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 2004  luglio 27 Martedì calendario

Einaudi Roberto

• Dogliani (Cuneo) 12 agosto 1906, 26 luglio 2004. Figlio di Luigi • «Lo chiamavano l’Ingegnere. Il primogenito, Mario, era l’Americano, avendo insegnato per tanti anni negli Stati Uniti. L’ultimo nato era Giulio, il Principe, il più irrequieto dei figli di Luigi. Chi va a consultare le bibliografie sulla famiglia, troverà citati, oltre al Presidente, l’economista Mario e, ovviamente, l’editore dello Struzzo, mai o quasi mai compare il nome di Roberto. (Ben presente invece, con accenti affettuosi, nel Diario dell’esilio paterno). Giulio ne parla un paio di volte, nelle sue memorie. Ricorda che alla vigilia del referendum del marzo 1929, Roberto fu arrestato perché sorpreso dalla polizia a incollare piccoli francobolli con il No sui manifesti che invitavano a votare Sì, ma fu liberato dopo una quindicina di giorni poiché non era legato a movimenti clandestini. Non parla, Giulio, del sostegno che per tutta la vita suo fratello Roberto diede alla casa editrice, spesso salvandola dal tracollo. Probabilmente non per mancanza di riconoscenza, ma perché sapeva che Roberto amava starsene nell’ombra. Fu tra i fondatori, nel ’45, della Techint, il colosso milanese (ma in breve multinazionale) della siderurgia: tra i pochissimi consiglieri fedeli della famiglia Rocca, che seguì nell’epopea argentina di Agostino. Dunque, poteva permetterselo, di dare una mano a suo fratello. Il suo nome compare nei consigli di amministrazione della Siderca e della Tamsa (i poli dell’acciaio argentino e messicano) e dal ’96, ormai novantenne, della Dalmine. Poteva permetterselo, di aiutare suo fratello. Ma fino a un certo punto. Intervenne a sostegno dello Struzzo dagli anni Cinquanta fino alla crisi terribile dell’83. Eppure, in un filmato i due fratelli, ormai anziani, furono colti mentre battibeccavano scherzosamente sul destino della casa editrice che, secondo Giulio, uno sforzo supplementare di Roberto avrebbe potuto salvare dal fallimento. In quell’incontro a Dogliani (mandato in onda dalla Rai dopo la morte dell’editore), i due sembravano, ha scritto Aldo Grasso, Jack Lemmon e Walter Matthau ne La strana coppia. Roberto ricordava con ironia che quando suo fratello lo chiamava al telefono, spesso era per motivi economici: "Ah, sei tu?", gli diceva Giulio. "Come, sono io, ma se mi hai chiamato tu...". Postillava parlando, a distanza d’anni, con il pronipote Malcolm: "Ci ho pensato tante volte: Giulio non voleva ammettere di aver bisogno di me e fingeva che la telefonata fosse casuale". Strano tipo, il Principe, si sa. Molto diverso da Roberto, che come suo padre, negli ultimi tempi in cui poteva ancora reggersi in piedi [...] batteva forte il bastone per terra quando si voleva mostrare irritato. Non solo in questo somigliava a suo padre, ma nel liberalismo severo che si sposava con il forte senso etico e di responsabilità (ciò che gli faceva considerare non liberale il "ghe pensi mi" berlusconiano). Il che invece, almeno in apparenza, lo distingueva dal "comunista" Giulio. Dopo gli studi allo storico Liceo d’Azeglio di Torino con Augusto Monti e Umberto Bosco, e dopo il Politecnico, papà Luigi volle che facesse un tirocinio nella Comit del suo amico-rivale Raffaele Mattioli. Dopo qualche anno, Roberto Einaudi sarebbe stato tra i fondatori dell’Iri, prima di lanciarsi nella siderurgia (dove cominciò dalla Dalmine). Dei tre fratelli, dice chi l’ha conosciuto bene, il secondogenito era quello che più teneva i piedi per terra. La terra era un suo elemento. Nonostante i molti viaggi transoceanici che gli impose il lavoro, tornava con regolarità nella casa paterna di Dogliani, a passeggiare nei venti ettari di bosco e Dolcetto. Alla memoria del padre consacrò molte delle sue preoccupazioni, creando la Fondazione e custodendone l’immensa biblioteca. E al patrimonio di famiglia era talmente fedele che quando lo "scapestrato" Giulio se ne vide confiscare buona parte, fu lui a riacquistarlo. Ma a suo fratello non rimproverò mai nulla. Aveva una vera e propria venerazione per lui. Da non intellettuale e da spirito pratico, ammirava tutto ciò che aveva rappresentato lo Struzzo (anche se, da liberale conservatore, non ne condivideva le scelte politiche). Sapeva che Giulio era comunque riuscito a incidere per sempre nella cultura italiana il nome degli Einaudi. E questo gli bastava» (Paolo Di Stefano, "Corriere della Sera" 27/7/2004).