Emanuela Audisio sulla Repubblica del 23/11/2000 a pagina 58 e Gian Paolo Ormezzano sulla Stampa del 23/11/2000 a pagina 31, 23 novembre 2000
Emil Zatopek è stato il più grande campione di fondo e mezzofondo del dopoguerra. Ha vinto quattro ori olimpici, tre titoli europei, 18 record mondiali
Emil Zatopek è stato il più grande campione di fondo e mezzofondo del dopoguerra. Ha vinto quattro ori olimpici, tre titoli europei, 18 record mondiali. E’ stato il primo a scendere sotto l’ora nei 20 chilometri in pista; dal ’48 al ’52 nessuno è riuscito a batterlo sui 5 e i 10mila metri. Zatopek era nato a Koprivnic, nella Moldavia settentrionale, il 19 settembre 1922, lo stesso giorno della moglie Dana. Figlio di un falegname, voleva fare il chimico. All’atletica si era avvicinato per caso, nel ’41: un giorno il caporeparto del calzaturificio dove lavorava aveva ordinato a tutti i dipendenti di partecipare a una corsa campestre. Fu il primo a lavorare sulla quantità, e il primo a entrare nel futuro con il metodo di allenamento delle "ripetute" (partenze a scatto replicate una dopo l’altra). La sua era una battaglia sul volume: si allenava tantissimo, scegliendo sempre la strada più lunga e il bosco più duro. Era fatto così, credeva che per fare bene bisogna farsi male, lavorare, correre, allenarsi senza respiro. A chi gli chiedeva se poteva evitare quella terribile smorfia sul volto, quel rictus da fatica che gli devastava il viso durante le gare, rispondeva: "Non sono abbastanza bravo per correre e sorridere nello stesso tempo". Alle Olimpiadi di Helsinki del ’52 vinse 5.000, 10.000 e maratona. Durante quest’ultima gara (che non aveva mai corso) fece qualche domanda agli altri concorrenti. Zatopek, infatti, non potendo contare sulla propria esperienza, aveva deciso di seguire l’inglese Jim Peters, il più veloce. Al quindicesimo chilometro gli chiese in inglese: "Scusa, ma io sono nuovo: va bene il ritmo?". Peters voleva far credere di avere ancora molte energie e gli rispose di no, che era troppo lento. "Ho capito bene, troppo lento?". Sì, replicò l’inglese. Per un po’ rimasero in silenzio, poi Zatopek andò in fuga con lo svedese Jansson. Ma continuava ad aver paura della sua inesperienza: "Vidi Jansson fermarsi a un rifornimento e succhiarsi una fetta di limone. Io non avevo mai preso niente, né in gara né in allenamento, ma mi dissi che se lo faceva lui, forse si doveva, e che al prossimo rifornimento avrei succhiato due limoni". Intanto Jansson perdeva terreno, Peters veniva divorato dai crampi, e l’inesperto Zatopek correva in testa chiacchierando con poliziotti, spettatori e ciclisti. Quando arrivò il secondo classificato, lui stava firmando autografi da un pezzo, e gli offrì una fetta d’arancia. Per anni, in seguito, disse che il suo ricordo più bello era il boato della folla che lo aveva accompagnato negli ultimi metri verso la vittoria "come fossi stato uno di loro". Ci avrebbe riprovato nel ’56. Ma sei settimane prima delle Olimpiadi di Melbourne gli era uscita l’ernia in allenamento, mentre, fedele alla sua abitudine di non usare pesi, faceva volteggiare la moglie sopra le spalle. Così arrivò solo sesto. Il francese Mimoun, che era arrivato primo e non l’aveva mai battuto, l’aspettò e gli chiese di abbracciarlo: "Per me i complimenti di Zatopek valgono più di una medaglia". L’avevano soprannominato l’Uomo Cavallo. Lui preferiva "la Locomotiva umana". Nell’agosto ’68 fu tra gli insorti di Praga. Aveva il grado di colonnello e disse: "Rivendichiamo il diritto e la libertà a gestire noi stessi, senza guinzagli da Mosca". Pensava che gli amici con il carro armato non lo avrebbero toccato: invece fu radiato dall’esercito e dal partito e costretto all’esilio interno, a trasformarsi in minatore, a contatto con le radiazionid’uranio. Poteva emigrare. Invece dichiarò che scendere nelle viscere della terra era interessante. E aggiunse: "E’ meno faticoso di un allenamento".