L’Indipendente 4/7/2004, 4 luglio 2004
Tornando alla preparazione del primo numero, per far quadrare i conti fu designato un amministratore, non remunerato, Titta Torelli, fratello di Eugenio
Tornando alla preparazione del primo numero, per far quadrare i conti fu designato un amministratore, non remunerato, Titta Torelli, fratello di Eugenio. Il giornale non disponeva di una tipografia propria. Nella adiacente via Marino, Enrico Reggiani aveva una stamperia sotterranea. Molto sospettoso, in cambio di salatissimi anticipi accettò di comporre il giornale. Un barattolo di latta legato a una cordicella serviva a calare gli articoli e le bozze dalla redazione alla tipografia e viceversa. Una macchina Marinoni, antiquata anche per l’epoca, stampava 4000 fogli all’ora, 8000 pagine. Fu necessario assumere un fattorino che portasse a piedi i pacchi dei giornali da piazza della Scala, dove sboccava la tipografia, alla stazione (allora si trovava in quella che oggi è piazza della Repubblica) e alle librerie-edicole. Si reclutò qualche strillone. C’era il problema dei redattori. Torelli-Viollier svolgeva il grosso del lavoro, il taglia e cuci di dispacci, notizie vecchie di due tre giorni per l’Italia, dieci quindici per l’estero. Come corrispondente dalla capitale si offrì gratis Vincenzo Labanca, conterraneo e amico del direttore. Il primo redattore assunto fu Raffaello Barbera, veneto che fino a pochi giorni prima aveva fatto l’impiegato al comune di Venezia e covava ambizioni letterarie. «Quando arrivai a Milano – ricorda Barbera – il Torelli-Viollier era fermo alla stazione ad aspettarmi; mi baciò e mi abbracciò: primo e ultimo abbraccio. Benché nato nella terra del Vesuvio, egli era uomo chiuso, compassato, gelido». Il secondo redattore assunto fu il livornese Ettore Teodori Buini. Poliglotta e colto, dopo una gioventù salgariana si mise con entusiasmo al lavoro di cucina del giornale. Come disse Torelli-Viollier, «si inebriava per il profumo di inchiostro e si incupiva per un punto e virgola sbagliato». La figlia, Luciana, assunta come impiegata sarà la prima donna dipendente del Corriere della Sera. Terzo e ultimo redattore, Giacomo Raimondi, unico milanese del gruppo. Soprannominato Passerin, afflitto da tisi dall’infanzia, già incaricato da Garibaldi di missioni di fiducia, fu divulgatore in Italia della teorie di Manchester e si occupò della parte economica del giornale. Sempre creduto a un passo dalla morte, se ne andrà nel 1917, a 77 anni, dopo un quarto di secolo al Corriere della Sera. Per il primo numero, che recava la data 5-6 marzo 1876, erano già state spese 23 mila delle 30 mila a disposizione a fronte di 15 mila copie vendute e 500 abbonamenti. Una copia costava 5 centesimi, 7 fuori città. Entro lunedì mattina tutta la tiratura andò esaurita. La curiosità che andava attirando su di sé in quelle ore di postumi dei bagordi carnevaleschi si doveva all’attesa che il quotidiano di quattro pagine aveva creato, alle prese in giro da parte della concorrenza sul nome crepuscolare della testata, e al fatto che usciva in un giorno in cui solitamente non c’erano giornali, a parte l’Indipendente, edito dal Pio istituto tipografico, i cui introiti andavano agli stampatori. Il Corriere della Sera approfittò della circostanza. Per non inimicarsi i tipografi il ricavato delle vendite del primo numero, 700 lire, fu devoluto al Pio istituto. I quattro fogli recavano cronache di carnevale, la dichiarazione programmatica di cui abbiamo riportato qualche estratto, alcuni dispacci, la narrazione di un episodio di avvelenamento, avvenuto nel 1617, per mano di Caterina Medica ai danni di un patrizio, e una spigolatura sulle piante carnivore.