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 2004  agosto 01 Domenica calendario

FERRARI Matteo

FERRARI Matteo Aflou (Algeria) 5 dicembre 1979. Calciatore. Cresciuto nel vivaio dell’Inter, ha giocato anche con Bari, Parma, Everton, Roma, Genoa, Besiktas. Medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene (2004). 11 presenze in nazionale • «Difensore centrale della Roma. Soprannomi conosciuti nessuno. Insulti parecchi, da quando gioca all’Olimpico. “È da Natale che non ascolto più le radio, nè leggo i giornali - risponde lui - qui si chiacchera troppo e spesso a sproposito”. Se la Roma non fosse sull’orlo del baratro, in zona retrocessione, si sarebbe detto che Matteo Ferrari ha preso il posto lasciato vuoto da Zebina e delle sue zebinate. Ma la situazione è molto più grave di così. Nei bar di Roma alla mattina c’è gran silenzio. Nelle radio calcistiche si parla quasi di niente, così, per puro dovere professionale. I più avvelenati danno fondo all’ultima, stanchissima, pasquinata: “Artro che Ferari! Pari ’na cinquecento rottamata! Rifatte li piedi!”. Così si avvia verso un prematuro viale del tramonto uno dei difensori più promettenti del calcio italiano, già campione d’Europa Under 21, capitano del Parma a soli 24 anni. Certo che contano le assennate osservazioni sulla responsabilità limitata dei difensori: “La fase difensiva - spiegava lo stesso Ferrari - parte dall’attaccante e va fino al portiere, passando per i centrocampisti”. Non ha tutti i torti. Si capisce così tra l’altro un assioma della scuola italiana breriana, per la quale in difesa va evitato come la peste l’uno contro uno dell’attaccante contro lo stopper, ricorrendo semmai al libero. Che è un elementare principio di solidarietà, i cui fondamenti vanno ricercati nelle tattiche di guerriglia partigiana della Resistenza o giù di lì. Altri tempi. Oggi va di moda il superomismo dei muri (Walter Samuel, di cui Ferrari ha preso il posto) o degli orchi (tipo Jaap Stam), e perciò tu puoi essere un difensore tendenzialmente elegante e tecnico, ma se rompi paghi e i cocci sono tuoi. È stato il solo Christian Chivu a prendere di petto il problema: “Il problema di Ferrari è stato la società. Nessuno l’ha difeso”. Può darsi. E può darsi anche che Ferrari sia stato sfortunato a trovarsi sempre nel posto e nel momento sbagliato. Fatto sta che nell’ultima striscia negativa della Roma - quella con Bruno Conti in panchina - lui ci ha messo il piede dall’inizio alla fine, dall’autogol in Fiorentina-Roma di Coppa Italia al controllo goffo e difettoso che serviva a Caracciolo la palla del pareggio in Roma-Brescia [...]. La scenetta paperinesca successiva, col giocatore che batte i pugni sull’erba e si sarebbe mangiato pure il cappello se l’avesse avuto, ci intenerisce un po’. Ma non al punto da dimenticare che i dubbi su Ferrari li abbiamo avuti tutti [...] quando da difensore azzurro servì di testa a Carlitos Tevez l’assist per un tiro al volo micidiale che aprì il disastro nella semifinale olimpica con l’Argentina. Convocato a Sidney 2000, disse: “È troppo importante per la carriera di un giocatore. Anche perché capita soltanto una volta nella vita”. Aveva torto. Infatti è stato convocato come fuoriquota per le Olimpiadi di Atene coi risultati di cui sopra, e ha malamente rimpianto quel giorno (perché, come dicono i giornali sportivi, così ha saltato la preparazione). Oltrettutto, proprio in quell’anno 2000, Ferrari con la sua bella faccia scura già sembrava un personaggio fatto e finito. Nato ad Algeri da padre italiano e madre della Guinea, portato dalla Spal all’Inter da Mariolino Corso e mandato in giro per l’Italia a farsi le ossa col Genoa, col Lecce, col Bari, lui era la nostra risposta al progressismo francese dei black, blanc, beur. Più o meno. “Razzismo? Non mi è mai capitato - dichiarò in quei giorni - anche perché mi scambiano per uno molto abbronzato”. Successivamente denunciò gli insulti razzisti ricevuti da un giocatore dell’Udinese, ma non fece nomi perché “dopo i 90’ finisce tutto e lui è venuto a chiedermi scusa”. Occasioni di altro genere, in carriera, non gli sono comunque mancate. Per esempio, quando si seppe che poteva andare al Manchester, un sito inglese di calciofili alcolisti gli dedicò un cocktail, il Ferrari: amaretto, vermouth, angostura. [...]» (Alberto Piccinini, “il manifesto” 11/5/2005).