un loro mondo irreale fatto di scuole parallele, elezioni clandestine, ministeri fantasma e futili enunciazioni di principio, al quale presiedeva l’imbelle omino con la sciarpetta. Alle vittime delle manganellate predicava che la salvezza era nella letteratura. Pareva sconfitto prima ancora di aver davvero provato a combattere. Questo pensavano anche molti kosovari e soprattutto i più giovani. La strategia politica proposta da Rugova si disgregò in un clima di violenza crescente, dopo che altri kosovari avevano deciso di prendere le armi e trasformare la battaglia per l´indipendenza da muta resistenza in lotta armata. Nella seconda metà degli anni ’90 fu l’Uck ad assumere la rappresentanza politica del Kosovo e la Lega di Rugova sembrò messa da parte, ammutolita, declinante. Il ”Gandhi dei Balcani” contava sempre meno. Ancor più fuorigioco apparve durante la guerra del 1999, quando l’Occidente intervenne per mettere fine alle violenze serbe contro il Kosovo e sotto i bombardamenti Rugova sparì. Fu anche dato per morto finché non ricomparve a Belgrado, in una devastante e mai veramente spiegata stretta di mano televisiva con Slobodan Milosevic, il carnefice della sua gente; Milosevic lo consegnò all’Italia e Rugova sembrò un politico finito, un uomo del passato. Poi la guerra finì, il Kosovo divenne un protettorato internazionale e Rugova tornò a casa, dove la scena politica era dominata dai giovani leader dell’Uck che presto incominciarono a spaventare la stessa opinione kosovara per la loro spregiudicatezza criminale, per il ricorso occulto alla violenza al fine di rafforzare il proprio potere personale, per la desolante mancanza di cultura e di capacità politica. Vennero le prime libere elezioni kosovare, e Ibrahim Rugova risorse e trionfò. Soltanto allora si capì - soltanto allora noi capimmo - quanto radicato e profondo fosse il suo rapporto con la sua gente. Che non era fatto né di bell’aspetto né di belle parole, non di esteriore carisma e neppure di sotterraneo sistema di potere, ma soltanto di una presenza di lungo corso, di una costanza nella buona e nella cattiva sorte, di resistenza talora efficace e talora travolta. Persino la comparsata a Belgrado in piena guerra fu perdonata. Continuavano a riconoscersi di lui. Negli anni 2000 la situazione del Kosovo non è migliorata. Rugova è rimasto se stesso, sempre ambiguo, sempre debole, mai trascinatore. L’economia si è incancrenita, la vita politica circonvoluta, l’interesse internazionale è completamente svanito. L´ultimo inafferrabile dono che l´omino con la sciarpa lascia al suo popolo è che la sua scomparsa cambia poco o nulla. [...]» (Pietro Veronese, ”la Repubblica” 22/1/2006).