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 2004  luglio 21 Mercoledì calendario

LUPORINI

LUPORINI Sandro Viareggio (Lucca) 12 luglio 1930. «Sulla porta di casa ha fatto scrivere "non contate su di me". stato meglio per tutti che invece Giorgio Gaber non l’abbia assecondato: dal loro incontro è nata una delle più lucide e innovative pagine dello spettacolo italiano del Novecento. I due inventori vollero chiamarla "teatro-canzone" e con quella loro creatura hanno attraversato con smagliante lucidità e coraggiosa autonomia un trentennio di vita italiana, lasciando una eredità preziosa. [...] "Eravamo vicini di casa a Milano, in zona Fiera, e frequentavamo lo stesso bar finché una sera ci hanno presentati. Era il 1959. Ed è con lui che ho scoperto un mondo dello spettacolo che fin lì nelle mie peregrinazioni fra basket (Luporini ha giocato in serie A prima nella Stella Azzurra a Roma e poi nell’Oransoda Cantù, ndr) e arte non frequentavo. Andavo invece spesso al Piccolo dove Strehler allestiva Brecht e persino Beckett, allora da noi una novità assoluta. Con Giorgio invece, che all’epoca era agli inizi, ho cominciato a girare per balere, dove lui cantava in inglese il suo rock. E fin dal primo momento rimasi folgorato dalla fisicità prodigiosa del suo stare in scena, dalla sua natura contagiosa di irresistibile animale da palco". [...] L’avventura comune inizia nel 1970... "Una specie di lungo rodaggio in cui abbiamo scoperto le molte affinità che ci legavano e iniziato a dare forma alle nostre idee. Seguivo Giorgio nei suoi spettacoli, in particolare al Derby di Milano, che era il luogo dove nasceva una nuova generazione dello spettacolo italiano, Jannacci, Fo, Ciotti, Cochi e Renato, Beppe Viola, i Gufi. Scrivevamo canzoni che abbiamo di rado presentato in pubblico allora, ma che ci sono tornate buone anni dopo, quando ci siamo inventati il teatro-canzone dopo che Gaber, allapice della popolarità, lasciò la tv della quale era ormai un divo". Scrivere da soli può esser difficile ma farlo in due può esserlo anche di più... "Più che a quattro mani ho sempre preferito dire che con Gaber si lavorava a due teste. La base di tutto erano interminabili conversazioni, uno scavo nell’attualità, dalla politica ai comportamenti, nel quale nessuno cercava la ragione ma una convergenza. Avevamo una nostra linea di pensiero politico, ma eravamo molto attenti anche ai segnali che coglievamo in giro, nelle parole e negli atteggiamenti delle persone qualsiasi, che elaboravamo per mesi prima di passare alla scrittura. Dove invece i ruoli erano chiari: io ho sempre avuto una forte propensione a scrivere, anche molto, Giorgio invece aveva una portentosa capacità di individuare l’ architettura del copione. E spesso tornavamo sullo stesso quando veniva ripreso, così è davvero difficile quanti ne abbiamo scritti fra il ’70 e il 2001. Fino all’80 ci vedevamo negli alberghi, poi quando ha preso casa qui vicino, a Montemagno, ci siamo trasferiti lì. Mai di mattina però, di solito ci si vedeva alle 16 e si andava avanti fino a sera, concedendosi magari qualche partitella a calcio-tennis in giardino con gli amici di passaggio. Eravamo perfettamente complementari anche nel mio stare sempre e volentieri dietro le quinte e nel suo magnetico proporsi, nell’esuberanza del suo essere attore e cantante, un cantante dalle qualità formidabili, cosa di rado sottolineata come dovrebbe [...] Se una gag non faceva ridere o una trovata drammatica non funzionava, davamo almeno in parte la colpa a noi. Le cose sono cambiate dopo Libertà obbligatoria, forse il nostro lavoro più completo, quello che meglio accoglieva il nostro pensiero sulla massificazione. Facemmo Polli d’allevamento e il movimento del post ’68, che per un decennio è stato il nostro pubblico, ci si rivoltò contro: in quel tour a Gaber tirarono dietro di tutto. La nostra adesione poggiava sull’antiautoritarismo e sul tentativo di cambiare la vita che avevano animato il movimento fin lì: l’eccesso di politicizzazione, e penso a Capanna o Lotta Continua che volevano farsi partito, e le mode di quella che battezzammo la "sinistra fumante" con i suoi orientalismi, non erano cose per noi, il nostro allontanamento fu inevitabile anche se col dispiacere dello slancio perduto. Negli ultimi anni il nostro pubblico è divenuto molto variegato, inclusi ventenni che nulla sapevano di noi"» (Paolo Russo, "la Repubblica" 4/7/2004).