L’Indipendente 18/07/2004, 18 luglio 2004
Il progresso è la ghigliottina Dal XII secolo, la decapitazione, invece che con la spada o la mannaia, strumenti coi quali poteva rendersi necessario ripetere più volte il colpo per finire il condannato, viene realizzata anche con la ghigliottina «diretta emanazione», come spiega Michael Kerrigan, nel libro Gli strumenti di tortura, «della Vergine scozzese dell’alto Medioevo»
Il progresso è la ghigliottina Dal XII secolo, la decapitazione, invece che con la spada o la mannaia, strumenti coi quali poteva rendersi necessario ripetere più volte il colpo per finire il condannato, viene realizzata anche con la ghigliottina «diretta emanazione», come spiega Michael Kerrigan, nel libro Gli strumenti di tortura, «della Vergine scozzese dell’alto Medioevo». Formata da due travi parallele in legno unite da una traversa cui è agganciata una lama che, a comando, scende sul collo della vittima, la ghigliottina deve il suo nome a un medico francese. Joseph-Ignace Guillotin nel 1789 la propose come mezzo per le esecuzioni capitali. In precedenza riservata ai nobili, perché rapida e poco cruenta, venne usata, indipendentemente dal ceto sociale della vittima, a partire dalla rivoluzione francese, in molti paesi occidentali. Dopo quel periodo storico sarà mantenuta come strumento capitale in Francia fino al 1981. Guillotin, che aveva abbandonato la carriera ecclesiastica coi gesuiti per darsi alla scienza medica, in contrapposizione a quelli che sostenevano che la testa mozzata resta cosciente per qualche atroce istante, diceva che non si fa nemmeno in tempo a sentire «una sensazione di fresco dentro la nuca». Le condanne a morte, durante il medioevo e fino alla età dei Lumi, in Francia come altrove, erano spettacoli pubblici a scopo deterrente e non avevano limite di efferatezza. I ladri venivano sottoposti al supplizio della ruota, i falsari erano bolliti vivi in un calderone, gli eretici bruciati, i cospiratori squartati e così via. Se è Guillotin a proporre la ghigliottina, è il medico patologo Antoine Louis, aiutato da un artigiano di nome Tobias Schmidt, che realizza la macchina da decapitazione, con lama di 7 chili, posta a una altezza di 2,5 metri, azionata da una corda. Oltre che meno cruento, uccidere diventò più facile. Nel periodo del terrore, solo a Parigi si ghigliottinarono 19.639 persone, compreso il re Luigi XVI, sua moglie Maria Antonietta e il chimico Lavoisier. A proposito di quest’ultimo, il matematico Lagrange dirà che «è bastato un momento per tagliare quella testa, e forse non basterà un secolo per generarne un’altra». Ancora in tempi piuttosto recenti la ghigliottina era considerata uno strumento quasi indolore, un modo di uccidere magnanimo e perciò poco adatto per gli autori di delitti particolarmente riprovevoli. «Poco prima della guerra del 1914», scrive Albert Camus nell’incipit di Réflections sur la guillotine, «un assassino che aveva commesso un crimine particolarmente rivoltante (aveva massacrato una famiglia di coloni, compresi i figli) venne condannato a morte a Algeri. Si trattava di un bracciante che aveva ucciso in una sorta di delirio omicida, ma con l’aggravante di aver derubato le proprie vittime. Il processo suscitò grande scalpore. Generalmente si ritenne che la decapitazione fosse una pena troppo mite per un simile mostro. Questa fu, così mi disse mio padre, sdegnato soprattutto dell’eccidio di bambini. Una delle poche cose che so di lui, in ogni caso, è che volle assistere all’esecuzione, per la prima volta in vita sua. Si alzò nel cuore della notte per recarsi sul luogo del supplizio, all’altro capo della città, fra un gran concorso di folla. Di quanto vide, quel mattino, non disse nulla a nessuno. Mia madre racconta soltanto che rientrò di furia, stravolto, si rifiutò di parlare, si stese un istante sul letto e d’improvviso cominciò a vomitare».