Macchina del Tempo, luglio 2004 (n.7), 21 luglio 2004
Non c’è numero della vostra rivista che non mi accompagni da quando è nata. Grazie per la capacità che avete di stimolare la mia curiosità
Non c’è numero della vostra rivista che non mi accompagni da quando è nata. Grazie per la capacità che avete di stimolare la mia curiosità. A proposito vorrei avere delle informazioni sulla ”maledizione di re Tut”. Filiberto Costavecchia (via e-mail) Abbiamo girato la domanda del lettore a Christian Orsenigo, egittologo all’Università degli Studi di Milano: «Caro lettore, la ”maledizione di re Tut” non fu altro che un fenomeno mediatico d’altri tempi. La notizia della sensazionale scoperta della tomba di Tutankhamon (1922) da parte di Howard Carter, seguita da una serie di decessi - solo apparentemente - inspiegabili, trovò terreno fertile in un mondo ancora turbato dalle parole di Marie Corelli, una scrittrice di novelle molto popolare all’epoca, che raccontava l’esistenza di minacce per i profanatori di tombe e di ”sonni” regali. La morte improvvisa di Lord Carnarvon, il finanziatore della spedizione di Carter, innescò un processo a catena che infiammò l’immaginazione popolare. Si arrivò a raccontare che nel giorno dell’apertura della tomba, il canarino di Carter fu divorato da un cobra (simbolo della regalità) e che nel momento in cui Carnarvon morì all’ospedale, le luci del Cairo si spensero e contemporaneamente in Inghilterra moriva Susie, il suo cane preferito. Nel 1934, l’egittologo H.E. Winlock riesaminò la questione prendendo come base i decessi avvenuti nel decennio successivo all’apertura della tomba. Ecco i risultati: delle 26 persone presenti all’apertura della camera funeraria, solo 6 erano decedute; delle 22 che presenziarono all’apertura del sarcofago, ne erano morte solamente 2; e ancora più notevole: delle 10 che condivisero il momento in cui vennero tolte le bende alla mummia, nessuna aveva ceduto alla ”maledizione”».