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 2003  maggio 27 Martedì calendario

Grimes Henry

• Philadelphia (Stati Uniti) 3 novembre 1935. Bassista • «Il sudore gli inonda di nuovo la fronte come al tempo delle Big Band e dei suoi vent’anni. I calli sulle dita tormentano ancora le corde inseguendo la voce più profonda di Dio. E il sound è sempre quello, lo stesso suono che lui strappava al legno, accanto a Benny Goodman e Albert Ayler, Charles Mingus e Thelonious Monk, "perché la musica è un feeling e, se lo capisci, il feeling passa dritto dentro di te". Niente è cambiato tranne il resto del mondo per Henry Grimes, il jazzista tornato dal nulla. E questa è la sua storia: la storia di un vecchio con l’anima bucata e rattoppata, "troppo sentimento e troppe emozioni possono crearti grossi guai, amico". Ma è anche la storia di un basso dalle rifiniture verdastre, e perciò soprannominato con affetto "Olio d’oliva", che qualcuno gli ha regalato [...] riportandolo alla vita. E quindi è la storia di una resurrezione [...] molti credevano che fosse morto, altri che si nascondesse sotto falso nome chissà dove e perché. Invece è [...] riapparso a New York, col suo nome e la sua faccia segnata dalle rughe, per suonare al Vision Festival, nel centro giovanile dell’antica chiesa di San Patrizio a Mulberry Street, Little Italy, al memorial per la cantante Jeanne Lee. Qui aveva studiato violino alla scuola Juilliard di Lincoln Center, qui era diventato un mito nei circoli jazz d’avanguardia dell’East Village tra gli anni Cinquanta e Sessanta, qui l’avevano visto l’ultima volta nel ’68: a Brooklyn, tra i ragazzini impazziti che erano andati a battergli le mani quella sera, c’era allora Billy Parker, il padrone di "Olio d’oliva", che adesso l’accompagna e un po’ lo sorregge nelle nuove performance, davanti a nuovi ragazzini impazziti, perché la vita è una beffa circolare eppure il vecchio Henry in vita sua non ha mai smesso di suonare, "non nella mia mente, almeno", anche quando non aveva neppure la forza di tenere tra le mani uno strumento, risucchiato com’era dal vuoto. Henry ha vissuto nel vuoto e nella depressione per quasi trent’anni. Dopo la fuga da New York, si trascina nei locali della California, "i miei soldi erano quasi a zero, volevo almeno andare dove splende il sole, senza soffrire il freddo". Prima del blackout della sua mente, brucia ancora qualche anno tra concerti casuali e jam session interrotte da colpi di sonno indotti dagli psicofarmaci. Roberto Miranda suonò con lui nel ’73 davanti alla Loyola Marymount University di Los Angeles e l’ha ritrovato adesso, nella nuova vita appena incominciata. Ai giornali californiani racconta: "Trent’anni fa eravamo sette bassisti, cinque tamburi e non so quante trombe. Io ero finito proprio accanto a Henry. Sul più bello, lui ha smesso di suonare, ha buttato via il basso e s’è disteso" [...] L’ultima volta che il mondo della musica ha visto Henry Grimes è stato poco dopo, su un palcoscenico di San Francisco, al "Both/And". Finito lo show, il fenomeno che le riviste specializzate definivano "un nuovo gigante dell’avanguardia" e che per molti critici rappresenta ancora la "connessione tra i bassisti degli ultimi vent’anni e quelli degli anni Cinquanta", semplicemente s’incammina verso una vita da fantasma. Ha meno di quarant’anni, la memoria delle cose e delle facce (non quella musicale) che tende a lasciarlo, le pillole antidepressive dentro le tasche lise dei calzoni. Finisce a Los Angeles, nella città incupita e cattiva degli anni Ottanta, in una stamberga di downtown. Li chiamano efficiency hotel i posti come quello dove ha vissuto lui: un gradino appena sopra il rifugio per senzatetto, con un bagno comune per ogni piano, topi e scarafaggi sulle scale, una piastra davanti al letto che fa da scaldavivande e termosifone. Per pagarsi un posto così, Henry vende il basso che ancora si tira dietro senza più sapere perché. Al "New York Times" [...] racconta: « I soldi che mi diedero non erano un giusto prezzo, ma vendetti comunque il mio strumento. Sentivo di doverlo fare, e lo feci". Scappa Henry, scappa per anni dalle ombre che lo inseguono. "Il lavoro manuale ti aiuta a non pensare troppo e a restare in forma", dice adesso con la voce che raschia via l’emozione. E lui perciò fa l’operaio in un cantiere, il custode alla scuola ebraica di Beverly Hills e in un circolo di bowling. I soldi non sempre gli bastano all’affitto della stamberga di downtown, a volte dorme per strada. Nessuno fa caso a quell’uomo non ancora anziano che già si trascina, nessuno s’accorge che compone poesie e se le recita a labbra strette. Nessuno potrebbe aiutarlo a ritrovarsi, se la sua leggenda non gli sopravvivesse. La salvezza infatti ha la faccia di un assistente sociale della Georgia, tale Marshall Marrotte, che la provvidenza vuole sia patito di jazz. Da Miles Davis a Lionel Hampton, da Shorty Baker a Cecil Taylor, lui le sa a memoria le storie dei musicisti: e la scomparsa di Henry non gli è mai andata giù. Per settimane, mesi, sfoglia scartafacci, registri di tribunale e certificati di morte, parla con amici e familiari di Grimes. Fino a bussare alla porta giusta, quella dell’efficiency hotel di Los Angeles. Henry è stralunato, non ha mai visto un cd, non ha mai avuto un dollaro dei diritti d’autore sui molti dischi zeppi della sua musica. Ma è ancora Henry, forse. Per provarlo, il buon Marshall ricorre a un altro jazzista suo amico, Billy Parker – il ragazzino di Brooklyn, ricordate? – : Billy è cresciuto, suona il basso come il suo mito, ha fondato il Vision Festival. E ha una terapia semplice: mette "Olio d’oliva" nelle mani di Henry. Per mesi il vecchio s’allena, come ai tempi della scuola Juilliard, e la vita è un nastro che la musica riavvolge per lui. Mancano le facce, la copertina è ancora bianca: "Non ricordo dove e quando facevamo tutti questi pezzi con tutta questa gente. Ma ricordo ogni nota. E intendo proprio ogni singola nota". Se state zitti, il feeling è ancora lì» (Goffredo Buccini, "Corriere della Sera" 27/5/2003).