Varie, 29 luglio 2004
LOMBARDI Sandro
LOMBARDI Sandro Ponte a Poppi (Arezzo) 30 settembre 1951. Attore • «Per i palati fini del teatro è un nome noto, per non dire di culto: un Marco Paolini prima del bagno di folla televisiva del Vajont [...] Anni di avanguardia spesso profanatrice, iniziati con la fondazione del Carrozzone e proseguiti con la compagnia I Magazzini insieme con l’inseparabile Federico Tiezzi [...] In lui sembra rivivere l’antica arte del mattatore, quella capace di soggiogare le platee con la forza della provocazione fusa a quella del candore [...] “Quando, negli anni Settanta, noi del Carrozzone polemizzavamo col teatro commerciale, ci riallacciavamo proprio alla tradizione: rifiutavamo ruoli definiti, ma questo era già accaduto nelle grandi compagnie del passato. Poi io non volevo fare l’attore. Il rapporto diretto con il pubblico mi terrorizzava. Alla fine Federico Tiezzi mi convinse: nel 1982 mi fece debuttare nello spettacolo ispirato a Sulla Strada [...]» (Nenni Delbecchi, “Panorama” 11/2/1999) • «Gli anni felici di Sandro Lombardi sono quelli della scoperta del bisogno ”di un teatro che parta dal cuore”. Sono gli svelamenti del Living Theatre e di Grotowski, di Bob Wilson e dell’“anti-retorica” di Pina Bausch. Sono gli squarci regalati da Mozart e da Verdi anche quando il fanatismo avanguardista imponeva ai giovani teatranti di affondare la tradizione. Sono gli incontri con Carmelo Bene, Carlo Cecchi, Leo e Perla; e con poeti, pittori, musicisti: artisti nomadi e ludici, trasgressivi e snob. Ma sono anche i giorni dell’infanzia in Casentino, della visione de Le notti di Cabiria, dell’amicizia con Tondelli e dell’ammirazione per Mina, che in sintonia con le ricerche più avanzate “liberava la voce da intonazioni prevedibili proiettando la parola nella musica e viceversa”. Attore di culto del “nuovo” teatro di fine millennio e presenza scenica sempre originale (nei toni intensi eppure smorzati, nell’umorismo senza sorrisi, nell’infinita e misteriosa leggerezza) [...] “Capire di essere un attore, a trent’anni: avevo cominciato a lavorare in scena giovanissimo, ma la profonda consapevolezza fu tardiva. Approdi rivelatori furono Genet a Tangeri e Come è di Beckett. Poi la trilogia dantesca, con la sua lingua capace di incarnare le cose, e non solo delegata a definirle [...]» (Leonetta Bentivoglio, “la Repubblica” 8/11/2004).