Corriere della Sera del 7/11/200 e del 28/11/2000 a pagina 35., 28 novembre 2000
Un consistente gruppo di intellettuali italiani (tra gli altri Paolo Cecchi, Michele Dall’Ongaro, Antonello Manacorda, Edoardo Sanguineti) ha scritto una lettera al "Corriere della Sera" per protestare contro Paolo Isotta che ha stroncato il concerto di Luigi Nono (svoltosi a Milano il 4 novembre scorso)
Un consistente gruppo di intellettuali italiani (tra gli altri Paolo Cecchi, Michele Dall’Ongaro, Antonello Manacorda, Edoardo Sanguineti) ha scritto una lettera al "Corriere della Sera" per protestare contro Paolo Isotta che ha stroncato il concerto di Luigi Nono (svoltosi a Milano il 4 novembre scorso). Isotta definiva Nono «un, a dir così, musicista, di modeste doti artistiche, sorretto dall’arroganza e dal fanatismo. Si sentiva investito di un mandato messianico insieme musicale e politico... era il vero intellettuale di potere» e si diceva grato al maestro Riccardo Muti «che sa vedere nella produzione di Nono un vertice musicale» coadiuvato dall’ «Heidegger dei miserrimi, il sindaco-filosofo Massimo Cacciari». Nella sua recensione, quindi, secondo i firmatari della lettera, «Isotta si produce in volgarità e offese per tutti: per Nono, che non sarebbe un musicista; per Massimo Cacciari, che sarebbe un millantatore... per Riccardo Muti; per Milano Musica; per Milano tout-court. Finalmente, per un soggetto tanto anonimo quanto fondamentale: il Pubblico». Non è in gioco, chiariscono, «la libertà di opinione di un giornalista, ma il rispetto dei criteri minimi di deontologia professionale». E invitano Isotta, dal momento che nel suo articolo considera la musica «finita, anche solo come esperienza storica e sociale», a dimettersi, poiché «come egli stesso ci fa intendere quasi quotidianamente, tra lui e la vita musicale nel suo complesso c’è un divario insanabile, coperto dall’ossessione delle citazioni latine, delle affettazioni... l’anno scorso Isotta scrisse una serie di cronache da Parigi; non una volta però si potè leggere il nome Parigi: per Isotta, come per Giulio Cesare e per Rutilio Namaziano, la città si chiama ancora Lutezia». Concludendo: per il critico del "Corriere" sarebbe forse meglio seguire l’esempio dello scrittore Robert Walser, che trovando insostenibile il mondo «decise di rinchiudersi in manicomio e vi si lasciò morire». Isotta replica dicendosi lusingato che sia stato «addirittura costituito un comitato permanente addetto alla sua (di lui) sorveglianza» e proponendo un modello di dipartita diverso dalla «garbatamente consigliatami morte»: «Piuttosto che come Robert Walser, convien ch’io muoia come Giugurta... strangolato dopo sei giorni di fame, sete, gelo, oscurità, nella cisterna del carcere tulliano. Sepolto vivo: non mi si addice di più?».