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 2004  luglio 27 Martedì calendario

La tenuta di Jasnaja Poliana, dove Lev Tolstoj trascorse una cinquantina d’anni della sua vita e dove nacquero opere quali Guerra e pace o Anna Karenina, è 400 chilometri a Sud di Mosca

La tenuta di Jasnaja Poliana, dove Lev Tolstoj trascorse una cinquantina d’anni della sua vita e dove nacquero opere quali Guerra e pace o Anna Karenina, è 400 chilometri a Sud di Mosca. Si raggiunge con la strada che porta in Crimea, un tempo battuta dagli eserciti e dagli ambasciatori. La trovate dopo la città di Tula, famosa per i samovar e per le fabbriche di armi. Jasnaja Poliana nell’antico russo significa «chiaro prato». Chiaro nel senso di giusto: qui, nei tempi antichi, si veniva a cercare la giustizia, a praticare ordalie. Un’etimologia che fu dimenticata ad arte e che per troppo tempo è stata spiegata con le limpide acque che corrono verso il fiume Oka. Ma il valore originario di questo spazio non sfuggì al giovane Tolstoj, né il visitatore odierno può rimanere indifferente alla singolare luce che lo investe tra i viali di betulle, il meleto, il laghetto, le querce. L’ingresso è semplice, austero: due torrette bianche uguali a come appaiono nelle fotografie del 1910, quando arrivò il feretro dello scrittore; identiche a quelle di un dagherrotipo scattato in chissà quale anno dell’800 da Sonja, la moglie di Tolstoj. Nella tenuta ci attendeva Vladimir Ilic, discendente diretto dello scrittore, ultimo capofamiglia dei Tolstoj, casato ben più antico di quello dei Romanov. Quarantun anni, biondo, quattro figli e una moglie che lavora - secondo le indicazioni pedagogiche di nonno Lev - nell’asilo nido del luogo. Ci presentiamo con la lettera-salvacondotto che lui stesso ha spedito per noi all’ambasciatore italiano a Mosca, Facco Bonetti. Ci mostra subito troppe cose perché si possa tentarne un racconto dettagliato, ma quando lo sguardo cade sulla casa dello scrittore il resto svanisce. tale dal 1862 e ogni cosa dell’arredo è stata sistemata com’era alla fine di ottobre del 1910, quando Tolstoj fuggì da Jasnaja Poliana e poco dopo morì. La prima confidenza di Vladimir Ilic è proprio per questa dimora. Diventò subito un museo: «Dopo la morte di nonno Lev, furono aperte due stanze al pubblico. Era famoso in tutto il mondo e da ogni angolo della terra cominciarono ad affluire discepoli e visitatori». La nostra replica sarà stata scontata, ma non riuscivamo a dimenticare il 1917, l’anno della Rivoluzione. «Niente cambiò - prosegue Vladimir Ilic Tolstoj - sino al 1919, la famiglia era sempre qui. Poi, nel 1921, la tenuta è stata nazionalizzata con un decreto firmato da Kalinin: così si pensò di mantenerla intatta». Non cerchiamo nemmeno di obiettare che forse il decreto lo firmò Lenin, perché un simile particolare si perde nel fascinoso racconto: «Commissario fu nominata la figlia Aleksandra e sino al 1929 tutto procedette all’insegna di un grande lavoro: furono costruiti l’ospedale, le scuole, l’asilo-nido, si fecero innovazioni per l’agricoltura». Certo, Aleksandra aveva il suo caratterino e prima di quell’incarico fu anche arrestata dai bolscevichi. «Mentre era commissario - continua Vladimir Ilic - fu più volte attaccata dai giornali. Nel ’29 decise di andarsene: con la scusa di alcune conferenze in Giappone partì per non ritornare. Riparò poco dopo negli Stati Uniti, dove creò la Fondazione Tolstoj, per aiutare e soccorrere chi fuggiva per motivi politici». Le parole del nipote ci riportano, chissà perché, nel viale d’ingresso, oltre le torrette, tra querce e betulle. stato cementato con qualcosa che ha lasciato l’aspetto alla terra battuta ma le ha tolto il suono cavo provocato dai passi. Particolare insignificante se non fosse che questa strada la percorsero uomini come Cechov e Cajkovskij, per limitarci a due dei mille visitatori di Tolstoj. Un piccolo cippo lungo il sentiero che conduce alla casa merita una sosta: è l’unica pietra rimasta del palazzo, che lì sorgeva, dove nacque lo scrittore. Lui stesso lo vendette nel 1854 per onorare debiti di gioco e l’acquirente, tale Gorochov, lo fece smontare e ricostruire nella propria tenuta a Dolgoe. Varcando l’ingresso della dimora si è impressionati dalla semplicità delle stanze e dei mobili, ma anche dalla loro importanza. Gli oggetti raccolti e numerosi spazi sono descritti nei libri di Tolstoj; anzi si direbbe che ogni cosa abbia una storia da raccontare: un pendolo che funziona da tre secoli, i pesi per la ginnastica, la scacchiera, il bastone da passeggio che si trasformava in sgabello, i secchi con cui portava da solo l’acqua in camera, il «toglistivali». E poi i libri, ovunque, dall’ingresso agli angoli più perduti: sono 22 mila in 39 lingue. Sbirciamo avidamente i titoli e ci vuole poco per accorgersi che i filosofi della sua vita sono stati Rousseau e Schopenhauer. Tutto è essenziale, austero, ogni dettaglio pensato. Nella sala grande, dove Tolstoj cenava con gli ospiti, i ritratti di famiglia sembrano curare la tavola su cui ora non si servono più vivande. Dieci sedie la attorniano, il samovar è accanto a quella della moglie; a sinistra il tavolo tondo per le conversazioni del dopo cena; dall’altro lato due pianoforti a mezza coda. rimasta l’eco di cinquant’anni di conversazioni conviviali; forse qui abbracciò Cajkovskij alla fine dell’esecuzione di un quartetto. E qui mosse i primi passi Wanda Landowska. Una foto scattata dalla moglie la ritrae alla tastiera, accanto a Tolstoj, nel dicembre 1907. Già, la Landowska. Ha fatto digrignare i denti ai critici, ma restituì alle anime rare il Clavicembalo ben temperato di Bach. Dovette farne di strada prima di entrare in un’opera così complessa: da questo angolo accanto al grande vecchio sino a un castello francese, dove impazziva su decine di tastiere, ormai isterica, lanciando oggetti contro la servitù negli spazi immensi delle sale: tutto, supponiamo, per ricreare almeno per un secondo il canto magnetico di Jasnaja Poliana. «Ci scusi Vladimir Ilic, ma tutti questi oggetti come sono sfuggiti alla storia?». Sorride, riprende il filo del racconto: «Dopo che Aleksandra se ne andò, dal ’29 al ’40, furono estranei a reggere la tenuta. Erano continuamente cambiati dal partito. Il periodo più aberrante, però, è stato dal ’57 al ’94 (in quell’anno subentra appunto lui, ndr). Pensi che il mio predecessore era un "commissario del comitato regionale del partito comunista di Tula per le questioni ideologiche". Per fortuna nulla si perse». inevitabile una domanda: «Durante la guerra?». Risponde: «Dal ’40 al ’57 ci fu la nipote di Tolstoj, Sofia Aleksandra, che fu anche l’ultima moglie del poeta Esenin. Fece un gran bene. Con l’arrivo dei tedeschi, riuscì a ottenere due vagoni ferroviari, dove furono stipati la biblioteca e i cimeli; il tutto fu portato a Tomsk». una città della Siberia occidentale e, mentre il nipote parla, ci sovviene che qui finì esiliata per un breve periodo, durante gli anni dello zar Paolo, figlio di Caterina II, anche la biblioteca di Voltaire. Vladimir Ilic continua: «I tedeschi abitarono in questa casa dal dicembre 1941, per una quarantina di giorni, nell’attesa della conquista di Mosca. Impacchettarono le poche cose rimaste per spedirle in Germania, ma non fecero in tempo. Sofia Aleksandra rimise poi tutto al suo posto e recuperò le reliquie rifugiate a Tomsk». Ogni metro che si percorre oltre la sala grande corrisponde a pagine di letteratura. Accanto, nello studio della moglie, ecco il tavolino su cui è stata riscritta Anna Karenina; si prosegue e in quello di Tolstoj c’è il tavolo dove ha vergato le ultime pagine e il divano di cuoio verde su cui è nata quasi tutta la famiglia (descritto in Guerra e pace, ancora in Karenina). Ecco il fonografo che Edison gli spedì nel 1908 e ha permesso di tramandare più di 70 incisioni della sua voce. La camera da letto, più avanti, è monacale: né fronzoli, né decorazioni, solo il ritratto della figlia Masa uccisa dalla polmonite nel 1906. Nella stanza attigua c’è la macchina per scrivere Remington, che egli non utilizzò. Al piano inferiore, lo studiolo: salumeria prima dei lavori ordinati da Tolstoj, con gli anelli per appendere i salumi ancora fissi alle volte: qui scrisse Guerra e pace, da qui partì per l’ultima fuga. Si passa poi nella stanza dove ora è custodita la «biblioteca di sotto»: qui fu esposta la salma di Lev. Il luogo è descritto sin nei minimi dettagli in Anna Karenina, opera che nacque tra queste mura. Tra gli scaffali incontriamo il professor Viktor Gajduk, che sta facendo ricerche sulle opere liriche italiane ispirate proprio alla Karenina. Vecchio amico di Montanelli, ci parla delle sue scoperte. I nomi dei maestri Sassano, Granelli, Robbiano gli sono familiari, poi passa ad Alfano che mise in scena Resurrezione. Conversatore delizioso, gli proponiamo di recarci insieme alla tomba di Tolstoj, in mezzo al bosco. Il nipote Vladimir Ilic si accomiata dicendo che oggi, martedì 27, sarà firmato un protocollo per riconvertire una fabbrica di concimi chimici, ora privatizzata, sita a tre chilometri dalla tenuta. «Sono cinquant’anni che lottiamo - ricorda - e ora grazie all’Unesco, alla Banca mondiale e alle autorità riesco a far cambiare il ciclo produttivo». Lo capiamo. Il sentiero che porta alla tomba evoca il mistero di Jasnaja Poliana. Tolstoj dà l’estrema lezione: la sua ultima casa è semplicissima, con il cumulo di terra e la sola erba, senza croce, senza nome, sull’orlo di un piccolo burrone. Scelse lui il luogo. Lì, ancora fanciullo, cercò il bastoncino verde che sa rendere felici gli uomini, convinto che fosse occultato proprio in quel lieve precipizio. un oggetto magico che imparò dalle tradizioni dei Fratelli Moravi. Non trovarlo si trasforma in pegno per inseguirlo sempre. Nella Confessione ha scritto che credere in Dio vuol dire cercare, anzi non fermarsi mai nella ricerca. Chi sostiene di aver trovato, mente. Il bastoncino verde è il paradigma dell’anima russa, o forse dell’armonia che qui avvolge ogni cosa. Senz’altro delle idee di Tolstoj.