Adriano Sofri, "Piccola posta", Sellerio 1999, 10 giugno 1999
«Nell’ultima puntata di Superquark c’era un servizio travolgente sulle aquile. Ho una passione per loro e anche una certa dimestichezza con le aquile di mare
«Nell’ultima puntata di Superquark c’era un servizio travolgente sulle aquile. Ho una passione per loro e anche una certa dimestichezza con le aquile di mare. Conosco bene il modo in cui queste maestose creature, coi loro due metri e mezzo d’apertura d’ali, fanno finta di niente le quattro volte su cinque in cui si tuffano senza acchiappare nulla. Ma non avevo mai visto uno spettacolo simile, culminato nelle riprese strette sul girotondo della coppia di aquile che si afferrano per gli artigli, e poi si gettano a vite. La scena più emozionante riprendeva un’aquila di reale (sui monti Tatra?) che artiglia una testuggine, la solleva in alto, e la lascia cadere sulle rocce, per spaccarne il carapace e mangiarla. Mentre la testuggine precipita, l’aquila l’accompagna in picchiata, come per starle addosso, e poi si avventa a riafferrarla dopo che è rimbalzata sulla pietra. L’etologo Mainardi ha spiegato che si conosce bene il ricorso dei gabbiani e altri uccelli a questo modo di spaccare i gusci di frutti di mare lasciandoli cadere dall’alto sugli scogli, ma che non si conoscono usi analoghi per le aquile. Mi sono ricordato del più bel precedente: la morte di Eschilo. Un’aquila reale scambiò la testa calva per un sasso, e le fece cader sopra la tartaruga che teneva fra gli artigli. I sapienti antichi avevano già visto tutto».