L’Indipendente 4/7/2004, 4 luglio 2004
C’è stato un periodo in Italia in cui si beveva ”spirito d’avena” e non whisky. Col fresco ci si infilava un ”farsetto” al posto del pullover, si ammiravano ”tuttochesivede” invece di panorami
C’è stato un periodo in Italia in cui si beveva ”spirito d’avena” e non whisky. Col fresco ci si infilava un ”farsetto” al posto del pullover, si ammiravano ”tuttochesivede” invece di panorami. E poi c’era il divieto di inamidare il collo della camicia nera, le sanzioni per chi salutava romanamente restando seduto, per chi aveva il distintivo del Pnf non regolamentare, per chi scriveva Duce e non DUCE, ecc.
Achille Starace impose con protervia piccineria una grammatica meschina di regole e divieti, impersonando con talento la pedanteria del fascismo. Fu con questo che si fece odiare. Da tutti. Persino Mussolini, che pure Starace adorava, non sopportava alcuni eccessi che davano un irresistibile effetto comico al culto del Duce.
Forse le parole più lucide sulla catastrofica e repentina caduta del segretario del Pnf le ha scritte Galeazzo Ciano: «Starace ha fatto i due più gravi errori nei confronti del popolo italiano: ha creato un clima di persecuzione e lo ha annoiato con mille piccole cose di carattere personale. Gli italiani, mentre sono disposti a perdonare chi ha fatto loro del male, non perdonano chi li ha scocciati».