varie, 20 luglio 2004
CALDEROLI Roberto
CALDEROLI Roberto Bergamo 18 aprile 1956. Politico. Eletto alla Camera nel 1992, 1994, 1996, al Senato nel 2001, 2006, 2008 (Lega Nord). Ministro delle Riforme nel Berlusconi II e III (2004-2006), della Semplificazione legislativa nel Berlusconi IV (2008-2011). Laureato in medicina e specializzato in chirurgia maxillo-facciale, la sua carriera politica comincia come consigliere comunale a Bergamo. Nel 1993 è eletto presidente della Lega Nord-Lombardia e nel 1995 ne diventa il segretario. Nel 2001 diventa coordinatore delle segreterie della Lega Nord e nel 2002 cura l’organizzazione del congresso di Assago. Dopo essere stato vicepresidente del Senato e aver fatto parte della Commissione Difesa e della Commissione Telekom Serbia, il 20 luglio 2004 diventa ministro delle Riforme in sostituzione di Umberto Bossi, colpito da ictus. Dimissioni il 18 febbraio 2006 dopo che l’aver indossato una t-shirt con impresse alcune vignette irriguardose nei confronti dell’Islam avevano causato in Libia una rivolta (con morti e feriti). «[...] Il tipico personaggio del gradasso, un ministro borioso, ma anche un po’ millantatore, comunque adeguato ai tempi [...] già nel novembre 2003 Calderoli si era distinto al Senato per la più annunciata ed eccessiva ostensione del crocifisso sul bavero della giacca: “Per ricordare a tutti che il popolo non si fa certo intimidire” eccetera. Mentre ancora nel febbraio del 2005, a Verona, aveva parlato in un comizio con una toga da magistrato indosso: “Se non ti metti questa - aveva spiegato in palese polemica con la classe giudiziaria - nessuno ti ascolta”. [...] Per un paio d’anni Calderoli ha cercato perciò di salvarsi a furia di spacconate, nel senso più autentico e sfolgorante della parola: “Vedete, io tratto in amicizia e con il sorriso [...] poi però al mio interlocutore dico: ‘Se non fai così ti spacco un braccio’”. [...] Su una smisurata attitudine al riso fanno giustizia, come si sa, antichi e severi proverbi. Ebbene: non c’è foto, quasi, non c’è intervista o sequenza televisiva, non c’è vignetta satirica, addirittura, in cui l’ex ministro non rida. E quando non ride o sorride, le rare volte in cui non riesce a nascondere una qualche remota forma di serietà, Calderoli esprime un incontenibile appagamento di se stesso. Con il che si potrebbe anche considerare l’uomo politico padano come un kamikaze e un martire della videopolitica, vittima sacrificale del primo piano. Ma adesso il guaio è che le vittime sono altre, sono tante e soprattutto sono vere. [...] dentista specializzato in chirurgia maxillo-facciale, unito in rito celtico con la regista e opinionista di Markette Sabina Negri, socio onorario dell’anti-romano “Nerone fan’s club”, nonché allevatore di belve circensi (aveva una tigre in giardino, ora due lupi, uno dei quali però recentemente gli ha addentato una coscia). Promosso “saggio” in prossimità del seminario nella baita di Lorenzago, Calderoli deve il suo ruolo politico e la sua sciaguratissima audience alla grave malattia di Bossi, che ha aperto un vuoto di leadership nella Lega, e all’insipienza istituzionale di Berlusconi, che se l’è preso nel governo senza minimamente rendersi conto del potenziale devastante che si chiamava addosso. Fino a quel momento, in effetti, oltre che per le nozze celtiche con tanto di bracciali, idromele e costumi da sartoria teatrale, il personaggio si era conquistato una circoscritta notorietà per aver bruciacchiato un tricolore, insultato i “terroni” in un indimenticabile congresso, proposto la nascita di una chiesa padana, invocato la castrazione a sangue per i pedofili e contestato una statua, a suo giudizio insindacabilmente “anatomica” e falliforme, che il presidente del Senato Pera aveva voluto innalzare a tutti i costi nel salone Garibaldi di Palazzo Madama. Era già un curriculum di tutto rispetto. Ma nell’era della fiction, una volta ministro, Calderoli ha cercato di incrementarlo con la più incredibile progettualità identitaria e folklorizzante. Il tocco magico, vero e proprio scarto della norma, sono state le scarpe portate senza calzini. Ma sarebbe qui ingiusto dimenticare l’esame d’italiano per gli extracomunitari, il trasferimento del Senato a Milano, l’istituzione della taglia e della pena di morte, la scomunica per i credenti che appoggiano i pcs, l’uscita dall’euro e la relativa entrata in vigore di una nuova moneta, il “calderolo”. Per non dire della nuova Costituzione. Siccome però poi il potere è davvero una brutta bestia, e non solo perché morde i vanitosi, ma gli allegroni li acceca pure, il ministro ha cominciato pericolosamente ad avvicinarsi alla politica estera. Questione delicata, quella dell’Islam. Ecco, Calderoli ha subito messo le carte in tavola: “Sarebbe troppo gratificante definirla una civiltà”. Quindi ha chiesto la chiusura di un paio di moschee; dopo la strage di Londra ha preteso di dichiarare lo stato di guerra, prima di chiamare Papa Ratzinger alla crociata, come San Pio V a Lepanto. Nel frattempo Berlusconi guardava dall’altra parte. E per una volta la proprietà e la ribalta televisiva, concessa in prestito agli alleati come Calderoli, si rivela la peggiore scelta possibile» (Filippo Ceccarelli, “la Repubblica” 19/2/2006). «[...] espelle tutte le cose che gli passano per la testa, a dispetto dei ruoli via via assunti fino allo spropositato incarico di ministro per le Riforme istituzionali, come fosse ancora all’osteria Ceresola, in valle Imagna, dove tra i fumi dell’alcool tenne la sua prima arringa padana superando (parole sue: è un letterato) “l’impeachment della timidezza”. [...] Che gli importa del resto del mondo se il suo solo orizzonte sono la Val Brembana, la polenta taragna, il prato di Pontida, il matrimonio celtico con calice di sidro, il Dio Taranis e le odi ai “Poveri padani oppressi” del sommo poeta Archimede Bontempi? Bergamasco, rampollo di una famiglia dove nonni e fratelli e cugini sono tutti dentisti al punto che sul tema c’è un detto insulso in italiano (se il tuo dente ha il vermicello, devi andar dai Calderoli), ma meraviglioso in bergamasco (“Se ol to dént al gh’à ’l careul, te gh’è de ’ndà dai Caldereul”), cresciuto sciando e sgommando nei rally, laureato in chirurgia maxillo-facciale, ci tiene a presentarsi da anni come il più fedele dei fedelissimi bossiani. Fino a dire: “Io ho un capo, si chiama Bossi, è l’unica guida che riconosco e se mi dice ‘buttati da questo ponte’ io mi butto. Sissignore, magarimi dispiace, ma mi butto. Se lui mi spiega che è utile alla Lega, io mi sacrifico”. Uso a obbedir sbraitando, ai tempi della scelta secessionista (da lui confermata fino a un attimo prima del contrordine: “Io mi onoro di essere secessionista!”) arrivò a espellere non solo il cognato Luigi Negri e sua moglie Elena, colpevoli di tradimento per avere scelto l’alleanza col Cavaliere e la destra con anni di anticipo sul Senatùr, ma perfino la loro cagnetta Gilda, il cui quotidiano ingresso a palazzo Marino al seguito della padrona, quando questa era consigliere, fu proibito su disposizione calderoliana dal sindaco Marco Formentini in persona. Infettato da qualche vanità letteraria dopo aver “letto quattro volte i Promessi Sposi”, è autore di un libro dal titolo Mutate mutanda (ispirato al latino “mutatis mutandis”) dall’incipit indimenticabile: “‘Muta Mutanda!’, cambia ciò ce deve essere cambiato! Ho coniugato poi, al plurale, questo mio personale imperativo per poterlo rivolgere a voi dalla copertina del libro, perché esso rappresenta la terapia al mio morbo personale, terapia che ho individuato dopo una faticosa autopsia di me stesso e la conseguente diagnosi. Questo lavoro è un sofferto dissezionamento della mia sfera cosciente e del mio iter emozionale e culturale”. Dotato di un’autoironia che sarebbe ingeneroso non riconoscergli, confidò un giorno: “Su di me non avrei scommesso una lira”. Chi lo conosce annuì: giusto, non una lira. Bossi, che si picca di essere uno scopritore di statisti (da Erminio “Obelix” Boso a Mario Borghezio) individuò invece in lui l’uomo giusto per farne prima il vicepresidente del Senato, poi uno dei “saggi” addetti a dare una sistemata allo Stato costruito da Cavour e infine il ministro per le Riforme istituzionali. Incarichi guadagnati seminando lungo tutta la carriera (destinata nelle ultime settimane a subire perfino l’onta di voci fastidiose in seguito alle presunte rivelazioni di Giampiero Fiorani) preziose pillole di britannica sobrietà. “Dove collocare i confini della Padania? Da medico so che se la cancrena avanza occorre amputare alto: mi fermerei a Pesaro”, spiega nei giorni in cui teorizza che la secessione è ormai cosa fatta: “Un anno e ci arriveremo”. “La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni”, discetta raccomandando all’Ulivo, reo di “una politica estremamente permissiva nei confronti dei musulmani e degli omosessuali”, di fondare “il partito dei finocchi anziché delle margherite”. “Si ricordino i vescovi che oltre a mantenere l’esercito di parassiti del meridione, i padani mantengono anche loro”, sentenzia auspicando “il realizzarsi di una Chiesa Cristiana finalmente libera e padana”, chiedendo gli elenchi di tutti gli insegnanti meridionali e di tutti i capistazione del Bergamasco e barrendo contro le assunzioni alle poste “ennesimo esempio di colonizzazione meridionale”. E via così. Per anni. Un giorno propone che tutti i consigli comunali lombardi varino una “taglia di un milione per chi denunci un albanese irregolare”. Un altro avverte che “un dì, di fronte al tribunale del popolo padano, siederanno molti personaggi che oggi sono ai vertici delle istituzioni con l’accusa di genocidio”. Un altro ancora incita a “sparare sugli scafisti, una volta che abbiano lasciato il carico”, ”usando cannoni o colubrine: ciò che importa è restituire l’Adriatico alla civiltà”. E barrisce che “la Padania saprà rispondere al manganello tricolore”. E ringhia che “l’Italia è stata ridotta a una riserva albanese”. E accusa gli avversari di sinistra di essere “nazisti rossi”.E propone la castrazione chimica dei pedofili anche se personalmente dice di essere “per un bel colpo di forbici”. E denuncia gli immigrati di “imbastardire la nostra identità”. E chiama sprezzante in tivù la giornalista palestinese Rula Jebreal “quella signora abbronzata”. E mai una volta che, espellendo questo o quel pensiero, si sia posto il problema non [...] del rispetto per gli altri (ieri “il mafioso Berlusconi” o oggi “l’Omoparlamento europeo”) ma dei danni che l’uso bombarolo di certe parole, in bocca a un ministro che sulla carta rappresenta tutti gli italiani, anche chi lo considera uno scriteriato, possono avere a livello interno e internazionale. Il fatto è che per anni, via via che si alzavano i decibel dello schiamazzo politico, pareva che gli stranieri non prendessero sul serio certi nostri capipopolo neanche quando dicevano cose mostruose come le parole di Bossi sulla “razza padana, razza pura, razza eletta”. E quelli come Roberto Calderoli pensavano di avere la franchigia quando sputavano ridendo cose oscene tipo “il mio maialino non vede l’ora di fare la pipì sulla moschea”. Che poi qualcuno cavalchi pretestuosamente e perfino in malafede certe cose, come è successo con le vignette su Maometto, è un altro discorso. Ma l’odonto-statista bergamasco pensa davvero che la nostra identità culturale e religiosa si difenda con battute come quella sul maialino? Ora lo sa: pare impossibile,ma c’è chi lo prende sul serio. Purtroppo» (Gian Antonio Stella, “Corriere della Sera” 19/2/2006). «A Bergamo si dice “Se il tuo dente g’a il caroel (il verme, la carie) devi andare da Caldaroel”. I Calderoli, quattro dentisti su otto fratelli e un nonno che fondò un movimento autonomista hanno tolto i denti a tutta la bergamasca. Lui, il Roberto finito in politica negli Anni Novanta prima come consigliere comunale a Bergamo poi eletto deputato nel ’94, si è specializzato in chirurgia maxillo-facciale. Dei dentisti ha conservato l’abbronzatura perenne, il viso gioviale a fronte delle battute cattive, un “physique du rol” imponente, che da vicepresidente del Senato gli ha permesso di essere il più rapido “ammazza-interrogazioni”, sempre spietato con le opposizioni nei tempi del dibattito [...] La fama di duro dal cuore tenero del resto Calderoli se lo è conquistato sul campo, fin dalla lunga campagna elettorale che [...] portò al successo la Casa delle libertà prima nelle Regionali e poi alle politiche. Non ha mai risparmiato nessuno. Definizione di Giuliano Amato, dicembre 2000: “Da Calimero a Pinocchio”. Problema immigrazione (agosto 2000): “Bisogna sparare sugli scafisti, usando cannoni o colubrine, poco importa”. Linea dura leghista (congresso di Varese del luglio ’99): “Mi onoro di essere un secessionista”. Su Albertini, sindaco di Milano (aprile 2001): “Pensi a fare l’amministratore di condominio, che alla politica pensiamo noi”. Alle Europee di quest’anno lo hanno mandato nel Sud a fare propaganda per il Carroccio, e mentre in Sicilia qualcuno ai comizi gli chiedeva: “Ma voi non ci chiamavate terroni?”, lui confessava ai cronisti: “È stata dura, come vendere frigoriferi al Polo”. Calderoli, è la sorpresa per chi non lo conosce, è pronto anche a fare autoironia su se stesso, come quando ricordò la battuta di Bossi rivoltagli sull’aereo verso Roma: “Non è che da quando ti ho fatto diventare ;saggio’ ti sei rincoglionito?”. Lui è un soldato, va dove lo mette Bossi. Nel ’95 ha espulso dalla Lega il cognato, Luigi Negri, il fratello della commediografa Sabina (sua una pregevole opera di Gianni Brera): si sono sposati nel ’98 con nozze druide scambiandosi bracciali anziché anelli. Calderoli ha dichiarato di essere pronto ad “espellere se stesso, se Umberto me lo chiede"» (Gigi Padovani, “La Stampa” 20/7/2004). «Ha cominciato a correre come un matto negli anni 70, prima a cavallo delle Enduro, poi nei rally. “Era una furia — racconta Cesarino Monti, sindaco di Lazzate — . Mica come che me che ero una schiappa. Lui tirava come un matto e vinceva anche se lo mettevi su una 112”. Da allora non ha più smesso di correre, Roberto Calderoli, solo che non macina più chilometri, ma parole che arrivano ronzanti, in quantità industriali, nei fax delle redazioni, si impadroniscono dei computer e raramente finiscono nell’archivio a forma di cestino. Solo nel 2003 si contano ben 283 dichiarazioni rilasciare all’agenzia Ansa. Uno stakanovista della parola, non privo di estro artistico, che per anni ha concepito dichiarazioni roboanti, sarcastiche, sferzanti, talvolta feroci, che rispecchiavano alla perfezione l’immagine di “duro” che si è portato dietro sin dall’inizio della sua avventura nella Lega. Solo alla fine degli anni 90 è cominciata una lenta virata verso un alveo, per così dire, più istituzionale. [...] Non esiste più il Roberto “Pota” Calderoli che nei primi comizi della Ceresola, valle d’Imagna, citava gli slogan del nonno Guido: “Bergamo nazione, tutto il resto meridione”. Non esiste più neanche lo spietato dirigente leghista — detto “Beria de Berghem” — che, senza fare una piega, espelle dalla Lega il fratello della moglie, Luigi Negri, insieme a Elena Gazzola e alla cagnetta Gilda. Non meno dolorose le parole, affilate come bisturi. L’archivio è sterminato: le accuse ai “parassiti meridionali"; la Padania trasformata in “ricettacolo di culattoni"; “il mio maialino che non vede l’ora di far la pipì sulla moschea"; “i giudici lazzaroni, che per fare il pm bisogna avere il gusto di spiare dal buco della serratura”. Esuberanze giovanili, eccessi d’agonismo archiviati, salvo, ogni tanto, ricascarci. Perché la vocazione all’iperbole ce l’ha sempre avuta Calderoli, anche se la nascondeva, insieme al caratteraccio, sotto “l’impeachment della timidezza”. Definizione sua, tratta dall’evocativo Mutate mutanda, autobiografia data alle stampe nel ’94. Un “saggio” che “è sofferto dissezionamento della mia sfera cosciente e del mio iter emozionale e culturale” . Prosa da dentista — è chirurgo odontoiatrica, come il nonno, il padre, i quattro zii e tre fratelli — , raffinata negli anni e modellata con le alchimie del politichese, sia pure in versione leghista. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, quelli da cui diceva “mi butterei subito se me lo chiedesse Bossi"» (Alessandro Trocino, “Corriere della Sera” 20/7/2004).