Varie, 26 luglio 2004
Tags : Jean-Michel Folon
Biografia di Jena-Michel Folon
FOLON Jean-Michel Uccle (Belgio) 1 marzo 1934, Montecarlo 20 ottobre 2005. Pittore • «Un tempo, all’alba degli Anni 70, i suoi omini, cappelluccio in testa, cappottino striminzito alla Magritte, volavano sopra intrichi di grattacieli, tracciati all’acquarello, recavano in mano una rosa, fiore prezioso per salvare l’uomo da quei grappoli di edifici soffocanti. Jean-Michel Folon, detto Michelangelo dagli amici per l’intenso amore per l’Italia e i suoi artisti [...] è uno dei più celebri grafici del mondo. Ma è anche un artista. Acquarelli e dipinti, dove la luce intensa del Mar Mediterraneo (trascorre molto tempo nello studio di Montecarlo) è catturata per accompagnare una nave che parte verso l’avventura o chissà dove, o un ”oggetto-trovato” che sa di barca e viaggio [...]. Gli uomini, sono presto divenuti sculture, la sua passione ora più intensa, prima in legno, poi bronzo, marmo, pietra, ora simili a totem, ora a personaggi veri con una valigia al posto della testa, mentre la mano in bronzo afferra l’uccellino, un gatto si raggomitola sornione, o i Pensieri Volano chissà dove. [...] ”[...] mi pare impossibile che le sculture siano mie, è come se le riconoscessi solo ora. [...] Quando si creano dentro un atelier, si sentono brusii, rumori, ma non si ha l’esatta percezione di come siano veramente. [...]” [...] Alcune sculture raggiungono fin i 5 metri d’altezza. [...] ”[...] dal Belgio scendevo in autostop a scoprire l’Italia e le sue opere d’arte. Quando vidi la mostra di Henry Moore al Forte Belvedere, la mia vita cambiò, era stupenda”. [...]» (Fiorella Minervino, ”La Stampa” 11/5/2005). «Gioco. Per Folon la vita è un gioco. Le regole? Se le inventa da solo. Un giorno Fellini gli disse che la vita dell’artista non è altro che un continuo passatempo di fanciulli. Proprio così. [...] Anche lui, un po’ come Klee e Miró, è un grande bambino. Che non solo crede alle fiabe, ma le vive anche. La prima fiaba si amalgama con la sua biografia, là dove si dice che egli, nel 1955, a 21 anni, "sulla strada per Parigi si imbatte in una casetta da giardiniere a Bougival, nei dintorni della capitale, e vi si ferma per cinque anni, disegnando tutti i giorni". [...] uomini goffi e smarriti che si guardano attorno in cerca di qualcosa o di qualcuno. [...] l’uomo con testa di pesce, l’uomo-libro che con le mani si apre il soprabito per mostrare le pagine a mo’ di fisarmonica, il centauro col cappello, la valigia che trasporta un battello o un paio di uccelli (uno dei temi fissi del suo lavoro: "Mi piacerebbe essere un uccello. Volare sarebbe anche più pratico, invece di muovermi in aereo, treno, auto, bus o metro") . E, poi, ancora, la serie dei totem che hanno la testa a forma di passero, libro aperto, fiamma, sole, cucchiaio, forchetta, di chitarra, vaso da fiori e così via. La fantasia di questo architetto mancato non ha limiti. Pur guardando alla tradizione visionaria belga (Ensor, Magritte, Delvaux, tanto per fare qualche nome) e agli ultimi surrealisti, Folon inventa un linguaggio che fa meditare, riflettere, pensare. Ecco perché egli si muove sui binari della metafora. Ed ecco perché ricorre all’ironia, all’umorismo ("L’ umorismo si rifiuta di parlare tragicamente di cose tragiche. Per questo capisco i bambini. Essi fanno ridere. Ed io anche"), al gioco. Il gioco equivale alla fanciullezza, al tempo dell’innocenza. Ma chi è, veramente, Folon? [...] "Due occhi in libertà che, come due farfalle, si posano su paesaggi e persone. Io parlo con gli occhi e per gli occhi della gente, prima di parlare alla loro testa. Sono un visual perché oggi viviamo in un secolo in cui tutto è visual". Folon disegnatore, Folon cartellonista, Folon scultore. A Folon piace cambiare ("Lo faccio ogni volta che posso. Voglio sorprendere me stesso: ch’è poi la cosa più importante d’un artista") . Così, l’altra faccia di Folon prende corpo dopo i cinquant’anni, verso il 1988, quando, un giorno, invece di continuare a fare disegni e acquerelli, decide anche di realizzare piccoli oggetti. Prima in legno. Quindi in gesso, in creta e dopo un decennio, anche in bronzo. Nel ’93, invece, per un certo periodo, si dedica soprattutto alla scultura» (Sebastiano Grasso, "Corriere della Sera" 26/7/2004).