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 2004  luglio 11 Domenica calendario

Lavoriamo per il padrone! / La giornata è bella e stiamo al fresco, / i buoi tirano e tirano, / il cielo è secondo i nostri desideri, / lavoriamo per il padrone!»

Lavoriamo per il padrone! / La giornata è bella e stiamo al fresco, / i buoi tirano e tirano, / il cielo è secondo i nostri desideri, / lavoriamo per il padrone!». E ancora: «Trebbiate per il vostro bene, / trebbiate per il vostro bene, buoi / trebbiate per il vostro bene. / Mangerete la paglia, il grano è per il vostro padrone. Non siate stanchi, è proprio fresco, / buoi, trebbiate». Così cantavano, malinconici e disincantati, i contadini dell’Egitto faraonico. Vita grama la loro. Differenza con i buoi, poca. «Il lavoro dei campi era duro; le malattie potevano distruggere la messe; i buoi da lavoro potevano morire di fatica o annegati nel fango; le tasse venivano però inesorabilmente riscosse» (R. Caminos). Le tasse, appunto. Un incubo nel tempo del raccolto. Gli esattori giungevano puntuali con un codazzo di sorveglianti, scribi e servi che venivano a misurare i campi e a controllare la quantità del raccolto, per stabilire l’ammontare delle imposte che l’agricoltore avrebbe dovuto versare al proprietario delle terre da lui coltivate, che fossero della Corona, di una istituzione religiosa o di un privato. Nella celebre Satira dei mestieri risalente al Medio Regno (2150-1750 circa a.C.) un certo Duaf-Kethy, mentre accompagna il figlio alla capitale per farlo studiare nella scuola governativa per scribi, dipinge un quadro impressionante: «Sii scriba. Questo ti salverà dalla fatica e ti proteggerà da ogni tipo di lavoro. Ti risparmierà il portare la zappa e il piccone, in modo che non dovrai portare il canestro. Ti risparmierà l’aratro e ogni tipo di fatica. Lascia che ti ricordi lo stato miserevole del contadino quando vengono i funzionari per stabilire la tassa del raccolto. Quando i serpenti hanno portato via metà del grano e l’ippopotamo si è mangiato il resto. Il vorace passero porta disastri ai contadini. Ciò che restava del grano sull’aia se n’è andato, i ladri lo hanno portato via. Egli non può pagare quello che deve per i buoi presi in prestito: inoltre, i buoi sono morti per l’eccessivo arare e trebbiare. E proprio ora attracca alla riva del fiume lo scriba per calcolare la tassa sul raccolto, con un seguito di servi con bastoni e di nubiani con rami di palma. Essi dicono: ”Mostraci il grano!”. Ma non ce n’è, e il contadino è battuto senza pietà. legato, e gettato a testa in giù in uno stagno, e è tutto inzuppato d’acqua. Sua moglie è legata in sua presenza, i suoi figli sono in ceppi. Ma lo scriba comanda tutti. Colui che lavora scrivendo non è tassato; non è obbligato a pagare. Ricordalo bene». In tempi più recenti, stando al racconto dell’alessandrino Filone (Sulle leggi speciali), le cose non erano affatto cambiate: «Poco tempo fa una certa persona fu nominata esattore delle tasse nel nostro distretto. Quando alcuni debitori, che erano in arretrato con i pagamenti, naturalmente a causa della povertà, presero la fuga per timore delle possibili conseguenze di un’insopportabile punizione, egli prese a forza le loro mogli, i loro figli ed i loro genitori, ed altri parenti, e li percosse, li calpestò e li sottopose ad ogni tipo di oltraggio e trattamento ignominioso, per far sì che costoro dicessero dove i loro parenti si erano rifugiati, oppure perché pagassero i debiti di costoro». Anche senza far uso di misure estreme, lo scriba con la sua asfissiante presenza non dava mai tregua. Appena i contadini avevano finito di vagliare il grano, eccolo arrivare con la tavolozza e la tavoletta con cui prendeva accuratamente nota, ai fini di stabilire l’importo del tributo, dell’ammontare del prodotto dei campi, che era stato calcolato in sua presenza prima che il grano ripulito fosse raccolto in sacchi per essere immagazzinato nei granai. Eppure per i contadini c’era qualcosa anche di peggio delle tasse: la corvè. Si trattava di un servizio di Stato forzato, non pagato e obbligatorio cui venivano sottoposti tutti gli agricoltori (a volte anche altre categorie di lavoratori): costruzione e manutenzione di strade, canali di irrigazione, dighe e canali di scolo, erezione di grandi edifici, templi, piramidi, oppure incarichi di tipo militare, lavori nelle cave e nelle miniere. (Tale pratica fu abolita, almeno sulla carta, solo nel 1889). Le eventuali esenzioni erano regolate da appositi decreti reali. Ogni tanto capitava che qualche contadino, particolarmente angariato da fisco, corvè, padroni spietati, paghe miserabili (si veniva pagati in natura, le monete furono introdotte solo in epoca ellenistica: una manciata di grano, qualche volta una misura d’olio, una giara di birra nei giorni di festa) e condizioni di vita inumane decidesse di fuggire abbandonando terre, casa e famiglia. Tutta la storia dell’Egitto faraonico, dal’inizio della XII dinastia (2000 a.C. circa) al Nuovo Regno fino all’epoca dei tolomei e dei romani, quando divenne fenomeno endemico, è segnata dall’ànachoresis. Una fuga disperata e inutile che certo non migliorava le condizioni dell’ex agricoltore, ridotto a fare il predone o il mendicante. Intanto, i campi andavano a male e nessuno sfruttava le acque del Nilo.