Varie, 22 luglio 2004
RICCARELLI Ugo
RICCARELLI Ugo Ciriè (Torino) 3 dicembre 1954. Scrittore. Premio Strega 2004 con Il dolore perfetto • «Ha un carattere aperto ma non da protagonista [...] svolge un lavoro molto “normale” ( fa parte dello staff del sindaco di Roma, Walter Veltroni, si occupa della documentazione per il suo lavoro quotidiano e della stesura di alcuni suoi discorsi) e ha [...] alle spalle un discreto curriculum letterario. Nel 1995 ha esordito con Le scarpe appese al cuore, nel 1998 ha firmato Un uomo che forse si chiamava Schulz (finalista al premio Campiello di quell’anno, per alcuni critici la sua migliore prova), nel 2001 è stata la volta de L’Angelo di Coppi. [...] “c’è bisogno di leggere certe storie collettive e quindi di raccontarle. Per molto tempo la letteratura italiana è rimasta un fatto circoscritto al privato, si è detto che gli scrittori amassero guardare con insistenza il proprio ombelico. Ora c’è voglia di alzare lo sguardo, ampliarlo, per tentare di capire l’attualità che ci circonda. Uno sforzo che implica necessariamente un’analisi del passato [...] siamo convinti di vivere su un palcoscenico rutilante pieno di suoni, colori, auto velocissime e telefonini. Ma non è così. La vita è faccenda molto complicata, difficile”» (Paolo Conti, "Corriere della Sera" 3/7/2004) • «A casa, da ragazzo, nelle sere d’estate leggeva L’isola del tesoro e nel vano della finestra spalancata davanti ai suoi occhi vedeva imponenti le Alpi Graie. Successivamente, al posto di lavoro, il bibliotecario comunale di Ciriè, a un tiro di schioppo da Torino, si abbandonava all’onda di altri autori preferiti, come Hemingway, Steinbeck, Roth, Singer, Kafka, Musil. Oggi Ugo Riccarelli, ex bibliotecario del paese ed ex impiegato ai telefoni, è diventato proprio lui il narratore che anima e riempie i sogni della stagione più calda. [....] genitori, trapiantati dalla Toscana nel cuore del Piemonte. [...] aveva voglia di abbandonare Ciriè emigrando verso altri lidi. La prima occasione di confronto fu l’approdo all’Università di Torino. A metà degli anni Settanta, si inoltra nel capoluogo piemontese alla ricerca di un tesoro, proprio come Jim Hawkins di Stevenson. Vorrebbe diventare scrittore ma non si sente maturo per la pubblicazione. La sua Torino, nonostante sia stata sempre a portata di mano, è quella che si guarda con occhi da turista per caso (“una città magica”), di chi è arrivato in un territorio che rimarrà comunque sempre un po’ sconosciuto: “Torino è per me ancora oggi una città tutta da scoprire, Roma dove ormai vivo da anni è invece più aperta e solare”. [...] Piemontese d’adozione, a scuola è l’unico che non parla nessun dialetto né meridionale né della città dove suo padre ha aperto una rivendita di liquori. Ciriè, per chi arriva da fuori, è terra di frontiera e di benessere portato dalla crescita delle varie fabbriche che forniscono l’indotto Fiat. Ma l’agglomerato industriale è anche luogo di disagio e di dolore. Negli anni 20 vi si è installata l’Ipca, Industria piemontese colori anilina, che per l’alta tossicità dei suoi prodotti è destinata a diventare un caso mondiale e verrà chiusa negli anni Ottanta: “‘Pissia brut’”, ricorda Riccarelli, “così sussurravano gli operai appena un compagno di lavoro si ammalava. Quando questo accadeva il sintomo era inequivocabile, cancro alla vescica. Il caso Ipca è scoppiato e io frequentavo l’ultimo anno di liceo scientifico. Mi ricordo che nel processo contro la fabbrica il sindacato si era costituito parte civile. Noi studenti ci mobilitavamo in continue manifestazioni di protesta. Avevamo anche fondato un gruppo teatrale per sostenere la causa degli operai in lotta. Mettemmo in scena un lavoro che significativamente si intitolava: Soffrite in silenzio”. Nonostante provenisse da una situazione sociale di mare in tempesta, l’impatto con il capoluogo sabaudo era pur sempre traumatico in un’epoca di rivolte studentesche. A catturare Riccarelli ci sono le lezioni di Gianni Vattimo, professore di Estetica. E ci sono le turbolenze del movimento degli studenti che si scontrano con il docente poiché intendono superare l’esame discettando solo di marxismo e affini. “‘In questo modo non saprete nulla di estetica’, sentenziò Vattimo breve ed essenziale. E ci mise a tacere. Mi sembrò di cogliere il nocciolo di un insegnamento che non ho più dimenticato: quello di essere concreti ed evitare le deformazioni ideologiche”. È una Torino double face quella che accoglie il ventenne Ugo. “Era la capitale della cultura. All’università a catturarmi, oltre a Vattimo, furono professori di prestigio come lo storico Nicola Tranfaglia e Silvio D’Arco Avalle che favorì l’incontro con la semiotica. E poi Torino voleva dire la scoperta del cinema e del teatro. De Sica, Visconti, Rossellini: eri travolto. Si entrava al cineclub nel primo pomeriggio e si usciva a sera tardi. Con il gruppo di amici che veniva da Ciriè anche noi fondammo il nostro cineclub. E fu un successo”. Scrittore anomalo, Riccarelli aspetta i quarant’anni per esordire con Le scarpe appese al cuore (Feltrinelli). Lo farà solo perché spinto dall’urgenza di raccontare la sua rinascita, la nuova vita dopo un’operazione ai polmoni e al cuore che lo strappa alla morte. A questo libro seguiranno Un uomo che forse si chiamava Schulz (Piemme), L’angelo di Coppi (Mondadori). Tutte storie unite dal filo della solitudine e dell’estraneità. Che sono le sensazioni che Riccarelli ricava da quella doppia faccia di Torino, città dei cinema, delle università, dei teatri e dei concerti ma anche metropoli operaia. “Dopo aver abbandonato il posto di bibliotecario ero entrato come impiegato all’ufficio di collocamento. Mi trovavo a gestire sia a Cirié che a Torino incontrollabili assemblee. Al Palasport ci potevano stare anche quattro-cinquemila persone. C’era drammatico il problema dei cassintegrati. Che comunque in quegli anni erano pieni di risorse. Vedevo giovani operai che si trasformano in artigiani, in piccoli commercianti. Ma mi trovavo a fronteggiare anche la disperazione di chi non aveva nessuna alternativa”. Un mondo anomalo, strano, fervido di inquietudini. Da qui nascerà Stramonio (Piemme editore). Sarà il libro di svolta e di radicale cambiamento del neo narratore. Il titolo corrisponde al nome di una piantina che cresce vicino ai ruderi e ai rifiuti. Stramonio è anche il soprannome di un ragazzo di 18 anni che trova il primo impiego come spazzino in una città convulsa e caotica ma esuberante e piena di vitalità. La fonte d’ispirazione è Torino con i megaraduni operai, la vita di fabbrica, le occupazioni. La metropoli esercita sullo scrittore come una forte pressione, lo costringe ad uscire dall’autobiografia e a scrivere un libro tutto d’invenzione. Fino a un certo punto, però» (Mirella Serri, “La Stampa” 20/8/2004).